Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10554 del 20/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 10554 Anno 2016
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

SENTENZA
2111 Zi -c=50 3k-7-323.= prupulu

DI VAIO PASQUALE C.F. DVIPQL52H20F839G, elettivamente
domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II N. 18,
presso lo studio dell’avvocato GIANMARCO GREZ,
rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO MARIA DI
LEVA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2016
1142

contro

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA 00.RR. SAN GIOVANNI DI
DIO e RUGGI D’ARAGONA C.F. 95044230654, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20, presso lo

Data pubblicazione: 20/05/2016

7

, ud io dell’avvocato SALVATORE SICA, che la rappresenta
difende giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1923/2014 della CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE di ROMA, depositata il 29/01/2014 r.g.n.
13775/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/03/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO
PIERGIOVANNI PATTI;
udito l’Avvocato DI LEVA ANTONIO;
udito l’Avvocato D’ANTONIO VIRGILIO per delega Avvocato
SICA SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

i

RG 3623/2015

FATTO
Con sentenza del 29 gennaio 2014 n. 1923, la Corte di cassazione rigettava il ricorso di
Pasquale Di Vaio avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno di reiezione del suo

licenziamento intimatogli il 18 maggio 2007 con preavviso di quattro mesi dall’azienda
ospedaliera universitaria 00. RR. S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona (di cui dipendente
con mansioni di operatore tecnico di cucina e dispensa), a seguito di procedimento
disciplinare avviato dopo la conclusione del procedimento penale a suo carico per vari
.2.”42, f.O
episodi di usura ed estorsione aggravata in continuazione tra loro, per cui ) (tratto in
arresto il 18 giugno 2004 e quindi condannato in primo grado alla pena di quattro anni e
venti giorni di reclusione oltre che a multa, quindi ridotta in appello a tre anni e dieci
giorni di reclusione e a C 1.600,00 di multa (parzialmente condonata dalla stessa Corte
d’appello).
A motivo della decisione, la Corte ravvisava l’inammissibilità del motivo di ricorso
devolutivo del riesame del merito, in quanto implicante tipico giudizio di fatto quale
l’individuazione del momento di conoscenza dalla p.a. del fatto reato per la decorrenza
del termine d’avvio del procedimento disciplinare, pure correttamente operata dalla Corte
territoriale e giustificata sulla distinzione tra conoscenza della soggezione del dipendente
a custodia cautelare (cui connessa la sospensione cautelare dal servizio) e della
irrevocabilità della sentenza penale di condanna (giustificante il licenziamento): con avvio
del procedimento disciplinare, a maggior garanzia del lavoratore, in termine tempestivo
da tale momento, contrariamente alla prospettazione del predetto, con subordinata
doglianza inammissibile per omessa denuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e comunque
infondata per acquisizione, in corso di procedimento disciplinare, di ordinanza applicativa
di indulto e non della sentenza irrevocabile di condanna, neppure prodotta dal dipendente
nonostante la specifica richiesta dell’ente datare dopo la sua audizione; senza con ciò
preclusione all’azienda ospedaliera, come invece infondatamente lamentato dal
lavoratore, della facoltà di licenziarlo. Ed infine escluso l’effetto di rinuncia all’azione
disciplinare della missiva aziendale 2 aprile 2007 di verifica della disponibilità del
dipendente a trasferimento all’ospedale Cardarelli.
Con atto notificato il 29 gennaio – 3 febbraio 2015, Pasquale Di Vaio ricorre per la
revocazione della sentenza, ai sensi degli artt. 391b1s e 395 n. 4 c.p.c. con unico motivo,

appello avverso la sentenza del primo giudice, che ne aveva respinto l’impugnazione al

RG 3623/2015
illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste l’azienda ospedaliera
universitaria 00. RR. S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo, complesso e articolato, il ricorrente deduce violazione dell’art. 395 n. 4

accertamento dalla Corte salernitana della conoscenza legale dell’ente datore il 5 febbraio
2007 di fatto reato comportante la decorrenza del termine di venti giorni per l’avvio del
procedimento disciplinare: con decisiva rilevanza di pronuncia sulla sua natura
perentoria, a norma dell’art. 29, secondo comma CCNL 1 settembre 1995, come
modificato dall’art. 12 CCNL 19 aprile 2004 del Comparto Sanità, ritenuta superflua.
Il medesimo ricorrente si duole ancora di un ulteriore errore percettivo, consistito nella
ravvisata inammissibilità del mezzo di gravame per “mancata considerazione del motivo
subordinato di appello” di avvio del procedimento disciplinare oltre il termine di venti
giorni dalla acquisizione “della sentenza penale di condanna”, in quanto non denunciato
per omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., avendola invece la Corte,
territoriale implicitamente resa nel senso del rigetto, per accertamento della piena
tempestività di avvio del procedimento, sull’assunto della natura non perentoria del
termine di contestazione dell’addebito: per tale erronea ragione non esaminato,
nell’irrilevanza poi dell’inesattezza rilevata dalla Corte di legittimità dell’acquisizione, in
corso di procedimento disciplinare, di ordinanza applicativa di indulto e non della
sentenza irrevocabile di condanna.
Il motivo è inammissibile.
L’errore di fatto revocatorio è, infatti, configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia incorsa
in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da
aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta
inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà
del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa
valutazione della situazione processuale e non anche nella pretesa errata valutazione di
fatti esattamente rappresentati: con la conseguenza che non risulta viziata da errore
revocatorio la sentenza della Corte di cassazione nella quale il collegio abbia dichiarato
l’inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni ed a valutazioni
di diritto, vertendosi in tali casi su pretesi errori di giudizio della Corte, con conseguente
inammissibilità del ricorso per revocazione (Cass.12 dicembre 2012, n. 22868, con

