Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10556 del 07/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 10556 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 10855-2009 proposto da:
BRITTI

ALDO

BRTLDA23E15H501W,

MZZPLA29P23L407S,

GUERRIERI

MAZZAROTTO

PAOLO

MICHELANGELO

GRRMHL24E18H501I, FLORIO ANGELO FLRNGL24S17Z352W,
BORSESE SILVIO BRSSLV23A02H501C, DE MARCHI GIORGIO
DMRGRG26B22B157K, FILIPPINI LERA MARIO
2013
134

v

FLPMRA19M20H501T, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA SESTO RUFO 23, presso lo studio degli avvocati
MOSCARINI LUCIO VALERIO e BRUNO TAVERNITI, che li
rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– ricorrenti –

Data pubblicazione: 07/05/2013

contro

,

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A. 09339391006, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso
lo studio degli avvocati PESSI ROBERTO e GIAMMARIA

procura notarile in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5901/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 09/05/2008 r.g.n. 1263/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/01/2013 dal Consigliere Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito l’Avvocato TAVERNITI BRUNO;
udito l’Avvocato SERRANI TIZIANA per delega PESSI
ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

FRANCESCO, che la rappresentano e difendono giusta

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Udienza 16/1/2013
Filippini Lera Mario +5 c/
Banca nazionale del Lavoro
S.p.A.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Mario Filippini Lera, Aldo Britti, Paolo Mazzarotto, Michelangelo Guerrieri,
Saverio Borsese, Giorgio De Marchi e Angelo Florio, tutti ex dirigenti (direttori e/o

il 1987 ed il 1993, dopo aver sottoscritto con la banca accordi transattivi individuali,
analoghi nei contenuti, in relazione alla determinazione del c.d. “assegno periodico
integrativo”, adivano il giudice del lavoro del Tribunale di Roma denunciando
l’illegittimità del comportamento della Banca che, dopo aver per alcuni anni
proceduto all’adeguamento periodico dell’assegno in questione, applicando il
meccanismo concordato (indici ISTAT per il costo della vita con periodicità uguale a
quella con cui venivano rinnovati i c.c.n.l. per i dirigenti del settore credito), dal
luglio 2000 non aveva più provveduto a tale adeguamento, adducendo di dover
rispettare i meno favorevoli meccanismi di rivalutazione inderogabili previsti dalla
legislazione vincolistica in materia (art. 11 d.lgs. n. 503 del 1992, art. 59, comma 4,
legge n. 449 del 1997, art. 34 legge n. 448 del 1998, art. 69 legge n. 388 del 2000).
Chiedevano, pertanto, che, previo accertamento dell’obbligo della Banca di dare
corretto e completo adempimento agli accordi conciliativi intervenuti tra le parti, la
stessa fosse condannata alla rideterminazione dell’assegno dovuto. Il Tribunale
rigettava la domanda e la decisione veniva confermata dalla Corte di appello di
Roma. Quest’ultima, in particolare, riteneva che l’assegno in questione avesse natura
ontologicamente previdenziale e non retributiva con la conseguenza che allo stesso
era applicabile la legislazione prevista per i trattamenti pensionistici e che i ricorrenti
non potessero fondatamente addurre una pretesa intangibilità degli accordi transattivi
intervenuti sia per l’operatività del principio

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rebus sic stantibus sia per la

condirettori) centrali della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., cessati dal servizio tra

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esittin,L
sopravvenuta parziale illtà della causa in ragione delle nuove norme, imperative
ed inderogabili, r4’disciplinanti il meccanismo di rivalutazione dei trattamenti
pensionistici in un’ottica di contenimento della spesa previdenziale.

