Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10550 del 07/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 10550 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA

sul ricorso 30293-2010 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. 00471850016, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA,\LL.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio degli avvocati MARESCA ARTURO, ROMEI ROBERTO,
BOCCIA FRANCO RAIMONDO, che la rappresentano e
2012

difendono giusta delega in atti;
– ricorrente –

4380

contro

LETTIERI GIACOMO nato a il 07/03/1952, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI SETTE METRI 5, presso lo

Data pubblicazione: 07/05/2013

studio dell’avvocato CUTOLO LUCA, rappresentato e
difeso dall’avvocato ROMANO LUCIANO, giusta delega in
atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 3500/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/12/2012 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito l’Avvocato GIA,,,NNI’ GAETANO per delega MARESCA
ARTURO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di NAPOLI, depositata il 09/07/2010r.g.n. 3251/07;

Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Napoli, accogliendo l’appello proposto da Giacomo Lettieri, ha dichiarato
illegittimo il licenziamento intimatogli dalla Telecom s.p.a. il 28.7.2001, in relazione all’abusivo utilizzo
del telefono cellulare assegnatogli per ragioni di servizio, ne ha ordinato la reintegrazione nel posto di
lavoro ed ha condannato la società datrice al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento
all’effettiva reintegrazione con accessori di legge oltre ai contributi previdenziali ed assistenziali oltre

La corte territoriale ha ritenuto che il comportamento contestato al dipendente, consistito nell’aver
inviato dal telefono cellulare di servizio, nel periodo dicembre 1999 ottobre 2000, 13.404 messaggi
privati per un costo complessivo di L. 3.216.960, pur sanzionabile non era tuttavia così grave da
giustificare l’espulsione dal posto di lavoro.
Nel pervenire a tale convincimento il giudice d’appello ha evidenziato che si era trattato di
comportamento posto in essere senza raggiri o frode, posto che l’invio dei messaggi era facilmente
verificabile dal datore di lavoro che operava proprio nel settore della telefonia. Inoltre il danno non era
di notevole entità e il lavoratore si era sempre dichiarato disponibile a risarcirlo.
Sottolineava poi che per altri dipendenti in situazioni analoghe, fatta eccezione per cinque di loro che
erano stati licenziati, il risarcimento era stato consentito, ed era stata irrogata una sanzione
conservativa. Inoltre evidenziava che il Lettieri, in servizio da più di trenta anni, non aveva mai ricevuto
alcuna contestazione né subito alcun procedimento disciplinare.
In conclusione la Corte d’appello ha escluso che nella condotta contestata al Lettieri ricorressero gli
elementi richiesti dall’art. 43 lett. B del contratto collettivo di categoria per l’intimazione del
licenziamento, vale a dire il grave nocumento morale o materiale provocato in connessione con lo
svolgimento del rapporto di lavoro.
Per la Cassazione della sentenza ricorre la Telecom Italia s.p.a. sulla base di tre motivi illustrati anche
con memoria ex art. 378 nella quale insiste per l’applicazione del nuovo testo dell’art. 18 introdotto con
la legge n. 92 del 2012 invocando la immediata applicabilità del nuovo regime sanzionatorio.
Resiste il Lettieri con controricorso depositando, anch’egli, memoria.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso la Telecom Italia s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione degli
artt. 2119 e 2106 c.c. evidenziando che il giudice d’appello avrebbe omesso di effettuare una valutazione
di adeguatezza della sanzione rispetto allo specifico comportamento contestato.
Sottolinea la società ricorrente che la pur concreta possibilità per la società di controllare il traffico
telefonico non equivale all’esistenza di un costante monitoraggio da parte della società del traffico
telefonico. Inoltre evidenzia che la valutazione sulla proporzionalità della sanzione avrebbe dovuto
essere effettuata in relazione allo specifico comportamento del dipendente, tenendo conto della sua
materialità, del lasso di tempo per il quale la condotta si era protratta e dell’ elemento soggettivo che lo
sorreggeva (dolo di proposito). Erroneamente quindi la Corte si sarebbe limitata a rapportare il caso

r.g. 30293/2010

F.Garri

che alle spese di entrambi i gradi di giudizio.

concreto ad altre fattispecie analoghe, più lievemente sanzionate, posto che tale circostanza, in sé
considerata, nulla prova circa la gravità dello specifico inadempimento del dipendente tenuto conto del
fatto che il datore non è vincolato da un principio di parità di trattamento nell’esercizio del potere
disciplinare ma deve sempre operare un bilanciamento tra singolo comportamento e sanzione irrogata
tenuto conto anche del grado di fiduciarietà che assiste il rapporto.

