Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10560 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 21/04/2021), n.10560

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11658-2015 proposto da:

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE DI PESCARA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MONTEFUSCO 4, presso lo studio dell’avvocato DARIO CALVO,

rappresentata e difesa dall’avvocato BIAGIO GIANCOLA;

– ricorrente –

contro

V.F.R., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO

TRIONFALE 7, presso lo studio dell’avvocato STEFANO FIORINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GABRIELE SILVETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 872/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 23/10/2014 R.G.N. 998/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/10/2020 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di L’Aquila, con la sentenza n. 872 del 2014, in riforma della sentenza del Tribunale di Pescara che aveva rigettato il ricorso proposto da V.F.R. nei confronti della Azienda unità sanitaria locale di Pescara, ha accolto la domanda proposta dalla lavoratrice nei confronti dell’ASL, ed ha condannato quest’ultima al pagamento dell’indennità di coordinamento, in parte fissa, a decorrere dal 26 aprile 2002.

La Corte d’Appello ha richiamato la giurisprudenza di legittimità formatasi sull’interpretazione dell’art. 10 del CCNL 20 settembre 2001, commi 1, 2, 3, 4 e 7 ed ha rilevato che tale disciplina contrattuale doveva essere ritenuta efficace anche per il periodo successivo, poichè il CCNL del 2004 nulla aveva previsto al riguardo.

Rilevato che dalla documentazione prodotta in primo grado emergevano gli atti formali, a firma dei dirigenti delle rispettive unità, sia di coevo conferimento dell’incarico di coordinamento, sia di ricognizione successiva dello svolgimento di tale funzione, con correlata assunzione di responsabilità in capo alla V., affermava la sussistenza del requisito della effettività dello svolgimento delle suddette funzioni di coordinamento, mediante l’esercizio di un più pregnante ruolo organizzativo e dispositivo, nonchè di sovrintendenza del personale addetto.

2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’AUSL di Pescara, prospettando due motivi di impugnazione.

3. Resiste con controricorso la lavoratrice, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso è prospettata la erroneità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3): dell’art. 10 del CCNL Comparto sanità del 20 settembre 2001, biennio economico 2000/2001; dell’allegato C) del Contratto integrativo 23 aprile 2003: dell’art. 2697 c.c.

La ricorrente ripercorre la motivazione della sentenza di appello, ponendo in evidenza la giurisprudenza di legittimità richiamata; quest’ultima, tuttavia, oltre alla traccia formale del conferimento dell’incarico di coordinamento, richiede la sussistenza del potere di conformazione in capo a coloro che tale incarico conferiscono, e l’individuazione delle attività oggetto di coordinamento.

Nella specie, la Corte d’Appello aveva attribuito l’indennità in questione sebbene non sussistesse, o comunque non fosse stato provato, l’atto di conferimento ed il potere di conformazione della prestazione in capo ai soggetti che avevano formato gli atti ricognitivi, non attributivi, della funzione di coordinamento.

Inoltre, quest’ultima doveva riguardare l’attività dei servizi di assegnazione e del personale, elementi questi che non si desumevano dalla documentazione prodotta.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).

Assume la ricorrente che la Corte d’Appello non aveva esaminato il fatto controverso e decisivo della sussistenza del potere di conformazione della prestazione lavorativa, sebbene sul punto le parti avessero offerto deduzioni contrapposte.

Ed infatti l’Ente, nella persona del direttore sanitario e del direttore amministrativo, aveva diffidato i direttori/dirigenti di struttura dal voler affidare incarichi di coordinamento, e l’esame della relativa documentazione era stata omessa dal giudice di secondo grado.

I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

3. In via preliminare, va rilevato che questa Corte ha già avuto modo di esaminare le questioni relative all’applicazione dell’art. 10 del CCNL sanità, e ha enunciato i principi di diritto di seguito riportati (si v. ex multis Cass. n. 14509 del 2019, n. 14689 del 2019, e n. 14691 del 2019), rimarcando, peraltro, la sostanziale differenza fra la disciplina a regime (si v., Cass., n. 12339 del 2018) e quella di prima applicazione.

