Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1056 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, (ud. 20/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2575/2015 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui

è rappresentata e difesa per legge;

– ricorrente –

contro

R.M., + ALTRI OMESSI, domiciliati in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIOVANNI FERRAU’ giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, (OMISSIS), UNIVERSITA’

DEGLI STUDI DI CATANIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1958/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 27/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/07/2018 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2001 C.N.M. convenne dinanzi al Tribunale di Catania, tra gli altri, la Presidenza del Consiglio dei ministri, esponendo:

-) di essere laureato in medicina e chirurgia e di avere conseguito un diploma di specializzazione;

-) di avere partecipato al corso di specializzazione a tempo pieno e con frequenza obbligatoria;

-) di avere, pertanto, diritto alla “adeguata retribuzione” prevista dalle direttive comunitarie n. 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva 82/76/CEE.

Chiese pertanto la condanna dell’amministrazione convenuta al pagamento della suddetta retribuzione ovvero, in subordine, al risarcimento del danno per la tardiva attuazione di tali direttive da parte della Repubblica Italiana.

Nel giudizio intervennero a più riprese altri gruppi di medici specializzati, formulando analoghe domande.

2. Con sentenza 27.5.2011 n. 2009 il Tribunale di Catania accolse la domanda.

La Corte d’appello di Catania con sentenza 27.11.2013 n. 1958 accolse parzialmente il gravame dell’amministrazione, riducendo la condanna di questa nei soli confronti di D.V..

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Presidenza del Consiglio, con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria; hanno resistito con controricorso, anch’esso illustrato da memoria, 27 degli originari attori.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo l’amministrazione lamenta l’erroneità della sentenza d’appello nella parte in cui ha accolto la domanda di quegli attori che si erano iscritti alla scuola di specializzazione “prima del 1983”. Tali erano, in particolare, D.V. (con riferimento alla specializzazione in medicina interna), F.F. (con riferimento alla specializzazione in cardiologia) e R.M..

1.2. I controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del motivo sia perchè involgente una questione di fatto, sia per la sua novità. Tale eccezione non è fondata.

Stabilire se l’ordinamento comunitario avesse o meno attribuito un diritto agli attori, e quando tale diritto sia sorto, è infatti una questione di diritto, non la ricostruzione di un fatto.

Poichè dunque il primo motivo di ricorso pone a questa Corte una questione di stretto diritto, di esso non può predicarsi l’inammissibilità per novità della questione.

E’ infatti pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che nel giudizio di legittimità possano sollevarsi questioni di diritto, alla sola condizione che esse non impongano alcun nuovo accertamento di fatti (ex multis, Sez. 3, Ordinanza n. 15196 del 12/06/2018, Rv. 649304-01; Sez. 2, Sentenza n. 14477 del 06/06/2018, Rv. 648975-02; Sez. 1 -, Sentenza n. 25319 del 25/10/2017, Rv. 645791-01).

Nel caso di specie, come si dirà, il fatto materiale rappresentato dalla data di iscrizione alla scuola di specializzazione da parte degli odierni controricorrenti era stato da essi stessi indicato nell’atto di citazione e nei due atti di intervento in causa, e mai formò oggetto di contestazione tra le parti. Si trattava, dunque, d’un fatto pacifico, e come tale parificabile ai fatti accertati.

Pertanto, poichè il primo motivo di ricorso da un lato pone una questione di diritto, e dall’altro presuppone l’esistenza di fatti mai contestati tra le parti, esso è ammissibile.

1.3. Il motivo è fondato con riferimento alla posizione di R.M., mentre è infondato con riferimento a quella di F.F. e D.V..

1.4. Come noto nel 1975 la (allora) Comunità Europea volle dettare norme uniformi per “agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di medico”, e lo fece con due direttive coeve: la direttiva 75/362/CEE e la direttiva 75/363/CEE, ambedue del 16.6.1975.

