Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1056 del 17/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1056 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: RUBINO LINA

ORDINANZA
sul ricorso 21653-2016 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONAITh. DELLA PREVIDENZA
SOCIALE, in persona del legale rappresentante, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 29, presso
l’AVVOCATURA CENTRALE DI-,2 LIASTITUTO, rappresentato e
difeso dagli avvocati LIDIA CARCAVALLO, ANTONELI,A
PATTERI, LUIGI CALIULO, SERGIO PRIDEN;

– ricorrente contro
CELESTI FERNANDO, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NADIA PARISI;

– contro ricorrente –

Data pubblicazione: 17/01/2018

contro
BARBIERI NICOLA;

– intimato avverso la sentenza n. RGF, 8499/2013 del TRIBUNALE di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata dell’08/11/2017 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
L’INPS propone ricorso per cassazione articolato in un unico
motivo avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione del
Tribunale di Foggia adottato in data 14 marzo 2016, nei
confronti di Celeste Fernando e Barbieri Nicola; il solo Celeste
resiste con controricorso.
Questa la vicenda: intrapresa una esecuzione nelle forme
del pignoramento presso terzi dal creditore Celeste nei
confronti del terzo pignorato INPS per debiti del Barbieri, il g.e.
provvedeva all’assegnazione del credito. Affermando di aver
reso dichiarazione negativa, l’INPS proponeva opposizione agli
atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione, che veniva
dichiarata inammissibile in quanto tardiva con il provvedimento
del giudice dell’esecuzione reso a chiusura della fase
sommaria, senza fissazione di un termine per l’inizio della fase
di merito e con liquidazione delle spese di giudizio. Avverso il
predetto provvedimento propone ricorso l’Inps.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di
consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod.
proc. civ., su proposta del relatore, in quanto ritenuto
inammissibile.

Ric. 2016 n. 21653 sez. M3 – ud. 08-11-2017
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FOGGIA, emessa il 14/03/2016;

Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, preso atto delle
argomentazioni contenute nella memoria del ricorrente, ritiene
di condividere la soluzione proposta dal relatore.
Come già affermato dalla giurisprudenza ormai consolidata di
questa Corte (da ultimo, Cass. n. 3082 del 2017; Cass. n.

inammissibile, poiché proposto avverso un provvedimento che
non è definitivo né decisorio. Esso è stato emesso a
conclusione della fase svoltasi dinanzi al giudice dell’esecuzione
del giudizio di opposizione agli atti esecutivi. Con il
provvedimento impugnato il giudice dell’esecuzione ha
dichiarato inammissibile l’opposizione, senza concedere il
termine per l’instaurazione del giudizio di merito. Malgrado il
giudice dell’esecuzione non abbia fissato il termine per l’inizio
del giudizio di merito, come disposto dall’art. 618 cod. proc.
civ., il provvedimento impugnato non si può reputare
definitivo, quindi suscettibile di ricorso straordinario per
Cassazione ex art. 111 Cost.,come sostenuto dalla ricorrente.
Ed invero, non può reputarsi precluso l’accesso dì quest’ultima,
già opponente, alla tutela a cognizione piena, per le ragioni di
cui appresso:
– il giudizio di opposizione agli atti esecutivi è soggetto alla
disciplina di cui agli artt. 617-618 c.p.c. nel testo sostituito,
con decorrenza dal 10 marzo 2006, dalla legge n. 52 del 2006;
la seconda di tali norme prevede che il giudice dell’esecuzione
fissi un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di
merito, previa iscrizione a ruolo a cura della parte interessata,
osservati i termini a comparire di cui all’art. 163-bis c.p.c., o
altri se previsti, ridotti della metà; la norma va letta in
combinato disposto con l’art. 617 c.p.c. e con la prima parte
dello stesso art.618 c.p.c., che prevedono che sia il giudice
Ric. 2016 n. 21653 sez. M3 – ud. 08-11-2017
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25064 del 2015), il ricorso straordinario per cassazione è

dell’esecuzione a provvedere sull’istanza di sospensione del
processo esecutivo ovvero di adozione di provvedimenti
indilazionabili;
– il sistema di norme modificate dalla legge n. 52 del 2006 ha
innovato rispetto al regime precedente, secondo il quale era lo