Con il terzo motivo, infine, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della 1. n. 604 del
1966 per non aver preso in esame la legittimità del licenziamento seppure con preavviso. Evidenzia la
ricorrente che si tratta di una valutazione meramente quantitativa che avrebbe potuto essere operata
anche d’ufficio dalla corte di merito in esito alla valutazione della condotta accertata.
Le prime due censure, che attengono per diversi profili alla medesima questione, possono essere
esaminate congiuntamente e sono infondate.
Esse, infatti, oltre che estremamente generiche tendono, inammissibilmente, ad ottenere un riesame
da parte di questa Corte delle circostanze di fatto esaurientemente, seppur sinteticamente, analizzate
dalla Corte territoriale con motivazione completa logica e conseguente alle circostanze di fatto accertate
che non si espone quindi ai rilievi formulati.
La corte d’appello di Napoli, infatti, ribaltando il giudizio espresso dal giudice di primo grado, ha
esaminato, sulla base delle circostanze di fatto accertate nel corso dell’istruttoria e con specifico
riferimento alle stesse, la gravità della condotta tenuta, l’intensità dell’elemento soggettivo e
l’importanza del danno, pervenendo alla motivata conclusione di non ravvisare nel comportamento
contestato una irreversibile lesione del vincolo di fiducia che deve legare datore di lavoro e lavoratore
dipendente ed in particolare quel grave nocumento materiale o morale che l’art. 43 lett. B del c.c.n.l.,
posto a base del recesso, richiede per l’irrogazione della massima sanzione espulsiva.
Con le censure formulate davanti a questa Corte non si specificano le singolarità del caso che avrebbero
dovuto determinare il giudice di merito ad adottare una decisione diversa e ritenere legittima
l’irrogazione della sanzione che la stessa società, in casi analoghi, non ha ritenuto di adottare. Né è
precisato quali affermazioni della corte territoriale si pongono in specifico contrasto con le disposizioni
la cui violazione viene lamentata dalla società ricorrente.
Sebbene, ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, sia
irrilevante che una analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente
valutata dal datore di lavoro, qualora risulti accertato che l’inadempimento del lavoratore sia tale da
compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, tuttavia l’identità delle situazioni può privare il
provvedimento espulsivo della sua base giustificativa. E’ condivisibile l’affermazione che non si possa
porre a carico del datore di lavoro l’onere di fornire, per ciascun licenziamento, una motivazione del
provvedimento adottato che sia comparata con le altre assunte in fattispecie analoghe (cfr. Cass. n.
5546/2010) e tuttavia ove nel corso del giudizio non emergano quelle differenze che giustificano il
diverso trattamento dei lavoratori correttamente può essere valorizzata dal giudice l’esistenza di
soluzioni differenti per casi uguali al fine di valutare la proporzionalità della sanzione adottata.
r.g. 30293/2010

F.Garri

Con il secondo motivo di ricorso viene poi denunciata l’insufficienza della motivazione sul rilievo che
la corte territoriale avrebbe puramente e semplicemente fatto riferimento ad altri casi senza dare una
specifica motivazione dell’esame effettuato nel caso concreto così impedendo di identificare il
procedimento logico seguito.

