Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10558 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 13/05/2011), n.10558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5357-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

M.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 70/2005 della COMM.TRIB.REG. di PERUGIA,

depositata il 11/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. CARACCIOLO Giuseppe;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIACOBBE DANIELA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto, in subordine

l’accoglimento per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il 3.2.2006 è stato notificato a M.A. un ricorso del Ministero delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata l’11.10.2005), che – dichiarata l’estinzione per i tre avvisi di accertamento relativi agli anni 1991, 1992 e 1993 – ha anche dichiarato dovute le somme determinate nella consulenza tecnica disposta in corso di causa, in riferimento agli altri avvisi di accertamento, così di fatto riformando parzialmente la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Perugia n. 352/01/1998, che aveva integralmente accolto il ricorso della parte contribuente avverso i predetti avvisi.

Non ha svolto attività difensiva la parte contribuente.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 23.2.2011, in cui il PO ha concluso per il rigetto del ricorso.

2. 1 fatti di causa.

Con i menzionati “avvisi” (per quanto si desume dal ricorso per cassazione) l’Agenzia aveva rettificato le dichiarazioni IVA di M.A. relative agli anni 1989, 1990 e 1991 ed irrogato le correlate sanzioni, sulla premessa che la contribuente “facesse parte di un sistema illecito inteso a truffare la Comunità Europea” a mezzo di transazioni (inesistenti) di semi in quantità eccessiva rispetto al terreno a sua disposizione. L’adita CTP aveva integralmente accolto (dopo averli riuniti) i ricorsi contro i predetti avvisi di rettifica e l’Agenzia aveva poi impugnato la pronuncia di primo grado avanti alla CTR di Perugia che -dopo avere disposto una consulenza tecnica- si era richiamata integralmente agli esiti di detta consulenza, rideterminando l’ammontare delle imposte dovute, in conformità a detti esiti, per alcuni degli “avvisi” e dichiarando estinti per condono gli avvisi di accertamento relativi agli anni 1991-1992 e 1993.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR. oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso della conferma integrale della ricostruzione contabile sia del reddito sia delle imposte effettuata dal ctu nel suo elaborato, poi integrato a seguito di osservazioni delle parti, e nel senso di considerare corretto il criterio dal consulente applicato onde evitare la “doppia imposizione”, senza che potesse rilevare il fatto che il contribuente aveva sollevato la relativa eccezione solo nell’udienza del 26.2.2002, atteso che è oggetto del processo tributario la determinazione della giusta imposta, indipendentemente dalla precisa indicazione dell’ammontare di quella fatta dalle parti.

4. Il ricorso per cassazione Il ricorso per cassazione è sostenuto con due motivi d’impugnazione e si conclude – senza indicazione del valore della lite – con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni consequenziale pronuncia anche in ordine alle spese di lite.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Questione preliminare.

Preliminarmente necessita rilevare l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero delle Finanze.

Quest’ultimo non è stato parie del processo di appello (instaurato dopo il 1 gennaio 2001 – data di inizio dell’operatività delle Agenzie fiscali – dal solo Ufficio locale dell’Agenzia) sicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente grado.

6. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione degli art. 112 e 191 e segg. c.p.c.; D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e seg. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivi della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5)”.

La parte ricorrente si duole sia del fatto che il giudicante abbia fondato la propria decisione sul presupposto, ipotetico, “che potesse parlarsi giuridicamente di Gruppo Marconi” (presupposto rivelatosi insussistente) sia del fatto che “su tali puntuali contestazioni” (cioè, per di capire, quelle contenute da pag. 19 a pag. 28 del ricorso per cassazione) nulla abbia detto la Commissione di secondo grado.

Entrambi i profili del complesso motivo di impugnazione sono inammissibili.

La parte ricorrente infatti non ha premesso in alcun modo la ricostruzione dei fatti di causa e degli antefatti, limitandosi a trascrivere nella parte narrativa del ricorso la parte narrativa della sentenza di primo grado, dalla quale pure è impossibile ricostruire la concreta materia controversa nei gradi di merito e ricostruire la residua materia rimasta fin qui controversa, anche alla luce del fatto che il giudice d’appello ha dichiarato estinti alcuni degli “avvisi di accertamento” di cui pare che si tratti.

avvisi che la parte ricorrente ha qualificato “A.R.” (ciò che forse deve intendersi come avvisi di rettifica), sicchè neppure si intende chiaramente a quali tra tutti questi atti impositivi le considerazioni e le censure siano riferite.

In questo deserto di fatti ed antefatti (per aggirare il quale non è di alcun ausilio la sentenza di secondo grado, che si occupa – in termini assai laconici – del solo sviluppo di quel grado di giudizio) la parte oggi ricorrente prospetta vizi di violazione di norme sostanziali o vizi di motivazione i quali non consentono certo a questa Corte di provvedere al diretto esame degli atti di causa, dei quali ultimi, peraltro, non risulta neppure che la parte ricorrente abbia fatto istanza affinchè siano acquisiti al fascicolo del presente grado di giudizio.

A sostegno delle predette censure, inoltre, la parte ricorrente recupera critiche all’elaborato consulenziale già sviluppate in una “memoria di discussione” (che viene trascritta in ricorso per lunghi brani) delle quali non si intende l’attinenza con le questioni qui controverse, non essendo noto neppure quali fossero le indagini commissionate al ctu e quali fossero i precisi esiti di dette indagini e quali le conclusioni a cui il ctu è poi specificamente pervenuto.

Nè si intende in che modo si coordinino nei prolissi argomenti addotti a sostegno della censura qui in esame le norme menzionate in rubrica, delle quali resta oscuro se e dove il giudice d’appello abbia fatto violazione o falsa applicazione, ovvero quale sia il fatto controverso (e quale ne sia la decisività) che sarebbe stato trascurato dal decidente.