La prima sancì l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere l’efficacia giuridica dei diplomi rilasciati dagli altri Stati membri per l’esercizio della professione di medico (c.d. “direttiva riconoscimento”); la seconda dettò i requisiti minimi necessari affinchè il suddetto riconoscimento potesse avvenire, tra i quali la durata minima del corso di laurea e la frequentazione a tempo pieno di una “formazione specializzata”.

L’una e l’altra di tali direttive vennero modificate qualche anno dopo dalla Direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982.

L’art. 13 di tale ultima direttiva aggiunse alla Direttiva 75/363/CEE un “Allegato”, contenente le “caratteristiche della formazione a tempo pieno (…) dei medici specialisti”.

L’art. 1, comma terzo, ultimo periodo, di tale allegato sancì il principio per cui la formazione professionale “forma oggetto di una adeguata rimunerazione”.

1.5. La direttiva 82/76/CEE venne approvata dal Consiglio il 26.1.1982; venne notificata agli Stati membri (e quindi entrò in vigore) il 29.1.1982, e venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L43 del 15.2.1982; l’art. 16 della medesima direttiva imponeva agli stati membri di conformarvisi “entro e non oltre il 31 dicembre 1982”.

Pertanto:

(a) l’ordinamento comunitario attribuì ai medici specializzandi il diritto alla retribuzione a far data dal 29.1.1982;

(b) gli Stati membri avevano tempo sino al 31.12.1982 dello stesso anno per dare attuazione al precetto comunitario.

Ne consegue che “qualsiasi formazione a tempo pieno come medico specialista iniziata nel corso dell’anno 1982 deve essere oggetto di una remunerazione adeguata”, così come stabilito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, con sentenza 24 gennaio 2018, in causa C-616/16, Presidenza del Consiglio c. Pantuso.

La medesima sentenza ha precisato che, per coloro che hanno iniziato i corsi di specializzazione durante l’anno 1982, la remunerazione adeguata deve essere corrisposta per il periodo di formazione a partire dal 1 gennaio 1983 fino alla conclusione, dal momento che prima di tale data gli Stati membri avevano la facoltà di dare o non dare attuazione alla direttiva.

La Corte di giustizia nella sentenza appena ricordata ha dunque distinto tre categorie di soggetti:

1) quelli che hanno iniziato la specializzazione prima del 29 gennaio 1982 (data di entrata in vigore della direttiva 82 del 1976), i quali non hanno diritto ad alcuna remunerazione, neanche se il corso sia proseguito dopo l’entrata in vigore della direttiva;

2) quelli che hanno iniziato la specializzazione nel corso dell’anno 1982, i quali hanno diritto alla remunerazione a partire dal 1 gennaio 1983;

3) quelli che hanno iniziato la specializzazione dopo il 1 gennaio 1983, i quali hanno diritto alla remunerazione per l’intera durata del ricorso.

1.6. Ciò posto in punto di diritto, nel nostro caso la sentenza del Tribunale, confermata implicitamente su questo punto in appello, ha provveduto sulle domande proposte da D.V. e da F.F. nei termini che seguono:

(a) ha accertato che D.V. frequentò la scuola di specializzazione in medicina interna dal 1982 al 1987; ha liquidato l’indennizzo a lui spettante nella somma di Euro 7.500 per ogni anno di frequentazione, e dal risultato ha detratto il risarcimento dovuto per un anno, “in quanto il diritto al risarcimento del danno sorge nel 1983”;

(b) ha accertato che F.V. frequentò la scuola di specializzazione in cardiologia dal 1982 al 1986; ha liquidato l’indennizzo a lui spettante nella somma di Euro 7.500 per ogni anno di frequentazione, e dal risultato ha detratto il risarcimento dovuto per un anno, per la medesima ragione sopra indicata.

Se, dunque, è vero quanto dedotto dall’amministrazione ricorrente, ovvero che il diritto all’indennizzo per tardiva attuazione della Direttiva 82/76/CEE spetta solo a partire dal 1983, è altresì vero che il Tribunale ha fatto corretta applicazione di questo principio, nè la Corte d’appello ha apportato modifiche a tale statuizione.

Con riferimento, pertanto, alla liquidazione del pregiudizio patito da F.F. e D.V. il ricorso è infondato.

