Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10549 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. III, 03/06/2020, (ud. 30/10/2019, dep. 03/06/2020), n.10549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25613-2018 proposto da:

RENAULT ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGOSTINO DE PRETIS N 86,

presso lo studio dell’avvocato EMILIO BATTAGLIA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO ASTONE;

– ricorrente –

contro

FRANCO REGGIANI SRL in persona del

l.r.p.t.MILANESE LUIGI e.B. ANNA MARIA quali cessionari di

AUTOMIL DI M. & C. SAS, AUTOTIRRENA SNC nella persona del

legale rappresentante pro tempore, Q.O. in proprio e

quale erede del defunto marito B.E., già rappresentante

Responsabile designato per la tutela degli interessi di

B.E., B.E., B.P. e O.Q., in quanto

soci di B.E. & C. SAS, B.P. in proprio e

quale erede del defunto padre B.E.,già rappresentante

Responsabile designato per la tutela degli interessi di

B.E., B.E., B.P. e Q.O., in quanto

soci di B.E. & C. SAS, B.E., in proprio e

quale erede del defunto padre B.E., già rappresentante

Responsabile designato per la tutela degli interessi di

B.E., B.E., B.P. e Q.O., in quanto

soci di B.E. & C. SAS, G B. & C SRL quale

incorporante di B. AUTO SRL in persona del legale

rappresentante pro tempore, CORDIOLI SRL nella persona del legale

rappresentante pro tempore, C.G. e V.F.

quali cessionari di C. & V. SNC oggi in liquidazione,

G.V., GROVER SRL nella persona del legale rappresentante

pro tempore, GIBIAUTO SRL IN LIQUIDAZIONE nella persona del

liquidatore legale rappresentante pro tempore, F.LLI M. SRL in

persona del legale rappresentante pro tempore, L.M. quale

cessionario della lite giudiziaria originariamente promossa da NEW

CARS SRL, ASSOCIAZIONE CONCESSIONARI REVOCATI in persona del

presidente legale rappresentante pro tempore in qualità di

cessionaria del credito di NUOVA BOB CAR SRL, M.B. quale

cessionario dei diritti di RECAR SRL, RENO’ CAR SRL nella persona

del legale rappresentante pro tempore, L.R. & C SNC in

persona del legale rappresentante pro tempore, SOMA SRL nella

persona del legale rappresentante pro tempore, AUTOMOBILI TRIVELLATO

SNC DI G.T. & C in persona del legale

rappresentante pro tempore, TURBOCAR SRL IN LIQUIDAZIONE nella

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ROMEO ROMEI 27, presso lo studio

dell’avvocato SIMONA PAIANO, che li rappresenta e difende unitamente

agli avvocati GIULIANO RUMINI, PAOLO DE PAULIS;

– controricorrenti –

nonchè contro

AUTOMIL & C SAS, AUTOTIRRENA SNC, B.E.,

B.P., Q.O., B. E C SRL, CORDIOLI SRL,

C.G., V.F., ING F.E. SRL IN LIQUIDAZIONE,

G.V., GROOVER SRL, P.C.,

D.P.A., D.G.L., D.G.A.R., FRATELLI M. SNC

L.M., B.D., B.S., ASSOCIAZIONE

CONCESSIONARI REVOCATI GIBIAUTO SRL IN LIQUIDAZIONE, M.B.,

RENO’ CAR SRL, R.L. & C SNC, SOMA SRL, AUTOMOBILI

TRIVELLATO SNC, TURBO CAR SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 691/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/10/2019 dal Consigliere Dott. OLIVIERI STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO che ha concluso per l’estinzione parziale,

accoglimento dei motivi 6 e 7 p.g.r., rigetto del resto;

udito l’Avvocato EMILIO BATTAGLIA;

udito l’Avvocato FRANCESCO ASTONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Decidendo sull’appello proposto da numerosi concessionari di vendita auto, nei confronti dei quali la Casa produttrice Renault Italia s.p.a. aveva esercitato il recesso “ad nutum” determinando la cessazione dei relativi rapporti, la Corte d’appello di Roma, investita del giudizio di rinvio disposto dalla Corte di cassazione con sentenza n. 20106/2009 ex art. 384 c.p.c., comma 2, ha statuito, con sentenza in data 5.2.2018 n. 691, la illegittimità dell’esercizio del diritto potestativo di recesso, da parte di Renault Italia s.r.l., per violazione del principio di buona fede oggettiva, ed ha condannato detta società al risarcimento dei danni subiti dalle ditte ex concessionarie per mancato utile, deprezzamento delle giacenze di magazzino, spese sostenute per attrezzature e sistemi informatici rimasti inutilizzati, nonchè per canoni di locazioni e ristrutturazione locali.

