Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1055 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, (ud. 20/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27853/2014 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, GOVERNO ITALIANO in persona del

Presidente del Consiglio pro tempore MINISTERO ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ RICERCA, MINISTERO DELLA SALUTE, in persona dei

rispettivi Ministri pro tempore, domiciliati ex lege in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui

sono rappresentati e difesi per legge;

– ricorrenti –

contro

P.D., + ALTRI OMESSI, domiciliati in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli

avvocati FILIPPO DI MATTEO, ANDREA TERRANOVA giusta procura speciale

in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

PO.GA., M.R.M., PU.CA.,

G.C., A.C.D., S.V.,

GU.GI., MI.MA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1121/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 04/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/07/2018 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2001 settantadue medici specializzati convennero dinanzi al Tribunale di Palermo il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica e il Ministero della Salute, esponendo:

-) di essere laureati in medicina e chirurgia e di avere conseguito il diploma di specializzazione;

-) di avere partecipato ai rispettivi corsi di specializzazione a tempo pieno e con frequenza obbligatoria;

-) di avere, pertanto, diritto alla “adeguata retribuzione” prevista dalle direttive comunitarie n. 75/362/CEE e 75/363/CEE, come modificate dalla direttiva 82/76/CEE.

Nel corso del giudizio venne chiamata in causa la Presidenza del consiglio dei Ministri, alla quale gli attori estesero la propria domanda.

Essi formularono altresì domanda subordinata di risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive sopra indicate.

2. Con sentenza 6 novembre 2007 n. 4172 il Tribunale di Palermo rigettò la domanda, dichiarando prescritto il diritto degli attori.

La sentenza venne riformata dalla Corte d’appello di Palermo con decisione 4 luglio 2014 n. 1121.

La Corte d’appello di Palermo non ha indicato nella propria decisione nè la durata dei corsi di specializzazione frequentati dagli attori, nè l’anno di inizio, limitandosi a affermare che “dalla documentazione prodotta emerge che gli appellanti hanno frequentato le scuole di specializzazione negli anni analiticamente riportati nell’atto introduttivo (che non è il caso in questa sede reiterare, avuto anche riguardo all’elevato numero degli appellanti medesimi)”.

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell’istruzione, dell’Università e della ricerca scientifica e dal Ministero della salute, con ricorso fondato su due motivi.

Trentanove dei quarantasette intimati hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questione preliminare.

1.1. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dai Ministeri dell’Istruzione e della Salute: la Corte d’appello ha infatti espressamente affermato la sussistenza della legittimazione ad causam della sola Presidenza del Consiglio dei ministri, e tale statuizione non è stata impugnata da alcuno.

Pertanto i Ministeri della Istruzione e della Salute non hanno giuridico interesse, ex art. 100 c.p.c., ad impugnare la sentenza d’appello.

2. Il primo motivo di ricorso.

2.1. Col primo motivo (che investe la posizione di 13 soltanto degli originari 72 attori) la Presidenza del Consiglio lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1173 e 2043 c.c.; delle direttive 75/362/CEE e 82/76/CEE, dell’art. 117 cost., degli artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea.

Sostiene che gli attori ivi indicati si erano iscritti alla specializzazione “in epoca anteriore all’anno accademico 1983/84”, e che di conseguenza – anche se la direttiva 82/76 fosse stata tempestivamente attuata – non avrebbero avuto comunque diritto ad alcuna remunerazione.

2.2. Il motivo è fondato.

Come noto la (allora) Comunità Europea nel 1975 volle dettare norme uniformi per “agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di medico”, e lo fece con due direttive coeve: la direttiva 75/362/CEE e la direttiva 75/363/CEE, ambedue del 16.6.1975.

La prima sancì l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere l’efficacia giuridica dei diplomi rilasciati dagli altri Stati membri per l’esercizio della professione di medico; la seconda dettò i requisiti minimi necessari affinchè il suddetto riconoscimento potesse avvenire, tra i quali la durata minima del corso di laurea e la frequentazione a tempo pieno di una “formazione specializzata”.

L’una e l’altra di tali direttive vennero modificate qualche anno dopo dalla Direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982.