1.7. Il motivo è invece fondato con riferimento alla posizione di R.M..

Fu infatti lo stesso R.V. a dichiarare, nell’atto col quale intervenne nel giudizio di primo grado (p. 2, primo rigo), di avere frequentato il corso di specializzazione in endocrinologia, della durata di quattro anni, dal 1981 al 1984.

La circostanza che il corso di specializzazione sia iniziato nel 1981, per quanto già detto in precedenza, esclude l’operatività della Direttiva 82/76/CEE e, con essa, il diritto all’adeguata retribuzione.

Mancava dunque nel caso di specie uno dei presupposti per invocare la responsabilità dello Stato italiano per ritardata attuazione della direttiva, giacchè anche se la direttiva fosse stata tempestivamente trasposta nell’ordinamento interno, R.M. comunque non avrebbe avuto diritto ad alcuna remunerazione, come già ritenuto da questa Corte (Sez. 3, Ordinanza n. 13761 del 31.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 13762 del 31.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 13763 del 31.5.2018).

Nè rileva la circostanza che il corso di specializzazione, iniziato prima dell’entrata in vigore della direttiva 82/76/CEE, sia proseguito dopo tale momento.

L’obbligo statuale di introdurre norme che prevedessero la remunerazione degli specializzandi, infatti, era stato dalla normativa comunitaria agganciato alla frequentazione di corsi di specializzazione aventi determinate caratteristiche: esclusività, tempo pieno, obbligo di frequenza.

Nel sistema della direttiva 82/76/CEE, pertanto, il diritto alla remunerazione e la frequentazione d’una scuola di specializzazione aventi le suddette caratteristiche imposte dal diritto comunitario andavano di pari passo.

Ne consegue che prima del 29 gennaio del 1982, non esistendo per gli stati membri l’obbligo di dettare norme che imponessero alle scuole di specializzazione le suddette caratteristiche, nemmeno poteva esistere l’obbligo di prevedere una adeguata retribuzione degli specializzandi.

1.8. La rilevata erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha accolto la domanda proposta da R.M., non ne impone la cassazione con rinvio: infatti, non essendo necessario alcun ulteriore accertamento di fatto, è possibile decidere la causa nel merito, rigettando la domanda proposta da R.M..

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo la Presidenza del Consiglio lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1173e 2043 c.c.; delle direttive 75/362/CEE e 82/76/CEE, dell’art. 117 cost., degli artt. 5 e 189 del trattato istitutivo UE.

Sostiene che sette degli intervenuti in causa ( C.N.M., Fa.Co., F.C., B.G., A.M.P., G.P.A., D.P.P.A.) avevano frequentato corsi di specializzazione non riconosciuti da tutti i Paesi dell’Unione, nè da almeno due di essi, e che pertanto ai sensi degli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE non avrebbero avuto diritto ad alcuna remunerazione.

2.2. Il motivo è inammissibile per due indipendenti ragioni.

In primo luogo esso è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dal momento che l’amministrazione ricorrente non ha precisato nel proprio ricorso se, quando ed in che termini l’eccezione di non corrispondenza tra la specializzazione conseguita e le materie previste dalle direttive comunitarie fu sollevata nei gradi di merito.

Non sarà superfluo sottolineare, a tal riguardo, che la Presidenza del Consiglio dei Ministri nel proprio atto d’appello:

-) alle pp. 2-4 affrontò il problema della conformità dell’ordinamento interno a quello comunitario;

-) alle pp. 4-5 affrontò il problema della effettiva dimostrazione, da parte degli attori, della frequenza della scuola per tutta la durata del corso, a tempo pieno e senza svolgere altre attività;

-) alle pp. 5-6 affrontò il problema della prescrizione;

-) alle pp. 6-7 affrontò il problema della posizione specifica di D.V..

Mancava, dunque, nell’atto d’appello a suo tempo proposto dalla Presidenza del Consiglio, qualunque contestazione circa la corrispondenza tra le specializzazioni conseguite da C.N.M., Fa.Co., F.C., B.G., A.M.P., G.P.A. ed D.P.E., e l’esistenza di specializzazioni equipollenti in almeno due Stati membri dell’UE.