Per quanto riguarda infine la dedotta applicabilità della nuova disciplina sanzionatoria dei licenziamenti
introdotta con la legge n. 92 del 2012 (c.d. Legge Fornero) sul rilievo che, in mancanza di disposizioni
transitorie, il nuovo testo dell’art. 18 sarebbe immediatamente applicabile, ritiene la Corte di non
condividere la ricostruzione operata dalla società nelle sue note.
Con la legge n. 92 del 2012 è stato introdotta una nuova, complessa ed articolata disciplina dei
licenziamenti che ancora le sanzioni irrogabili per effetto della accertata illegittimità del recesso a
valutazioni di fatto incompatibili non solo con il giudizio di legittimità ma anche con una eventuale
rimessione al giudice di merito che dovrà applicare uno dei possibili sistemi sanzionatori conseguenti
alla qualificazione del fatto (giuridico) che ha determinato il provvedimento espulsivo.
Una diversa interpretazione ad avviso della Corte risulterebbe in contrasto, in primo luogo, con il
principio della ragionevole durata del processo sancito, oltre che direttamente dalla Carta Costituzionale
(arti il Cost), anche dall’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo,
nonché dall’art. 47 della Carta Europea dei diritti fondamentali.
Esemplificativamente si evidenzia che il nuovo sistema prevede distinti regimi di tutela a seconda che si
accerti la natura discriminatoria del licenziamento, l’inesistenza della condotta addebitata , ovvero la sua
riconducibilità tra quelle punibili solo con una sanzione conservativa (sulla base delle disposizioni dei
contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili).
In tali casi persiste il diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro e ad ottenere un
“pieno” risarcimento del danno (dalla risoluzione del rapporto alla reintegrazione), nei limiti dell’aliunde
percotum e dell’ aliunde percipiendum, mai al di sotto di cinque né al di sopra di dodici mensilità.
In tutti gli altri casi di accertata illegittimità del licenziamento per mancanza di giusta causa e di
giustificato motivo soggettivo, il nuovo comma 5 dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori prevede solo
una tutela risarcitoria (tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita).
Fa eccezione, ancora una volta, il caso di accertata violazione delle regole procedurali previste dall’art. 7
L. 300/70 per il quale l’indennità risarcitoria è compresa tra un minimo di sei ed un massimo di dodici
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore.
Si tratta di un’evidente “stravolgimento” del sistema di allegazioni e prove nel processo, che non è
limitato ad una modifica della sanzione irrogabile (come nel caso, pur opinabile, delle modifiche
introdotte dall’art. 32 della legge n. 182/del 2010) ma si collega ad una molteplicità di ipotesi diverse di
condotte giuridicamente rilevanti cui si connettono tutele tra loro profondamente differenti.
Un sistema unico che non incide sul solo apparato sanzionatorio ma impone un approccio diverso alla
qualificazione giuridica dei fatti incompatibile con una sua immediata applicazione ai processi in corso.
r.g. 30293/2010

F.Garri

Quanto alla esistenza dei presupposti per la ” derubricazione” del licenziamento da giusta causa a
giustificato motivo soggettivo, di cui la società lamenta il mancato esame da parte della corte di appello,
si osserva che si tratta di eccezione nuova formulata, in ammissibilmente, per la prima volta solo nel
corso del presente giudizio il cui esame comporterebbe, ancora una volta, un’analisi dei fatti che in
questa sede non è consentita.

Né, al contrario, vale sostenere che il legislatore del 2012, laddove abbia inteso differire l’entrata in
vigore delle disposizioni della legge Io ha fatto espressamente (cfr. art.1 commi 38 e 39 della 1. n.
92/2012 in tema di abbreviazione termini di decadenza dall’impugnazione giudiziaria del licenziamento)
stante la necessità di una disposizione di tal genere ove si ritenga necessario differire l’entrata in vigore
di disposizioni di evidente natura processuale quali quelle richiamate.

Le spese seguono la soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ. e sono liquidate, a norma del D.M. 20 luglio
2012, n. 140, tenuto conto dello scaglione di riferimento della causa e considerati i parametri generali
indicati nell’art. 4 del D.M. e delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase di studio, fase
introduttiva e fase decisoria) nella allegata Tabella A, quanto ai compensi nella misura
omnicomprensiva di C 4.000,00 mentre per esborsi vanno riconosciuti C 50,00. Oltre agli accessori
previsti per legge.

PQM
LA CORTE
Respinge il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in C 4000,00 per
compensi professionali ed in C 50,00 per esborsi oltre IVA e CPA.
Così deciso in Roma il 18 dicembre 2012

Il consigliere estensore

In conclusione il ricorso va respinto.

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