Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10557 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/04/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 30/04/2010), n.10557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

N.S., elettivamente domiciliato in. ROMA, VIA SANTA

MARIA MEDIATRICE 1, presso lo studio dell’avvocato ARPINO MARIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PERROTTA GINO, giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

e sul ricorso 18737-2009 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

N.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SANTA

MARIA MEDIATRICE 1, presso lo studio dell’avvocato ARPINO MARIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PERROTTA GINO, giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1252/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 28/08/2008 R.G.N. 891/04 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2010 dal Consigliere Dott. NAPOLETANO Giuseppe;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega GRANOZZI GAETANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammissibilita’ per il

ricorso n. 23503/06; rigetto per il ricorso n. 18737/09.

 

Fatto

IN FATTO E DIRITTO

La Corte rilevato che:

il giudice di appello di Catanzaro, con sentenza n. 315 del 2006, ha, confermando la sentenza di primo grado, dichiarato l’illegittimita’ del termine apposto al contratto di lavoro stipulato in data (OMISSIS), a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, ecc.., in data 1/2/2000 fra il lavoratore in epigrafe da una parte, e Poste Italiane s.p.a. dall’altra;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso, iscritto al n. 23500/06 del Registro Generale, la societa’ Poste Italiane affidato a quattro motivi; il lavoratore ha resistito con controricorso;

Con successivo ricorso iscritto al n. 18737/09 del Registro Generale la societa’ Poste, sul presupposto che la predetta sentenza n. 315 del 2006 della Corte di Appello di Catanzaro era stata, con sentenza n. 1252/2008, revocata dalla stessa Corte di Appello di Catanzaro per errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4 ha chiesto la cassazione di tale ultima sentenza sulla base di quattro censure; ha resistito con controricorso la parte intimata; i ricorsi vanno preliminarmente riuniti per connessione soggettiva ed oggettiva; il ricorso, iscritto al n. 23500/06 del Registro Generale, proposto avverso la sentenza revocata, va dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza d’interesse ad impugnare (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278); le relative spese del giudizio di legittimita’ vanno compensate in ragione della particolarita’ della vicenda processuale; il ricorso iscritto al n. 18737/09 del Registro Generale avverso la sentenza n. 1252/2008 della Corte di Appello di Catanzaro e’ infondato;

con riferimento all’assunzione con contratto a termine stipulato, per il periodo dal 1 giugno 1999 al 31 ottobre 1999, a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane, la Corte territoriale, premesso che l’accordo de quo era disciplinato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 attribuendo rilievo decisivo al fatto che le parti avevano fissato il limite del 30 aprile 1998 (prorogato al 30 maggio 1998) alla possibilita’ di procedere con assunzioni a termine ha ritenuto il contratto a termine in esame illegittimo in quanto stipulato in epoca posteriore; la suddetta impostazione e’ stata ampiamente censurata dalla societa’ ricorrente la quale deduce, formulando i quesiti di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. la violazione dell’art. 112 c.p.c. per non aver la Corte pronunciato sulla eccepita cessazione della materia del contendere, l’avvenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso, l’errata l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla stessa definiti come attuativi e la violazione del giudicato formatosi in punto di risarcimento del danno; circa l’omessa pronuncia sulla questione della cessazione della materia del contendere, la relativa censura non e’ autosufficiente in quanto la societa’ pur deducendo di averla sollevata in appello non precisa in quali termini la stessa e’ stata formulata, impedendo in tal modo qualsiasi sindacato di legittimita’ al riguardo;

con riferimento alla questione della risoluzione del rapporto per mutuo consenso (quarto motivo) questa Corte ha avuto modo di precisare che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinche’ possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, e’ necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonche’ del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volonta’ delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimita’ se non sussistono vizi logici o errori di diritto (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva considerato la mera inerzia del lavoratore, per un periodo di oltre tre anni dopo la scadenza, insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso) (V. per tutte Cass. 10 novembre 2008 n. 26935); analogamente nella presente fattispecie la Corte del merito ha ritenuto, con motivazione congrua, che la mera inerzia del lavoratore e’ di per se’ insufficiente per configurare una risoluzione del rapporto per mutuo consenso;