prosecuzione del giudizio (relativo all’opposizione agli atti
esecutivi) con le forme della cognizione ordinaria. Le nuove
norme hanno escluso l’automatismo della prosecuzione con la
cognizione piena; il giudice dell’esecuzione, dopo avere
provveduto sull’istanza di sospensione, si limita a fissare un
termine per l’introduzione della causa di merito ed è quindi
rimesso all’iniziativa della parte interessata l’effettivo inizio di
tale giudizio nel termine fissato;
– il provvedimento di fissazione del termine per l’inizio del
giudizio di merito, concretandosi in una autorizzazione
(peraltro dovuta ex lege) all’introduzione del giudizio di merito
siccome ricollegato alla precedente fase sommaria e diretto
anche alla discussione sugli eventuali provvedimenti sommari
adottati in quella fase, si connota come provvedimento lato
sensu istruttorio, cioè sull’ordine del procedimento (così, tra le
tante, Cass. ord. n. 20532/2009 e n. 15630/2010).
Il vizio del provvedimento consistente nell’omessa concessione
del termine in parola trova un rimedio nell’ordinamento,
precisamente nell’art. 289 c.p.c., secondo il cui comma primo i
provvedimenti istruttori che non contengono la fissazione
dell’udienza successiva o del termine entro il quale le parti
debbono compiere gli atti processuali possono essere integrati
su istanza di parte o d’ufficio, entro il termine perentorio di sei
mesi dall’udienza in cui i provvedimenti furono pronunciati,
oppure dalla loro notificazione o comunicazione se prescritte;
Ric. 2016 n. 21653 sez. M3 – ud. 08-11-2017
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stesso giudice dell’esecuzione che all’udienza disponeva la

- la ricorrente, dunque, avrebbe dovuto chiedere al giudice
dell’esecuzione di integrare il provvedimento ai sensi dell’art.
289 c.p.c. e non, sull’assunto della sua qualificazione come
sentenza in senso sostanziale, ricorrere per cassazione;
– peraltro, in fattispecie quale quella oggetto della presente

neppure obbligato, dal momento che la stessa ricorrente,
anche a prescindere dalla formulazione di un’istanza ai sensi
dell’art. 289 c.p.c., avrebbe potuto iscrivere la causa di
opposizione al ruolo contenzioso (cfr. Cass. ord. n. 20532/2009
cit.).
Quanto

all’assunto

della

ricorrente

secondo

cui

il

provvedimento impugnato si dovrebbe ritenere
sostanzialmente una sentenza, non può che farsi integrale
rinvio alla motivazione del precedente di questa Corte n.
22033/2011, che si è occupato

funditus della questione.

Appare qui sufficiente ribadire che, se è vero che il giudice
dell’esecuzione ha definito, davanti a sé, il giudizio col
provvedimento oggi impugnato, per contro, tale
provvedimento, essendo stato emesso da un giudice investito
di una cognizione sommaria e, pertanto, destinata a sfociare in
provvedimenti ridiscutibili secondo le regole della cognizione
piena e, dunque, del tutto provvisori, « non può acquisire
una forza diversa a cagione della sua irritualità e, quindi, non
può considerarsi “definitivo” dell’azione, nonostante che
l’irritualità consista proprio nella chiusura illegittima del
procedimento. Questa chiusura è essa stessa del tutto
provvisoria e non definitiva» poiché riguarda solo la fase
sulla quale il giudice doveva provvedere, in via appunto
provvisoria, in vista della possibile evoluzione dell’azione con la
cognizione piena; cognizione nient’affatto preclusa alla
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decisione, il ricorso al rimedio dell’art. 289 c.p.c. non è

ricorrente, che si sarebbe potuta avvalere dei rimedi sopra
richiamati.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al
dispositivo.
Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo

soccombenza della ricorrente, la Corte, ai sensi dell’art. 13
comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 , dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma
del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Pone a carico del
ricorrente le spese di lite sostenute dal controricorrente Celeste
Fernando e le liquida in euro 2.200,00, oltre 200,00 per
esborsi, oltre accessori e contributo spese generali. Dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione
1’8 novembre 2017
Il Presidente
dott. Adelaide Amendola

OAM

posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della

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