Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10559 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2021, (ud. 08/10/2020, dep. 21/04/2021), n.10559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9461-2015 proposto da:

S.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

48, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CORVASCE, rappresentato

e difeso dall’avvocato PIETRO SIRAGUSA;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati TERESA OTTOLINI, LUCIANA ROMEO, che

lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2432/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 14/01/2015 R.G.N. 1435/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza in data 14 gennaio 2015, la Corte di Appello di Palermo, riformando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda dell’attuale ricorrente volta al riconoscimento della rendita per l’infortunio sul lavoro occorso nel (OMISSIS);

2. la Corte territoriale ha ravvisato il rischio elettivo, non indennizzabile, nel coinvolgimento, e conseguente ferimento, dell’attuale ricorrente nell’agguato, ad opera di ignoti, in carenza di idonea prova che il lavoratore fosse rimasto implicato nel tragico evento (in cui perirono due colleghi) in dipendenza ovvero in occasione della sua attività lavorativa (di operatore ecologico);

3. in particolare, la Corte del gravame riteneva, dal testimoniale acquisito alla causa, che non vi fosse stato un ordine vincolante impartito dal preposto (deceduto nell’evento) di dover raggiungere la sede aziendale, nella località teatro dell’agguato, per consegnare fogli presenza dei lavoratori, e che fosse rimasta indimostrata la ragione per cui il lavoratore, con mansioni di semplice operatore ecologico e in quanto tale non tenuto alla consegna quotidiana di fogli presenza o altri documenti, si fosse recato presso la sede operativa di Bagheria, nel giorno del tragico evento, concludendo, perciò, nel senso della libera scelta di recarvisi;

4. avverso tale sentenza S.I. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al quale ha opposto difese l’INAIL con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

5. si denuncia – deducendo violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2 erronea valutazione della ricorrenza, in concreto, del parametro normativo dell’occasione di lavoro e motivazione omessa, insufficiente, erronea – la lettura restrittiva del requisito dell’occasione di lavoro per avere la Corte di merito considerato l’evento infortunistico sotto il profilo della mera oggettività materiale e sottovalutato la portata del grave fatto delittuoso, come tale escludente qualsiasi coinvolgimento del lavoratore nella condotta dei due colleghi che aveva seguito, esorbitante dal normale svolgimento dell’attività lavorativa e posta in essere nell’esecuzione dell’ordine di un superiore (primo motivo); violazione dell’art. 2697 c.c., anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere fondato la decisione sulla mancata prova di un fatto storico di impossibile dimostrazione, quale il rifiuto degli altri dipendenti di eseguire l’ordine del superiore (perito nell’agguato) prima che il medesimo ordine venisse rivolto allo S. e per avere onerato il lavoratore di una prova, impossibile e ininfluente sulla decisione (la mancata irrogazione della sanzione conseguente all’insubordinazione degli altri dipendenti), e avere erroneamente ritenuto assolto l’onere probatorio, a carico dell’INAIL, in ordine alla scelta personale del lavoratore di essersi trovato sul luogo dell’agguato (secondo motivo); si denuncia, ancora, violazione dell’art. 2697 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte di merito omesso di porre a fondamento della decisione fatti non specificamente contestati dall’INAIL e avere sollevato, d’ufficio, un’eccezione proponibile soltanto dalle parti, quale la mancanza di prova del rifiuto degli altri lavoratori da sanzionare, ad avviso della Corte territoriale, come insubordinazione (terzo motivo); il quarto mezzo, col quale si ripropongono le medesime censure, con l’aggiunta della devoluzione del vecchio vizio di motivazione e dell’art. 360 c.p.c., n. 4, denuncia l’insufficiente esplicazione del convincimento del giudice in ordine all’ininfluenza, ai fini dell’aggravamento del rischio generico, delle circostanze di tempo e luogo pacificamente accertate e consistenti nell’essere al momento dell’infortunio sul percorso per recarsi in sede per depositare fogli di servizio con un rischio di danno per il lavoratore impegnato nell’esercizio delle sue mansioni a prescindere dall’individuazione della specifica incombenza cui attendeva, omettendo di prendere in considerazione il fatto storico rilevante, quale l’evento delittuoso da cui era derivato il decesso di Z. e L.G. e il ferimento del ricorrente;

6. il ricorso è inammissibile;

7. invero, pur a fronte delle censure di error in iudicando, in realtà la parte ricorrente lamenta essenzialmente una erronea valutazione delle circostanze fattuali che, se rettamente apprezzate, avrebbero dovuto condurre ad un diverso esito, tentando di far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, tali aspetti del giudizio tutti interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attinenti al libero convincimento del giudice, nella specie nell’apprezzare, nella condotta del lavoratore infortunatosi, il rischio elettivo non indennizzabile;

8. risulta, inoltre, inammissibilmente dedotto il vizio di motivazione della sentenza impugnata perchè non collocabile nel paradigma del novellato art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, come sostituito dal D.L. n. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (v. Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053 e numerose successive conformi);

9. le Sezioni unite della Corte, con la citata sentenza n. 8053 del 2014, hanno, fra l’altro, precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie con la conseguenza che in sede di legittimità non è data ora (come del resto non era altrimenti data allora, vigente il testo precedente dell’art. 360 c.p.c., n. 5) la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un fatto storico, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete;

10. inadeguate, dunque, le censure svolte secondo il paradigma del vizio di motivazione nel paradigma antecedente alla novella del 2012, neanche risulta pertinente la censura di omesso esame dell’evento delittuoso, preso in considerazione, invece, dalla Corte nel percorso argomentativo di apprezzamento del compendio probatorio nel senso dell’accertata libera scelta del lavoratore, al di fuori delle mansioni di operatore ecologico alle quali era addetto, di seguire i due colleghi, uno dei quali preposto gerarchicamente, verso la sede operativa;

11. ed ancora, con le censure svolte si tenta di introdurre surrettiziamente il riesame del merito dell’intera vicenda e, pertanto, va ricordato che, quanto alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., siffatta doglianza, in continuità con i numerosi precedenti di questa Corte (v., ex multis, Cass. n. 8554 del 2018), è configurabile, integrando motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata, secondo le regole dettate da quella norma, mentre laddove la censura sia incentrata sulla valutazione delle risultanze istruttorie, attività regolata dagli artt. 115 e 116 c.p.c., il relativo vizio può essere fatto valere, ai sensi del n. 5 del citato art. 360 codice di rito, secondo il paradigma del novellato vizio di motivazione, secondo l’interpretazione data dalla già richiamata sentenza delle Sezioni unite della Corte (nn. 8053 e 8054 del 2014 cit. e numerose successivi conforme);

12. in definitiva il ricorso, in tutte le articolazioni e mezzi d’impugnazione, sollecita inammissibilmente la riformulazione della valutazione di merito effettuata dalla Corte territoriale nell’apprezzamento del contesto e delle modalità in cui avvenne l’infortunio, valutazione insindacabile in questa sede di legittimità (v., fra le tante, Cass. n. 12487 del 2015; Cass. n. 2451 del 2011; Cass. n. 447 del 1998) non ravvisandosi neanche, nella statuizione impugnata, la radicale carenza di motivazione o il suo estrinsecarsi in argomentazioni inidonee a rivelare la ratio decidendi (nei termini affermati da Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014 cit.);

13. segue coerente la condanna al pagamento delle spese del giudizio;

14. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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