Il Giudice di appello, premessa la distinzione tra abuso del diritto e violazione del canone di buona fede – nel primo caso dovendosi avere riguardo alla ultroneità dello scopo/risultato perseguito, rispetto alla funzione riconosciuta dall’ordinamento al potere/diritto esercitato; nel secondo caso dovendosi accertare se le “modalità concrete” di esercizio del potere/diritto si siano tradotte in un comportamento sleale e scorretto -, e ritenuta la carenza di prova in ordine alle finalità abusive del recesso, ha accertato che la condotta di Renault Italia s.p.a. risultava contraria a buona fede, avendo la società indotto in legittimo affidamento i concessionari sulla continuazione del rapporto mediante stipula di patti aggiuntivi con i quali si richiedeva un incremento del fatturato e l’assunzione di nuovi impegni di investimento, cui però, a distanza di breve tempo, aveva fatto seguito l’esercizio del recesso, pregiudicando in tal modo la possibilità di ammortizzazione degli investimenti già sostenuti dai concessionari.

La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata per cassazione da Renault Italia s.p.a. con ricorso affidato a sette motivi.

Hanno resistito con distinti controricorsi:

– Ing. F.E. s.r.l. in liquidazione;

– S.A., D. e B.S. – eredi di A.G., n. q. di cessionari del credito di NOVAUTO s.r.l.;

– Franco Reggiani s.r.l. unitamente ad altri ventuno intimati (in seguito “Franco Reggiani ed altri”).

Non hanno svolto difese P.C., D.P.A., D.G.L. ed D.G.A.R., nella qualità di cessionari di LIQUIDAUTO s.r.l. in liquidazione, ai quali il ricorso è stato notificato in forma telematica in data 30.8.2018 presso l’indirizzo PEC dei difensori avv. D.G.A.R. e D.P.L..

Renault Italia s.p.a. ha depositato atto di rinuncia al ricorso ex art. 390 c.p.c., con integrale compensazione delle spese di lite, nei confronti di tutte le parti, tranne che nei confronti degli intimati P.C., D.P.A., D.G.L. ed D.G.A.R., tutti n. q. di cessionari di LIQUIDAUTO s.r.l. in liquidazione.

La rinuncia, ritualmente notificata presso i difensori dei resistenti è stata da questi accettata. In allegato allo stesso atto la ricorrente ha depositato la ordinanza della Corte d’appello di Roma in data 6.11.2018 che ha rigettato la istanza di correzione di errore materiale della sentenza di appello impugnata per cassazione proposta da Renault Italia s.p.a..

Renault Auto s.r.l. ha inoltre depositato memoria ex art. 378 c.p.c., dichiarando di rinunciare a coltivare il primo motivo di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1 Manifestamente infondata la eccezione di nullità del ricorso proposta da R.F. ed altri, per asserito vizio della notifica (controricorso pag. 5).

Le notifiche sono state tutte eseguite presso gli indirizzi PEC dei difensori che assistevano le parti nel giudizio di appello in sede di rinvio: del tutto inconferente è pertanto il rilievo dei controricorrenti secondo cui il ricorso non sarebbe stato notificato nel domicilio d’appello bensì in quello eletto da alcune parti in un diverso procedimento (di correzione di errore di calcolo).

Il ricorso non risulta personalmente notificato a A.G., in quanto è stato ritualmente notificato, all’indirizzo PEC del difensore, nei confronti di D. e B.S., in qualità di eredi del defunto A.G., che si sono ritualmente costituite, con proprio controricorso, nel giudizio di legittimità.