3.1. Il contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto sanità, Il biennio economico 2000-2001, per favorire il processo di riordino e riorganizzazione delle professioni sanitarie ha previsto ravvisando che l’insieme dei requisiti richiesti al personale appartenente alla categoria C del ruolo sanitario nonchè al profilo di operatore professionale assistente sociale del ruolo tecnico, per contenuti di competenze, conoscenze e capacità necessarie per l’espletamento delle relative attività lavorative, corrisponde a quello della categoria D dei rispettivi profili – la ricollocazione del personale della categoria C nella categoria D.

L’art. 9, comma 2 CCNL ha, in particolare, stabilito che, con decorrenza dal 1 settembre 2001, tutti gli operatori professionali del ruolo sanitario e l’operatore professionale assistente sociale – del ruolo tecnico assumono la denominazione della categoria D. rispettivamente, di collaboratore professionale sanitario nei profili e discipline già corrispondenti a quella della categoria di provenienza, nonchè di – collaboratore professionale – assistente sociale”.

3.2. La realizzata unificazione dei dipendenti delle categorie C e D, ha posto il problema sia di distinguere e valorizzare, all’interno del nuovo profilo accorpato, la reale funzione di coordinamento delle attività dei servizi affidati sia di differenziare coloro che, al momento dell’accorpamento, avessero già effettuato determinate funzioni di coordinamento.

3.3. Si è pervenuti così a prevedere l’indennità di coordinamento di cui all’art. 10, del CCNL la cui ratio, come si evince dallo stesso testo della disposizione, è appunto quella di “favorire le modifiche dell’organizzazione del lavoro nonchè valorizzare l’autonomia e responsabilità delle professioni”, in seguito al passaggio nella categoria D anche del personale già appartenente alla categoria C.

3.4. La disposizione prevede innanzitutto un sistema a regime” (una volta superata la fase transitoria) disponendo, al comma 1, che l’indennità in questione è attribuita a “coloro cui sia affidata la funzione di coordinamento delle attività dei servizi di assegnazione nonchè del personale appartenente allo stesso o ad altro profilo anche di pari categoria ed – ove articolata al suo interno di pari livello economico, con assunzione di responsabilità del proprio operato” e specificando che essa si compone di una parte fissa ed una variabile”.

Dunque, “a regime”, l’incarico, che richiede sempre un atto formale di conferimento, può essere attribuito dalle aziende ai soggetti in possesso del requisito minimo di anzianità solo previa definizione di criteri generali ai quali le aziende medesime devono attenersi nella scelta del dipendente cui affidare il coordinamento (v., Cass., n. 12339 del 2018).

3.5. Il secondo e il comma 3 disciplinano la situazione relativa alla “prima applicazione” della norma contrattuale, chiarendo quali sono i presupposti per il riconoscimento dell’indennità nei confronti di coloro che alla data del 1 settembre 2001 svolgessero attività di coordinamento e prevedendo che indennità di funzione di coordinamento – parte fissa – con decorrenza 1 settembre 2001, è corrisposta in via permanente ai collaboratori professionali sanitari caposala – già appartenenti alla categoria D e con reali funzioni di coordinamento al 31 agosto 2001, nella misura annua lorda di Lire 3.000.000 cui si aggiunge la tredicesima mensilità” e che “l’indennità di cui al comma 2 – sempre in prima applicazione – compete in via permanente – nella stessa misura e con la medesima decorrenza anche ai collaboratori professionali sanitari degli altri profili e discipline nonchè ai collaboratori professionali – assistenti sociali – già appartenenti alla categoria D. ai quali a tale data le aziende abbiano conferito analogo incarico di coordinamento o, previa verifica, ne riconoscano con atto formale lo svolgimento al 31 agosto 2001”.