L’art. 13 di tale ultima direttiva aggiunse alla Direttiva 75/363/CEE un “Allegato”, contenente le “caratteristiche della formazione a tempo pieno (…) dei medici specialisti”.

L’art. 1, comma terzo, ultimo periodo, di tale allegato sancì il principio per cui la formazione professionale “forma oggetto di una adeguata rimunerazione”.

2.3. La direttiva 82/76/CEE venne approvata dal Consiglio il 26.1.1982; venne notificata agli Stati membri (e quindi entrò in vigore) il 29.1.1982, e venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L43 del 15.2.1982; l’art. 16 della medesima direttiva imponeva agli Stati membri di conformarvisi “entro e non oltre il 31 dicembre 1982”.

Pertanto:

(a) l’ordinamento comunitario attribuì ai medici specializzandi il diritto alla retribuzione a far data dal 29.1.1982;

(b) gli stati membri avevano tempo sino al 31.12.1982 dello stesso anno per dare attuazione al precetto comunitario.

Ne consegue che “qualsiasi formazione a tempo pieno come medico specialista iniziata nel corso dell’anno 1982 deve essere oggetto di una remunerazione adeguata”, così come stabilito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, con sentenza 24 gennaio 2018, in causa C-616/16, Presidenza del Consiglio c. Pantuso.

La medesima sentenza ha precisato che, per coloro che hanno iniziato i corsi di specializzazione durante l’anno 1982, la remunerazione adeguata deve essere corrisposta per il periodo di formazione a partire dal 1 gennaio 1983 fino alla conclusione, dal momento che prima di tale data gli Stati membri avevano la facoltà di dare o non dare attuazione alla direttiva.

La Corte di giustizia, nella sentenza appena ricordata ha dunque distinto tre categorie di specializzandi:

1) quelli che hanno iniziato la specializzazione prima del 29 gennaio 1982 (data di entrata in vigore della direttiva 82 del 1976), i quali non hanno diritto ad alcuna remunerazione;

2) quelli che hanno iniziato la specializzazione nel corso dell’anno 1982, i quali hanno diritto alla remunerazione a partire dal 1 gennaio 1983;

3) quelli che hanno iniziato la specializzazione dopo il 1 gennaio 1983, i quali hanno diritto alla remunerazione per l’intera durata del ricorso (così anche Sez. 3, Ordinanza n. 13761 del 31.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 13762 del 31.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 13763 del 31.5.2018).

2.4. Nel nostro caso, è la stessa Corte d’appello ad affermare che la “documentazione prodotta” dalle parti conferma le date indicate dagli attori nell’atto di citazione, concernenti la loro iscrizione alle rispettive scuole di specializzazione.

Nell’atto di citazione, tuttavia, sei degli originari 72 attori hanno espressamente indicato di avere iniziato la scuola di specializzazione nell’anno accademico “1981-1982″, ovvero:

– C.A. (indicato come ” C.A.” a p. 4 della sentenza d’appello, ma sulla cui identità non vi è contrasto tra le parti);

– Co.Gi.;

– D.P.M.A.;

– D.R.R.;

– L.N.;

– T.P..

Poichè tale circostanza di fatto non è mai stata contestata o corretta, rimase accertata in facto nel giudizio di merito l’insussistenza del presupposto per invocare la responsabilità dello Stato italiano per ritardata attuazione della direttiva, giacchè anche se la direttiva fosse stata tempestivamente trasposta nell’ordinamento interno, le sei persone suddette comunque non avrebbe avuto diritto ad alcuna remunerazione, come già ritenuto da questa Corte (Sez. 3, Ordinanza n. 13761 del 31.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 13762 del 31.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 13763 del 31.5.2018).

Nè rileva la circostanza che il corso di specializzazione, iniziato prima dell’entrata in vigore della direttiva 82/76/CEE, sia proseguito dopo tale momento.

L’obbligo statuale di introdurre norme che prevedessero la remunerazione degli specializzandi, infatti, era stato dalla normativa comunitaria agganciato alla frequentazione di corsi di specializzazione aventi determinate caratteristiche: esclusività, tempo pieno, obbligo di frequenza.