Paolo Mazzarotto, Michelangelo Guerrieri, Saverio Borsese, Giorgio De Marchi e
Angelo Florio, affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso la Banca Nazionale del Lavoro S.p.A..
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano: “Violazione e falsa applicazione
dell’art. 11 d.lgs. n. 503 del 1992, dell’art. 59, comma 4, legge n. 449 del 1997,
dell’art. 34 legge n. 448 del 1998, dell’art. 69 legge n. 388 del 2000 e di ogni norma
e principio in materia di applicabilità dei meccanismi di rivalutazione di cui alla
citata legislazione alle prestazioni di retribuzione differita. Violazione e falsa
applicazione dell’art. 1362 cod. civ. e di ogni norma e principio in materia di
interpretazione del contratto e della genetica intenzione dei contraenti. Omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo (art. 360, nn. 3, 4
r 5, cod. proc. civ.)”. Deducono che il regime normativo citato può essere applicato
alle pensioni ma non allo specifico accordo raggiunto individualmente in sede
sindacale e/o giudiziale dagli odierni ricorrentifhe non ha ad oggetto un trattamento
previdenziale. Rilevano che la Corte di appello ha ritenuto la natura previdenziale
dell’assegno in questione omettendo di valutare la comune intenzione delle parti, di
considerare la natura personale dello stesso, di tener conto del fatto che tale assegno,
a differenza di qualsivoglia altra prestazione previdenziale, non comportava e non

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Per la cassazione di tale sentenza ricorrono Mario Filippini Lera, Aldo Britti,

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comporta alcun onere diretto o indiretto per le pubbliche finanze o per fondi
previdenziali di alcun genere (ancorché autonomi) essendo erogato direttamente dal
datore di lavoro, nonché del fatto che la stessa Banca aveva precisato che si trattava

Fondi Pensione tenuto dalla Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (COVIP)
era intervenuta molti anni dopo, che non esisteva, quantomeno fino alla seconda
metà degli anni ’90, alcuna specifica “voce” o “postazione” nel bilancio della banca
che qualificasse quelle uscite quali oneri previdenziali. Evidenziano, dunque, la
natura dell’assegno, corrisposto sulla scorta di un meccanismo particolare, quale
“componente del trattamento generale”, postergata nella sua corresponsione
sottolineando che, rispetto a tale natura, irrilevante è la reversibilità dello stesso che
ben può essere contrattualmente stabilita.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano: “Violazione e falsa
applicazione dell’art. 411 cod. proc. civ., dell’art. 185 cod. proc. civ., dell’art. 1965 e
ss. e dell’art. 2113 cod. civ. e di ogni norma e principio in materia di validità della
transazione giudiziale e della transazione raggiunta in sede sindacale su diritti dei
lavoratori (art. 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.)”. Deducono che erroneamente la Corte
territoriale ha ritenuto che gli accordi raggiunti potessero essere modificati per
l’operatività del principio rebus sic stantibus e per la sopravvenuta parziale illiceità
della causa in ragione delle nuove norme. Evidenziano che i diritti oggetto delle
transazioni non potevano considerarsi soggetti alle limitazioni della normativa
sopravvenuta per la genetica diversità dell’obbligazione assunta dalla banca rispetto
a quella previdenziale. Rilevano che in ogni caso lo ius superveniens non avrebbe
potuto intaccare una intesa perfezionata in sede sindacale ovvero dinanzi all’Ufficio

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di una voce retributiva di natura differita, che l’iscrizione dell’assegno nell’Albo dei

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provinciale del lavoro ai sensi dell’art. 410 e ss. cod. proc. civ. ovvero ancora innanzi
al giudici ai sensi dell’art. 185 cod. proc. civ.. Rilevano che tale tipo di intesa integra
una transazione ai sensi dell’art. 2113 cod. civ., costituendo, altresì, titolo