2.3. In secondo luogo il motivo sarebbe in ogni caso inammissibile perchè quel che rileva ai fini dell’attribuzione del diritto all’indennizzo non è la esatta corrispondenza nominale tra la specializzazione conseguita in Italia e quella comune a tutti od almeno due Paesi dell’unione; rileva invece l’equipollenza di contenuto sostanziale tra la specializzazione conseguita in Italia e quelle elencate negli artt. 5 e 7 della direttiva.

Tuttavia lo stabilire se vi sia o non vi sia tale equipollenza è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, sicchè l’averla ritenuta sussistente od insussistente non è questione censurabile in sede di legittimità, come già ritenuto più volte da questa Corte (Sez. 6-3, Ordinanza n. 3833 del 14.2.2017; Sez. L, Sentenza n. 191 del 11.1.2016; Sez. L, Sentenza n. 20502 del 13.10.2015; Sez. 3, Sentenza n. 22892 del 10.11.2016; tali decisioni hanno ritenuto “nuova”, e perciò inammissibile, la questione della equipollenza tra specializzazioni, sollevata per la prima volta in sede di legittimità).

Da ultimo, le stesse Sezioni Unite di questa Corte, affrontando il problema, hanno stabilito che l’eccezione concernente la non conformità ai requisiti previsti dalla normativa comunitaria dei corsi frequentati dai medici specializzati in Italia deve essere “tempestivamente svolta in sede di merito, e presuppone anche accertamenti di fatto non consentiti in questo giudizio di legittimità”: così Sez. U, Sentenza n. 19107 del 18.7.2018).

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo la Presidenza del Consiglio lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2043,2056,1223 e 1226 c.c.; L. 19.0.1999, n. 370, art. 11; D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6.

Sostiene che la Corte d’appello avrebbe liquidato l’indennizzo dovuto agli attori in misura non coerente con le indicazioni del giudice di legittimità. Spiega che il Tribunale ha liquidato agli attori Euro 7.500 per ogni anno di frequentazione della scuola invece che Euro 6.713,94, come avrebbe dovuto fare assumendo a parametro le disposizioni della L. n. 370 del 1999.

3.2. Il motivo è inammissibile perchè estraneo alla ratio decidendi.

Si legge infatti nella sentenza d’appello, pagina 8, penultimo capoverso, che il criterio di quantificazione dell’indennizzo adottato dal primo giudice, ovvero Euro 7.500 per ogni anno di frequenza della scuola di specializzazione successivo al 1983, “non è stato contestato da alcuna delle parti”.

Il giudice d’appello, dunque, non ha affatto provveduto direttamente alla stima del quantum debeatur, ma si è limitato a rilevare l’esistenza d’un giudicato interno su tale questione.

Giusta o sbagliata che fosse tale statuizione, la ricorrente aveva l’onere di impugnarla: il che non è stato fatto, nè la ricorrente indica se, quando ed in che termini abbia in grado di appello impugnato la stima del danno compiuta dal primo giudice.

4. Le spese.

4.1. Nel rapporto processuale tra l’amministrazione ricorrente e R.M. le spese del giudizio di appello e del presente giudizio di legittimità possono essere compensate interamente tra le parti, in considerazione dell’oggettiva controvertibilità della materia, che ha richiesto l’intervento sia delle Sezioni Unite di questa Corte, sia della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

4.2. Nel rapporto processuale tra l’amministrazione ricorrente e gli altri controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) accoglie il primo motivo di ricorso con riferimento alla posizione del solo R.M. e lo rigetta nel resto; cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da R.M.;

(-) compensa integralmente tra R.M. e la Presidenza del consiglio dei Ministri le spese del presente giudizio di legittimità e del giudizio di appello;

(-) dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo di ricorso;

(-) condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri alla rifusione in favore dei controricorrenti indicati in epigrafe, in solido e con l’eccezione del solo R.M., delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 19.000, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 20 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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