Nel sistema della direttiva 82/76/CEE, pertanto, il diritto alla remunerazione e la frequentazione d’una scuola di specializzazione aventi le suddette caratteristiche imposte dal diritto comunitario andavano di pari passo.

Ne consegue che prima del 1981, non esistendo per gli Stati membri l’obbligo di dettare norme che imponessero alle scuole di specializzazione le suddette caratteristiche, nemmeno poteva esistere l’obbligo di prevedere una adeguata retribuzione degli specializzandi.

2.5. La rilevata erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha accolto la domanda proposta da C.P., Co.Gi., D.P.M.A., Di Raimondo Rosario,.Lamacchia Nicola e.Teresi Pietro ,.n.n.i.t.l.c.c.r.i.n.e.n.a.u.a.d.f.e.p.d.l.c.n.m.r.l.d.p.d.s.p.a.i.

2.A.s.d.o.a.(. A.M., B.M., D.L.F.P., Di.Pa.Ro.Ma., P.M., R.M. ed Sp.An.) hanno essi stessi dichiarato, nell’atto di citazione, di avere iniziato le rispettive scuole di specializzazione nell’anno accademico 1982-1983.

A tutti costoro, pertanto, alla luce dei principi stabilito dalla Corte di giustizia e ribaditi da questa Corte nelle sentenze poco innanzi richiamate, il diritto al risarcimento sarebbe spettato solo a decorrere dall’anno 1983 compreso.

La sentenza impugnata, per contro, ha accolto la domanda delle sette persone sopra indicate liquidando un risarcimento pari ad Euro 6.713,94 “per ogni anno di frequenza delle scuole di specializzazione”, e dunque anche per l’anno 1982, per il quale invece alcun risarcimento era dovuto.

La sentenza impugnata va dunque, su questo punto, cassata con rinvio. Il giudice di rinvio, esaminando analiticamente le posizioni e le deduzioni degli attori, accerterà in punto di fatto, con riferimento all’anno accademico 1982-1983, quanta parte del corso di specializzazione si sia svolta nell’anno 1982 e quanta parte si sia svolta nell’anno 1983, provvedendo a detrarre proporzionalmente dall’indennizzo dovuto per quell’anno accademico, la quota corrispondente alla durata del corso svoltasi nell’anno 1982.

3. Il secondo motivo di ricorso.

3.1. Col secondo motivo la Presidenza del Consiglio lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1173e 2043 c.c.; delle direttive comunitarie 362/75 e 82/76, dell’art. 117 cost., degli artt. 5 e 189 del trattato istitutivo UE.

Il motivo concerne la posizione di 38 soltanto degli originari attori (ovvero A.C.D., + ALTRI OMESSI).

Sostiene l’amministrazione ricorrente che i suddetti attori si erano iscritti a corsi di specializzazione non riconosciuti da tutti i Paesi dell’unione, nè da almeno due di essi (ovvero le specializzazioni in puericultura, medicina legale e delle assicurazioni, malattie dell’apparato digerente, chirurgia d’urgenza e pronto soccorso, nEuropsichiatria, medicina del lavoro, diabetologia e malattie del ricambio, malattie dell’apparato cardiovascolare, igiene e medicina preventiva, clinica dermosifilopatica, patologia generale, nEurologia), e che pertanto ai sensi degli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE non avrebbero avuto diritto ad alcuna remunerazione.

3.2. Nei confronti di T.P. il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso, e dalla decisione nel merito pronunciata in questa sede nei confronti del suddetto controricorrente.

3.3. Nei confronti degli altri controricorrenti il motivo è inammissibile, per due indipendenti ragioni.

In primo luogo esso è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dal momento che l’amministrazione ricorrente non ha precisato nel proprio ricorso se, quando ed in che termini l’eccezione di non corrispondenza tra la specializzazione conseguita dagli attori e le materie previste dalle direttive comunitarie fu sollevata nei gradi di merito.

Non sarà superfluo aggiungere che nella comparsa di costituzione e risposta depositata dalla difesa erariale il 4.5.2001 dinanzi al Tribunale di Palermo tale questione non è in alcun punto presa analiticamente in considerazione.