Si tratta insomma (nonostante la corretta formulazione della rubrica) di una vera e propria critica a forma libera (e peraltro disorganica) agli sviluppi del processo di secondo grado, ciò che contraddice la precisa conformazione di critica a forma vincolata che è invece assegnata dalla legge di rito ai motivi di impugnazione del ricorso per cassazione.

Consegue da ciò che il motivo debba ritenersi complessivamente inidoneo e frustraneo, anche alla luce del fatto che esso è apertamente in conflitto con il principio di autosufficienza che presiede alle modalità di conformazione del ricorso per cassazione.

Ed infatti: “Poichè l’interesse ad impugnare con il ricorso per cassazione discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole, è necessario, anche in caso di denuncia di un errore di diritto a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso (correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento de fatto), indicando in maniera adeguata la situazione di fatto della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice a quo, asseritamente erronea” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 9777 del 19/07/2001).

7. Il secondo motivo d’impugnazione.

Il secondo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57; art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Omessa o e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

La parte ricorrente lamenta che il giudice del merito abbia escluso che dovesse considerarsi “domanda nuova” la questione relativa alla doppia imposizione ed inoltre lamenta che il giudice del merito non abbia dato adeguatamente conto di come la questione concernente la doppia imposizione avesse potuto trovare idonea emersione nel contesto di un tema controverso imperniato sul tema della falsità delle operazioni di vendita, e cioè il motivo per il quale era stato adottato l’accertamento del maggior reddito.

I due profili di censura possono essere contestualmente esaminati, giacchè strettamente connessi tra loro.

Se è vero che dovrebbero valere anche per questo motivo di impugnazione le considerazioni relative al motivo che precede, in relazione alla impossibilità di intenderne il senso complessivo in difetto della descrizione della materia del contendere e della produzione in giudizio degli atti processuali (la più volte menzionata consulenza tecnica, in particolare), dai quali si possa evincere in che termini “la doppia imposizione” abbia avuto rilevanza ai fini della soluzione assegnata alle domande di causa, occorre evidenziare tuttavia che quella ora è in esame appare censura assai più puntuale, riferita com’c ad un preciso fatto di rilevanza processuale, nonostante l’erroneo riferimento – nella rubrica – al vizio enumerato sub 3 dell’art. 360 c.p.c. riferimento emendabile in ragione dell’effettivo contenuto del motivo.

La Commissione di appello manifesta infatti il convincimento che il riscontro dell’eccezione formulata dalla parte contribuente solo in udienza (con riferimento alla violazione del divieto di doppia imposizione) non implichi elusione del divieto di “nova” in appello, e ciò per il solo fatto che è insito nei poteri che competono al giudice tributario anche quello volto alla determinazione del giusto ammontare dell’imposta, ciò che si ottiene anche attraverso il rimedio alle illegittime duplicazioni di imposta. Ed è appunto di questo che si duole la parte ricorrente, che ne prospetta la contrarietà con la norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.

Orbene, nella specie di causa non è chiaro – poichè il giudice del merito sul punto non approfondisce gli antefatti di causa – quali siano i fatti pacificamente acclarati in causa che facciano emergere la sussistenza di una duplicazione d’imposta sì da legittimare i giudicante a tener conto di sua eselusiva iniziativa del divieto di doppia imposizione, nè è possibile intendere (anche per la troppo sintetica ricostruzione che il giudicante ebbe a fare delle domande e prospettazioni delle parti) che cosa l’eccezione proposta dalla parte contribuente nel corso del secondo grado di giudizio intendesse effettivamente tutelare.

Non vi è dubbio tuttavia sul fatto che, esaminando sua sponte la tematica della duplicazione d’imposta che pacificamente non aveva avuto emersione nel corso del primo grado di giudizio (e così svalutando il dato della tardività dell’eccezione di parte), il giudice di appello ha modificato l’oggetto sostanziale della controversia – incardinato sulla questione della genuinità delle cessioni di merci – ed ha consentito che avesse irrituale emersione una questione necessariamente soggetta al rilievo di parte, cui compete allegare e comprovare sin dal primo grado di giudizio che. in relazione al medesimo presupposto di imposta, sia già stato adempiuto l’obbligo tributario.

Ed infatti, nel processo tributario la violazione del divieto di domanda nuova si realizza quante volte il contribuente nell’atto di gravame introduce una “causa petendi” nuova e fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, in termini tali che per decidere la lite è necessario prendere in considerazione fatti nuovi e differenti rispetto a quelli dedotti (ed accertati) in primo grado (Cass. Sez. 5. Sentenza n. 16829 del 30/07/2007 e Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10864 del 23/05/2005; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7766 del 03/04/2006), appunto perchè in tal modo si realizza l’inserimento nel processo di un nuovo tema di indagine estraneo all’ambito di quello oggetto dell’originario “thema decidendum”.

Non essendosi il giudice di appello attenuto a siffatti principi, la sentenza deve essere cassata e la causa rimessa al medesimo giudice di secondo grado che, in diversa composizione, rinnoverà l’esame delle questioni in controversia legittimamente sottoposte all’esame e provvedere alla regolazione delle spese anche di questo grado di giudizio.

Nulla sulle spese, in difetto di espletamento di attività difensiva da parte dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero delle Finanze. Accoglie il secondo motivo del ricorso dell’Agenzia;

dichiara inammissibile il primo motivo. Rinvia la causa alla CTR di Perugia in diversa composizione, che provvedere anche alla regolazione delle spese di questo grado.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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