l’accertamento della situazione preesistente e della violazione delle disposizioni
inderogabili di legge eventualmente attuata con l’atto transattivo.
3. Il primo motivo di ricorso è fondato alla stregua del principio, cui va data
continuità, già enunciato da questa Corte nella decisione del 16 luglio 2007, n. 15769
(seguita dalla conforme Cass. 21 giugno 2011, n. 13573): “La norma dell’art. 59,
comma 13, della legge n. 449 del 1997, che prevede la sospensione della
perequazione automatica al costo della vita, concerne solo i trattamenti previdenziali
obbligatori e quelli specificamente contemplati da tale disposizione, e non si applica
alla pensione integrativa a carico del fondo aziendale, che ha natura retributiva (e
non previdenziale)” – sulla natura retributiva si veda, altresì, Cass. 21 novembre
2012, n. 20418 -. In senso analogo si era, anche, espressa Cass., Sez. U, 1° febbraio
1997, n. 974 che aveva così precisato: “I trattamenti pensionistici integrativi
aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma, in relazione alla loro
funzione previdenziale (che spiega la sottrazione alla contribuzione previdenziale dei
relativi accantonamenti, disposta – in via di interpretazione autentica dall’art. 12 della
legge 30 aprile 1969 n. 153 – dall’art. 9 bis del D.L. 29 marzo 1991 n. 103, aggiunto
dalla legge di conversione 1 giugno 1991 n. 166), sono ascrivibili alla categoria delle
erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione
lavorativa. Ne discende la non operatività del criterio di inderogabile proporzionalità
alla quantità e qualità del lavoro, e, più in generale – con particolare riferimento alle

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equiparabile ad una pronuncia giudiziale, che preclude al giudice persino

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pensioni aggiuntive rispetto al trattamento previdenziale obbligatorio -, della
garanzia dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 2099 cod. civ.. Ne consegue, in primo
luogo, che l’autonomia privata non subisce, in linea generale, limiti alla

dette pensioni, e, in secondo luogo, che non può ritenersi pertinente – con particolare
riferimento alla sospensione del trattamento integrativo in caso di svolgimento di
determinate attività lavorative – il vincolo di destinazione delle somme allo scopo
pensionistico, posto dall’art. 2117 cod. civ.”. La natura di retribuzione differita dei
trattamenti pensionistici integrativi aziendali, sia pure con funzione previdenziale,
era stata, altresì, ribadita da Cass. 2 novembre 2001, n. 13558.
Invero l’esame delle questioni qui dibattute non può prescindere da alcune
precisazioni.
La possibilità di una previdenza c.d. aziendale, integrativa di quella generale
obbligatoria, derivante anziché dalla legge da “contratti ed accordi collettivi” – art.
442 comma 2, cod. proc. civ. – ha avuto, in passato, la propria fonte regolatrice
esclusivamente nell’art. 1372 cod. civ..
A tale possibilità si affiancava, secondo la previsione dell’art. 2117 cod. civ.,
quella della costituzione di fondi speciali per l’assistenza e la previdenza, con la

determinazione del quantum dovuto e dei presupposti e requisiti di erogazione di

contribuzione sia del datore di lavoro che dei lavoratori.
Si è, quindi, verificato il passaggio dalla previdenza integrativa (residuale) a
quella complementare (prevista su larga scala).
Le principali tappe dell’evoluzione legislativa del sistema di previdenza
complementare sono state, poi, segnate dal d.lgs. 21/4/71993 n. 124 (Disciplina delle
forme pensionistiche complementari a norma dell’art. 3, comma 1, lett. “v” della

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legge 23/10/1992, n. 421), dalla delega conferita mediante l’art. 1, comma 2, lettere
“e”, “h”, “i”, “1”, “v”, legge 23/8/2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e
deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno della

previdenza ed assistenza obbligatoria) e dal d.lgs. 5/12/2005 n. 252 (Disciplina delle
forme pensionistiche complementari). Quest’ultimo provvedimento integra un vero e
proprio t.u. comprensivo delle regole fiscali.
La differenza tra previdenza ed assistenza ex lege ovvero ex contractu è nel
carattere generale, necessario e non eludibile delle tutele del primo tipo, a fronte
della natura eventuale delle garanzie del secondo, che sono la fonte di prestazioni
aggiuntive a vantaggio soltanto delle categorie di lavoratori aderenti ai patti
incrementativi dei trattamenti ordinari (e in relazione alla quale non opera il principio
dell’automatismo delle prestazioni).
La natura privatistica della previdenza complementare (la cui ratio è quella di
garantire ai futuri pensionati un reddito di importo adeguato) – analogo discorso va
fatto per la previdenza integrativa precedente alla disciplina legislativa delle forme
pensionistiche complementari – è cristallizzata nel meccanismo di adesione che è
libero e volontario e nelle modalità di alimentazione del fondo cui contribuiscono, in
genere, prevalentemente i destinatari delle prestazioni (cfr. ora art. 8, co. 1 e 2, del
d.lgs. n. 252/2005) – dal 10 gennaio 2007 ai sensi degli artt. 8-10 e 23 del d.lgs. n.
252/2005 anche mediante destinazione del proprio t.f.r. – ma anche il datore, nel
lavoro subordinato, ed il committente.
Tale tipo di previdenza, come quella dei trattamenti integrativi, si basa, dunque,
sul concetto della capitalizzazione: le somme versate sono accantonate e rivalutate