Solo a p. 1, ultimo capoverso, si legge un ambiguo accenno al difetto di prova della “frequenza di scuole di specializzazione rientranti nell’ambito della disciplina comunitaria”: troppo poco, a fronte dei chiari precetti imposti dall’art. 167 c.p.c., per ritenere che la Presidenza del Consiglio abbia voluto effettivamente eccepire la non coincidenza tra le scuole di specializzazione frequentate dagli attori, e quelle elencate dalle direttive 362 e 363 del 1975.

3.4. In secondo luogo il motivo sarebbe in ogni caso inammissibile perchè quel che rileva ai fini dell’attribuzione del diritto all’indennizzo non è la esatta corrispondenza nominale tra la specializzazione conseguita in Italia e quella comune a tutti od almeno due Paesi dell’unione; rileva invece l’equipollenza di contenuto sostanziale tra la specializzazione conseguita in Italia e quelle elencate negli artt. 5 e 7 della Direttiva 363/75.

Tuttavia lo stabilire se vi sia o non vi sia tale equipollenza è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, sicchè l’averla ritenuta sussistente od insussistente non è questione censurabile in sede di legittimità, come già ritenuto più volte da questa Corte (Sez. 6-3, Ordinanza n. 3833 del 14.2.2017; Sez. L, Sentenza n. 191 del 11.1.2016; Sez. L, Sentenza n. 20502 del 13.10.2015; Sez. 3, Sentenza n. 22892 del 10.11.2016; tali decisioni hanno ritenuto “nuova”, e perciò inammissibile, la questione della equipollenza tra specializzazioni, sollevata per la prima volta in sede di legittimità).

Da ultimo, le stesse Sezioni Unite di questa Corte, affrontando il problema, hanno stabilito che l’eccezione concernente la non conformità ai requisiti previsti dalla normativa comunitaria dei corsi frequentati dai medici specializzati in Italia deve essere “tempestivamente svolta in sede di merito, e presuppone anche accertamenti di fatto non consentiti in questo giudizio di legittimità”: così Sez. U, Sentenza n. 19107 del 18.7.2018).

Alla luce di tali precedenti, e per le ragioni in essi già indicate, non può condividersi quanto sostenuto dalla difesa erariale nei propri scritti, ovvero che la questione della non corrispondenza tra la specializzazione conseguita in Italia e quelle previste dalla direttiva sarebbe rilevabile anche d’ufficio “in ogni stato e grado”.

3. Le spese.

3.1. Nei rapporti tra la Presidenza del consiglio dei Ministri da un lato, e C.A., Co.Gi., D.P.M.A., D.R.R., L.N. e T.P. dall’altro, le spese del giudizio di appello e del presente giudizio di legittimità possono essere compensate interamente tra le parti, in considerazione della oggettiva controvertibilità della materia, che ha richiesto l’intervento sia delle Sezioni Unite di questa Corte, sia della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

3.2. Nei rapporti tra la Presidenza del consiglio dei Ministri da un lato, e An.Ma., B.M., D.L.F.P., Di.Pa.Ro.Ma., Pi.Mi., R.I. ed Sp.An. dall’altro, le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice di rinvio.

3.3. Nei rapporti tra la Presidenza del consiglio dei ministri da un lato, e A.C.D., + ALTRI OMESSI dall’altro, le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Le spese nel rapportofra i Ministeri e i resistenti si compensano.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso dei Ministeri. Compensa le spese nel relativo rapporto.

(-) accoglie il primo motivo di ricorso, e per l’effetto:

(-) con riferimento alla posizione dei soli C.A.; Co.Gi.; D.P.M.A.; D.R.R.; L.N. e T.P., cassa la sentenza impugnata e, decidendo, nel merito, rigetta la domanda proposta dai ricorrenti appena indicati;

(-) con riferimento alla posizione dei soli An.Ma., B.M., D.L.F.P., Di.Pa.Ro.Ma., Pi.Mi., R.I. ed Sp.An., cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;

(-) compensa interamente le spese di appello e del giudizio di legittimità tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri da un lato, e C.A.; Co.Gi.; D.P.M.A.; D.R.R.; L.N. e T.P., dall’altro;

(-) dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso;

(-) condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri alla rifusione in favore di A.C.D., + ALTRI OMESSI, in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 18.000, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 20 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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