I singoli e distinti rapporti di concessione di vendita, intrattenuti da Renault con ciascuna ditta concessionaria -indipendentemente dalla comune difesa, integrano rapporti di diritto sostanziale che non si configurano come “unitari ed inscindibili” e neppure come “dipendenti” (nel senso che, in assenza di una relazione di pregiudizialità tecnica tra le cause, non è dato ravvisare neppure quella relazione di “dipendenza” tra cause tale per cui l’accertamento di un rapporto viene ad integrare un presupposto di fatto rilevante per la decisione dell’altra causa, così da richiedere l’unitarietà del litisconsorzio processuale nelle successive fasi impugnatorie – art. 331 c.p.c., comma 1), venendo in questione, nella specie, esclusivamente un fascio distinto di rapporti, confluiti nel medesimo processo per autonoma scelta delle parti che hanno introdotto il giudizio (art. 104 c.p.c., comma 1), ed al più per ragioni di analogia delle questioni in diritto da risolvere (art. 103 c.p.c., comma 1, seconda parte). Integrando la plurisoggettività delle parti attrici un mero litisconsorzio facoltativo, la omessa notifica del ricorso per cassazione nei confronti di alcune soltanto di tali parti (Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione; Francesco Menabue s.r.l.; Associazione Concessionari Revocati “in proprio”), non determina alcuna esigenza di integrazione del contraddittorio, tanto meno un vizio di nullità del ricorso come infondatamente asserito dalla difesa dei controricorrenti, trattandosi di parti rimaste soccombenti anche in grado di appello e nei confronti delle quali si è formato il giudicato sulla pronuncia di rigetto della domanda risarcitoria, per mancata impugnazione nel termine di decadenza.

1.2 Verificata la integrità del contraddittorio tra le parti, va dichiarata la estinzione del giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 391 c.p.c., comma 4, in seguito a rinuncia al ricorso per cassazione sottoscritta, in data 4.2.2019, dai difensori di Renault Italia s.p.a., ai quali il relativo potere era stato conferito con la procura speciale in calce al ricorso, ed accettata dalle parti resistenti, di seguito indicate, con atti notificati in data 11, 15 e 20 febbraio 2019 (documenti allegati alla memoria ex art. 378 c.p.c., depositata dalla società ricorrente).

Il giudizio di legittimità va dichiarato estinto, con integrale compensazione delle spese di lite, nei confronti di:

Franco Reggiani s.r.l.; Automil & C s.a.s.; Autotirrena s.n.c.; B.E., B.P., O.Q. n. q. di successori di B.E. e di soci della B.E. & c s.a.s.; B. & C s.r.l. incorporante di B. Auto s.r.l.; Cordioli s.r.l.; C.G., V.F. n. q. di cessionari di C. e V. s.n.c. in liquidazione; Ing. F.E. s.r.l. in liquidazione; G.V.; Grover s.r.l.; Fratelli M. s.r.l. già s.n.c.; Gibiauto s.r.l. in liquidazione, già Nuova Gibiauto s.r.l.; L.M. n. q. di cessionario di New Cars s.r.l.; B.D., B.S. n. q. di eredi di A.G., S.A., tutti cessionari di Novauto s.r.l.; Associazione Concessionari Revocati n. q. di cessionaria di Nuova Bib Car s.r.l.; M.B. n. q. di cessionario di Recar s.r.l.; Renò Car s.r.l.; L.R. & C s.n.c.; Soma s.r.l. già s.p.a.; Automobili Trivellato s.n.c. di G.T. & C.; Turbo Car s.r.l. in liquidazione.

1.3 Renault Italia s.p.a. ha invece insistito nei motivi del ricorso per cassazione proposto nei confronti di P.C., D.P.A., D.G.L., D.G.A.R., tutti n. q. di cessionari di Liquidauto s.r.l. in liquidazione.

2. Esame dei motivi di ricorso proposto da Renault Auto s.r.l..

Primo motivo: omessa pronuncia – violazione art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La società ricorrente ha dichiarato espressamente, nella memoria ex art. 378 c.p.c. (pag. 5), di rinunciare al primo motivo di ricorso, essendo venuto meno l’interesse alla censura concernente la posizione di alcune soltanto delle parti resistenti nei confronti delle quali era intervenuta la rinuncia all’intero ricorso ex art. 390 c.p.c., con conseguente assoluzione del Collegio dall’obbligo di pronuncia su tale motivo.