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previdenza complementare ed all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di

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nel tempo e utilizzate esclusivamente per costruire la propria pensione
complementare o integrativa.
La previdenza pubblica si basa, invece, sul sistema a ripartizione, cioè

prestazioni pensionistiche in essere: rappresenta, quindi, una solidarietà
intergenerazionale tra lavoratori in attività e lavoratori a riposo.
Il sistema della ripartizione, a differenza di quello basato sulla capitalizzazione,
è destinato, evidentemente, a subire ripercussioni laddove il rapporto tra popolazione
attiva e popolazione pensionata è sperequato. Infatti, quando il secondo indice di
riferimento supera il primo ovvero quando squilibri si determinano a causa dell’alto
tasso di disoccupazione e della scarsa crescita dei salari, la conseguenza è
l’incidenza del divario determinatosi sulla spesa previdenziale pubblica (in un
sistema di previdenza obbligatoria il trattamento pensionistico è garantito a tutti a
prescindere dalla capienza dei contributi versati dai lavoratori in attività).
Quando ciò si verifica si pone l’esigenza di stabilizzare tale spesa ed in questo
contesto si collocano gli interventi legislativi che, specialmente nell’ultimo decennio
del duemila – così la c.d. riforma Amato (1992), la riforma Dini (1995) e la riforma
Prodi (1997) -, hanno cercato di rendere compatibile la spesa previdenziale con il
bilancio dello Stato. Si è trattato di interventi che si sono sviluppati in varie direzioni,
si pensi al mutamento del sistema di calcolo delle pensioni (dal sistema retributivo a
quello contributivo), all’innalzamento dell’età pensionabile e, per quanto qui
interessa, alla disciplina di cui all’art. 11 d.lgs. n. 503 del 1992, all’art. 59, comma 4,
legge n. 449 del 1997, dell’art. 34 legge n. 448 del 1998 con cui sono stati rivisti i
meccanismi automatici di indicizzazione delle pensioni.

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sull’utilizzo immediato dei contributi versati dai lavoratori in attività per pagare le

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Non può allora essere messa in dubbio l’ontologica diversità tra le somme versate
a titolo di contribuzione obbligatoria e quelle destinate ad alimentare la previdenza
integrativa o complementare – tanto se effettuati dai lavoratori quanto se effettuati dal

Queste ultime hanno la natura di “salario previdenziale” e perciò sono strettamente
inerenti al rapporto di lavoro o di impiego, ancorché questo sia cessato e, dunque,
assimilabili ad una vera e propria “retribuzione differita”, non incidendo la funzione
previdenziale del trattamento sul dato strutturale rappresentato dell’inesistenza di un
rapporto giuridico previdenziale (si pensi anche alla possibilità, ora legislativamente
prevista, per il lavoratore di ottenere anticipazioni del capitale accumulato). Su tale
natura non influisce il favor legislativo nei confronti della scelta di una previdenza
complementare (attraverso ad es. la previsione di incentivi quali la deducibilità a fini
fiscali – entro certi limiti – degli importi versati ovvero dell’esclusione delle
contribuzioni ai fondi di previdenza complementare dalla base imponibile per la
determinazione di contributi di previdenza e di assistenza sociale).
Ne deriva che alle relative erogazioni (sia quelle relative ai trattamenti integrativi
aziendali ricadenti nell’ambito del quadro normativo antecedente l’entrata in vigore
della riforma della previdenza complementare sia quelle a quest’ultima successive)
deve essere riconosciuta natura retributiva sia pure con funzione previdenziale.
Ciò precisato, osserva il Collegio che la disciplina dell’art. 59 citato, seppure
(comma 4) ha esteso, in un’ottica di generale armonizzazione del sistema, a
decorrere dal 1/1/1998, a tutte le “prestazioni pensionistiche a carico delle forme
pensionistiche di cui ai commi 1, 2 e 3” (ivi comprese quelle integrative)
“esclusivamente” il meccanismo di perequazione di cui al d.lgs. n. 503 del 1992, art.