2

c.p.c., per errore di fatto della Corte di legittimità, non percettivo dell’avvenuto

i

AG 3623/2015

,7

principio affermato ai sensi dell’art. 360bis n. 1 c.p.c.; Cass. s.u. 30 ottobre 2008, n.
26022).
Esso deve consistere piuttosto in una disamina superficiale di dati di fatto che abbia quale
conseguenza l’affermazione o la negazione di elementi decisivi per risolvere la questione,
mentre non si configura qualora siano dedotti errori di giudizio concernenti motivi di

2013, n. 27451; Cass. 26 settembre 2013, n. 22080).
In particolare, l’errore di fatto revocatorio deve sempre riguardare atti interni al giudizio
di legittimità e presentare caratteri di evidenza ed obiettività, così da non richiedere lo
sviluppo di argomentazioni induttive o indagini (Cass. 5 marzo 2015, n. 4456); parimenti
configurandosi nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto ed abbia, in particolare,
valutato l’ammissibilità e procedibilità del ricorso: sempre che dalla stessa decisione non
risulti che quello stesso fatto, denunciato come erroneamente percepito, sia stato oggetto
di giudizio (Cass. s.u. 30 ottobre 2008, n. 26022; Cass. 26 febbraio 2008, n. 5075).
Alla luce dei suenunciati principi di diritto, appare evidente l’inconfigurabilità nel caso di
specie del vizio revocatorio denunciato, dovendo piuttosto essere qualificato alla stregua
di errore, non tanto di fatto, quanto piuttosto di diritto.
Ed infatti, il ricorrente lamenta in buona sostanza la violazione del “principio di diritto ..
costituito dalla natura perentoria del termine dei venti giorni, fissato per l’inizio del
procedimento disciplinare dall’art. 29 co.2 del CCNL del 01.06.1995, come modificato
dall’art. 12 del CCNL del 19.04.2004 del Comparto Sanità” (così in esordio del motivo a
pg. 23 del ricorso). E ad illustrazione di una tale violazione deduce l’omessa percezione
(in realtà: valutazione) dell’avvenuto accertamento dalla Corte d’appello di Salerno della
conoscenza legale dell’ente datore il 5 febbraio 2007 del fatto reato comportante la
decorrenza del termine di venti giorni per l’avvio del procedimento disciplinare; e ancora,
l’erronea statuizione di inammissibilità del mezzo di gravame per “mancata
considerazione del motivo subordinato di appello”, di avvio del procedimento disciplinare
oltre il termine di venti giorni dalla acquisizione “della sentenza penale di condanna”,
sull’assunto erroneo di una più appropriata denuncia per omessa pronuncia, in violazione
dell’art. 112 c.p.c. (non cogliendo invece l’implicita pronuncia di rigetto della Corte
territoriale nel suo accertamento della piena tempestività di avvio del procedimento, per
la ravvisata natura non perentoria del termine di contestazione dell’addebito: così non
esaminata, nell’irrilevanza poi della rilevata inesattezza dell’acquisizione, in corso di
procedimento disciplinare, di ordinanza applicativa di indulto e non della sentenza
irrevocabile di condanna).

3

ricorso esaminati dalla sentenza della quale sia chiesta la revocazione (Cass. 9 dicembre

RG 3623/2015
Appare evidente come oggetto di censura siano prospettati in effetti errori di giudizio
della Corte di legittimità (che ha esaminato tutti i motivi di doglianza), esorbitanti
dall’ambito dell’errore revocatorio denunciato, nella sottesa finalità di un’inammissibile
rivisitazione della valutazione giuridica operata.
Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’inammissibilità del ricorso, con la

difensore antistatario secondo la sua richiesta, senza provvedimento ai sensi dell’art. 96
c.p.c., nel testo anteriore alla modifica dell’art. 45, dodicesimo comma I. 69/2009
applicabile ratione temporis, richiesto in controricorso, in difetto di allegazione dei danni
derivanti dal giudizio di cassazione (Cass. 5 dicembre 2012, n. 21805; Cass. 11 ottobre
2011, n. 20914; Cass. 9 settembre 2004, n. 18169).

P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso e condanna Pasquale Di Vaio alla rifusione, in favore della
controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in C 100,00 per esborsi
e C 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del
15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma lquater d.p.r. 115/2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma

del comma ibis dello

stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2016

Il consig

est.

Il Presidente

regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione al

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