3.6. Sempre in sede di “prima applicazione” del CCNL, ai sensi del medesimo art. 10, comma 7 al fine di evitare duplicazione di benefici, è stato previsto che l’incarico di coordinamento sia affidato di norma al personale già appartenente alla categoria D alla data del contratto stesso, e sia rimessa alla valutazione aziendale, in base alla propria situazione organizzativa, la possibilità di attribuire l’indennità di coordinamento di cui all’art. 10, comma 1, anche al personale proveniente dalla categoria C cui sia stato riconosciuto l’espletamento di funzioni di effettivo coordinamento ai sensi dell’art. 8, commi 4 e 5.

3.7. Nell’ipotesi di “prima applicazione” di cui al comma 2, l’indennità compete a tutti i collaboratori professionali sanitari-caposala con reali funzioni di coordinamento alla data del 31 agosto 2001, riconoscendosi, in tal caso, che la funzione di coordinamento è intrinseca al ruolo del capo-sala. non essendo necessario un accertamento formale. Nel caso di cui al comma 3, invece, l’indennità è riconosciuta anche ai collaboratori professionali sanitari degli altri profili e discipline nonchè ai collaboratori professionali – assistenti sociali – già appartenenti alla categoria D (omissis), ai quali l’azienda avesse conferito analogo incarico di coordinamento alla medesima data o ne avesse riconosciuto con atto formale lo svolgimento al 31 agosto 2001, affermandosi, in tal caso, che la funzione di coordinamento non è intrinseca al ruolo dei profili e quindi ha bisogno di essere dimostrata o accertata con atto formale. Eguale necessità di un riconoscimento formale è prevista dal comma 7.

4. Tanto premesso ai fini di un compiuto inquadramento della disciplina contrattuale in questione. rileva il Collegio che i motivi di ricorso sono inammissibili.

La domanda in questione ha ad oggetto il riconoscimento del diritto all’indennità di funzione di coordinamento in parte fissa a decorrere dal 2 gennaio 2002.

La Corte d’Appello ha affermato che, poichè il contratto del 2004 non disciplina l’indennità di coordinamento, doveva ritenersi valida ed efficace la regolamentazione dell’art. 10 del CCNL, che disciplinava quindi solo gli incarichi conferiti sino al 31 agosto 2001 ma anche quelli successivi, così erroneamente interpretando la suddetta disposizione contrattuale.

Tuttavia, tale statuizione non è stata impugnata dalla ASL, che si è limitata a contestare l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’Appello sulla sussistenza dei requisiti di cui al citato art. 10, comma 1 del CCNL 2001.

In particolare, quindi, la ricorrente contesta il vaglio delle risultanze documentali operato dal giudice di appello, affermando il mero carattere ricognitivo degli atti di conferimento, e l’inidoneità degli stessi a fondare il diritto invocato dalla lavoratrice in ragione delle diffide rivolte ai dirigenti a non attribuire gli incarichi.

Tale censura, con la quale la ASL si duole dell’omessa od erronea valutazione di documenti da parte del giudice di merito – gli atti di conferimento degli incarichi -, avrebbe dovuto essere fatta valere con il rispetto del duplice onere, imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di produrli agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Cass., n. 19048 del 2016).

I requisiti imposti dall’art. 366 c..p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perchè solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure.

Gli oneri sopra richiamati sono altresì funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione sicchè, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il documento o l’atto sia rinvenibile e dalla sintetica trascrizione nel ricorso del contenuto essenziale del documento asseritamente trascurato od erroneamente interpretato dal giudice del merito (Cass., S.U., n. 5698 del 2012; Cass., S.U., n. 25038 del 2013, Cass., S.U., n. 34469 del 2019).

Nella specie, a fronte della disamina della documentazione in atti compiuta dalla Corte d’Appello, la ricorrente si limita a contestare, in modo del tutto generico e privo di specificità, senza alcun riferimento circostanziato, gli atti di conferimento degli incarichi di coordinamento, senza trascriverne il contenuto, come invece fa per gli atti di diffida.

5. Le suddette ragioni di inammissibilità assorbono quelle prospettate dalla controricorrente.

6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 5.000,00, per compensi professionali, oltre Euro 200,00, per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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