IO

datore di lavoro ed a prescindere dal soggetto poi tenuto alla effettiva erogazione -.

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11 (“con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento anche
collegate all’evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio”), ha dettato, però,
(comma 13) una normativa (temporanea) di sospensione e di restrizione della

dall’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti e
dalle forme sostitutive od esclusive”.
Tale differenziazione non può che trovare la propria ratio giustificatrice nelle
diversità ontologiche sopra evidenziate.
E’ pur vero che, come questa Corte ha più volte affermato, “la disposizione di cui
alla legge n. 449 del 1997, art. 59, comma 4 che comporta l’aumento delle pensioni
previdenziali e assistenziali sulla base del solo adeguamento al costo della vita, con
la soppressione, a decorrere dal 1° gennaio 1998, di diversi meccanismi di
adeguamento, trova applicazione anche nei confronti dei regimi aziendali integrativi,
atteso che la disposizione si riferisce alle prestazioni pensionistiche previste dallo
stesso art. 59, comma 3 che espressamente ricomprende le prestazioni pensionistiche
complementari di cui ai decreti legislativi n. 563 del 1996, n. 124 del 1993 e n. 357
del 1990; né tale estensione autorizza dubbi di legittimità costituzionale, atteso che
essa si inquadra nella scelta del legislatore di armonizzare i regimi previdenziali
complementari preesistenti al citato d.lgs. n. 124 del 1993 con quelli di nuova
costituzione” (v. Cass. 11 maggio 2002, n. 6804; id. 20 agosto 2003, n. 12254).
Tuttavia già con Cass. 22 novembre 2006, n. 24777, è stato chiarito che – invece “il successivo comma 13 della legge n. 449 del 1997 concerne le pensioni I.N.P.S.
particolarmente elevate e, a seconda dell’ammontare di esse, esclude o limita
fortemente la perequazione automatica”, affermandosi il principio di diritto secondo

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perequazione automatica con riferimento ai soli trattamenti pensionistici “dovuti

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cui “con riguardo a quest’ultima categoria di pensioni, la perequazione automatica
rimane bloccata, mentre la pensione integrativa si adegua secondo l’art. 59, comma 4
cit.”.

1997, art. 59, comma 13 che prevede la sospensione della perequazione automatica al
costo della vita, concerne solo i trattamenti previdenziali obbligatori e quelli
specificamente contemplati da tale disposizione, e non si applica alla pensione
integrativa a carico del fondo aziendale, che, come detto, ha natura retributiva (e non
previdenziale). Conseguentemente, con riferimento ai titolari di pensione costituita
dal trattamento previdenziale obbligatorio e da pensione integrativa a carico di
apposito Fondo aziendale, l’adeguamento della pensione spettante non si applica
sull’intero importo ma solo sulla quota parte relativa al trattamento integrativo,
restando escluso invece l’adeguamento della quota di pensione relativa al trattamento
obbligatorio” (v. la già citata Cass. 16 luglio 2007, n. 15769).
In particolare, come questa Corte ha spiegato, la legge n. 447 del 1997, art. 59
costituisce “un corpus normativo che in ciascuna delle diverse disposizioni reca la
precisa individuazione delle forme pensionistiche oggetto di regolamentazione
(comma 1: forme pensionistiche obbligatorie, sostitutive, esclusive ed esonerative;

Come è stato, poi, precisato e va qui ribadito, “la norma della legge n. 449 del

comma 2: anche le forme integrative per gli enti di cui alla legge n. 70 del 1975;
commi 3, 4 e 5: tutte le forme pensionistiche non obbligatorie)”. Né, come pure è
stato chiarito, “giova alla tesi della ricorrente (banca) la formulazione della
sopravvenuta legge 23 dicembre 1998, n. 448, che (art. 34) nel dettare la disciplina
del meccanismo di rivalutazione delle pensioni con effetto dal 10 gennaio 1999,
comprende esplicitamente nel trattamento complessivo le erogazioni a carico dei