relativamente alla contestata interpretazione dei contratti collettivi, con numerose sentenze questa Corte Suprema (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378), decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha univocamente confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione…), dopo il 30 aprile 1998; premesso, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilita’ di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonche’ dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accorcio attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato; da cio’ deriva che deve escludersi la legittimita’ dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo; la sopra ricordata giurisprudenza di legittimita’ ha osservato in particolare che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato letterale delle espressioni usate e’ cosi’ evidente e univoco che non necessita di un piu’ diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volonta’ delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, e’ precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453);

ha rilevato altresi’ che tale interpretazione e’ rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto,. anziche’ in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facolta’ di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioe’ che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, cosi’ definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (cosi’ testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866);

ha, infine, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volonta’ delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioe’ quando il diritto del soggetto si era gia’ perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione e’ comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilita’ dei diritti dei lavoratori gia’ perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non piu’ legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141);

il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano gia’ stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravita’ da esonerare la Corte dal dovere di fedelta’ ai propri precedenti;

deve osservarsi in proposito, con riferimento alle decisioni di questa Corte Suprema prima citate nella parte in cui esse si riferiscono all’interpretazione di norme collettive di diritto comune, che le stesse hanno comunque valenza di precedenti, ancorche’ non in senso tecnico atteso che, da un lato, lo stesso controllo di logicita’ del giudizio trova, in parte qua, le proprie coordinate nelle disposizioni di legge in tema di ermeneutica contrattuale le quali, suscettibili di lettura diretta da parte del giudice della nomofilachia, costituiscono obbligato punto di riferimento nella ricerca e nell’identificazione dei punti decisivi per la ricostruzione dell’effettiva volonta’ delle parti stipulanti;

dall’altro, le clausole delle fonti collettive, per la loro naturale riferibilita’ ad una serie indeterminata di destinatari e per il loro carattere sostanzialmente normativo, non sono assimilabili completamente a quelle di un normale contratto o accordo, sicche’, neanche rispetto ad esse e’ trascurabile il fine di assicurare ai potenziali interessati, per quanto possibile e per quanto non influenzato dalle insopprimibili peculiarita’ di ciascuna fattispecie, quella reale parita’ di trattamento che si fonda sulla stabilita’ degli orientamenti giurisprudenziali, specialmente sollecitata quando, come nella specie, assuma icastica evidenza l’identita’ dei percorsi logici seguiti nelle decisioni progressivamente portate all’esame del giudice di legittimita’ e dei contesti difensivi nei quali tali decisioni risultano calate (Cass. 29 luglio 2005 n. 15969);

il motivo, poi, proposto dalla societa’ Poste in relazione al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in punto di negate conseguenze economiche derivanti dalla accertata invalidita’ dell’apposizione del termine e’ infondato; invero nella parte dispositiva della sentenza impugnata, che prevale in caso di contrasto con la parte motivazionaie (Cass. 9 luglio 1997 n. 7425 e Cass. 14 gennaio 2000 n. 390 secondo cui incompatibili enunciazioni contenute nella motivazione non sono suscettibili di passare in giudicato ed arrecare alcun pregiudizio giuridicamente apprezzabile), la Corte territoriale, nel dichiarare la nullita’ del termine apposto al contratto del 1.6.99 accertando che da tale data si e’ instaurato un rapporto a tempo determinato fra le parti, ha confermato nel resto la sentenza di 1 grado, non incorrendo, pertanto in alcuna violazione del dedotto giudicato interno;

il ricorso in esame,quindi, va rigetto con condanna, per il principio della soccombenza, della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’.

PQM

LA CORTE Riuniti i ricorsi dichiara inammissibile il ricorso iscritto al n. 23500/06 del Registro Generale avverso la sentenza n. 315 del 2006 della Corte di appello di Catanzaro e compensa le relative spese del giudizio di legittimita’. Rigetta il ricorso iscritto al n. 18737/09 del Registro Generale avverso la sentenza n. 1252/2008 della Corte di Appello di Catanzaro e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ liquidate in Euro 17,00 oltre Euro 2.000,00 per onorario ed oltre spese, IVA e CPA. Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

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