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fondi integrativi e aggiuntivi” (disponendo che l’aumento della rivalutazione
automatica dovuto “viene attribuito su ciascun trattamento in misura proporzionale
all’ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all’ammontare complessivo”), in

disciplina di cui alla precedente legge n. 449 del 1997, art. 59, comma 13.
Del resto, tale disciplina, nel quadro del corpus normativo sopra evidenziato, per
la sua natura chiaramente eccezionale (oltre che temporanea) non può essere estesa al
di là dell’ambito dei trattamenti pensionistici espressamente previsti dallo stesso
comma 13, ciò anche in considerazione dell’obiettivo primario della legislazione
vincolistica nei termini sopra illustrati.
Per tale ragione, quindi, il Collegio, in continuità con l’indirizzo espresso nelle
sentenze sopra citate, ritiene di non poter condividere la diversa interpretazione
accolta da Cass. 20 maggio 2010 n. 12344, secondo cui “la previsione di cui alla
legge n. 449 del 1997, art. 59, comma 13, ultima parte disciplina l’applicazione
dell’indice di perequazione automatica delle pensioni secondo le modalità in essa
previste anche nei confronti dei trattamenti erogati da forme pensionistiche
integrative del regime generale”. Tale interpretazione, infatti, enunciata in una
fattispecie relativa al 1999 (oggetto della parte finale della norma in esame), da un
lato trascura la rilevanza della natura eccezionale dell’intero comma 13, all’interno
del corpus costituito dall’articolo 59, dall’altro si fonda sulla ampia locuzione
(“indice di perequazione delle pensioni”) contenuta nell’ultima parte del detto
comma 13, omettendo di considerare la stretta connessione logica e temporale che
sussiste tra tale ultima parte e le due parti (riguardanti il 1998) che precedono, senza
soluzione di continuità, nel dettato dello stesso comma. Non può leggersi, infatti,

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quanto ciò non significa affatto che le dette erogazioni siano state soggette alla

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l’ultima parte del medesimo comma 13, se non nell’insieme del dettato del comma
stesso, che esordisce riferendosi espressamente ai soli trattamenti “dovuti
dall’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti e

dell’intervento restrittivo, operato dal legislatore, a seconda dell’anno, neppure
risulterebbe in qualche modo spiegabile.
Infine neppure sembra al Collegio decisivo l’argomento generale della
armonizmzione della previdenza complementare nel sistema dell’art. 38 cost.,
comma 2, che in qualche modo “prova troppo” e che, in ogni caso, non può non
arrestarsi davanti alla natura eccezionale e temporanea della norma in esame (a parte
anche la considerazione che i trattamenti pensionistici integrativi di cui alla presente
causa risultano maturati anteriormente alla entrata in vigore della riforma della
previdenza complementare di cui al d.lgs. n. 124 del 1993).
3. Il ricorso (assorbito il secondo motivo) va, pertanto, accolto (assorbito il
secondo motivo) e la sentenza della Corte di appello di Roma va conseguentemente
cassata.
4. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere
decisa nel merito, con l’accoglimento delle domande iniziali volte ad ottenere
l’accertamento della inapplicabilità all’assegno periodico integrativo in godimento
delle limitazioni di cui all’art. 11 d.lgs. n. 503 del 1992, art. 59, comma 4, legge n.
449 del 1997, art. 34 legge n. 448 del 1998, art. 69 legge n. 388 del 2000.
5. Il diverso esito dei giudizi di merito e l’esistenza di difformi pronunce di
questa Corte di legittimità costituiscono giusto motivo per compensare tra le parti le
spese dell’intero processo.

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dalle forme di essa sostitutive od esclusive” e, del resto, una distinzione dell’ambito

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P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
accoglie le domande dei lavoratori; compensa tra le parti le spese dell’intero

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2013.

processo.

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