Secondo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Assume la società ricorrente che la Corte d’appello ha violato i limiti alla stessa imposti dal principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione con rinvio, avendo fondato l’accertamento della illegittimità del recesso sulla lesione dell’affidamento riposto dai concessionari sulla prosecuzione del rapporto, affidamento ingenerato da Renault con le richieste di maggiori investimenti ed incremento di fatturato, quando, invece, il Giudice di legittimità aveva delimitato la indagine demandata al Giudice del rinvio al riscontro della conformità o meno del recesso alla clausola di buona fede ed al divieto di abuso del diritto, con riferimento soltanto: a) alla proporzionalità del mezzo rispetto ai contrapposti interessi delle parti; b) alle modalità e ad eventuali fini ulteriori e diversi perseguiti da Renault.

Il motivo è infondato.

Appare opportuno riepilogare brevemente lo statuto dei poteri riservati al Giudice di merito, ai sensi dell’art. 394 c.p.c., cui la causa perviene dalla Corte di cassazione che ha disposto il rinvio cd. “prosecutorio”.

E’ stato infatti statuito da questa Corte che, anche nel caso in cui, nel giudizio di cassazione, la sentenza impugnata sia stata annullata per il vizio di violazione di legge, si deve ritenere che il giudice di rinvio abbia il potere di procedere nuovamente all’accertamento del fatto, nell’ambito delle conclusioni precedentemente assunte dalle parti, valutando liberamente le prove già raccolte, tenuto conto che:

l’art. 394 c.p.c., in realtà, non pone il divieto di immutare la base di fatto che costituisce il presupposto del principio di diritto enunciato nella sentenza d’annullamento;

una simile conclusione è indiscutibile nell’ipotesi di efficacia del principio di diritto in un nuovo giudizio, dopo l’estinzione di quello in corso;

nuovi accertamenti di fatto nel giudizio di rinvio sono implicitamente presupposti dal nuovo testo dell’art. 384 c.p.c., sulla decisione della causa nel merito, che può essere adottata dalla Corte di legittimità soltanto “qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto” (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 2436 del 17/03/1999). Ciò si verifica in particolare quando la sentenza di cassazione con rinvio reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito perchè ritenuti erroneamente privi di rilievo, rendendosi in tal caso ammissibili anche le nuove prove che servano a supportare tale nuovo accertamento, non operando rispetto ad esse la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, (Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 16180 del 26/06/2013; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9768 del 18/04/2017).

Rimane evidentemente fermo che tale ulteriore sviluppo istruttorio del giudizio di rinvio deve rispondere -secondo un nesso di tipo eziologico – indefettibilmente a quelle sole esigenze poste dagli effetti demolitori e conformativi della pronuncia di cassazione, essendo pertanto inibita alle parti ogni nuova attività, istruttoria od assertiva “che non dipenda strettamente” dalle statuizioni della Corte di legittimità (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 23380 del 16/12/2004), insorgendo un vero e proprio vincolo per il Giudice del rinvio a svolgere le ulteriori indagini di fatto, laddove sia stato allo stesso demandato, dalla sentenza di cassazione della SC, il compito di procedere ad ulteriori accertamenti di fatto, non potendo a ciò sottrarvisi adducendo la tardività delle relative istanze istruttorie (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 3186 del 01/03/2012).

A tale proposito va, quindi, definitivamente confermato l’orientamento giurisprudenziale (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 6707 del 06/04/2004; id. Sez. 5, Sentenza n. 8381 del 05/04/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 22885 del 10/11/2015; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 16660 del 06/07/2017) secondo cui i vincoli alla attività del Giudice del rinvio debbono ricercarsi interamente all’interno del “dictum” della sentenza di cassazione con rinvio, ex art. 383 c.p.c., comma 1, venendo tali poteri a dimensionarsi in modo differente in relazione al tipo di vizio di legittimità che ha determinato la necessità del rinvio prosecutorio, e dunque a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, ovvero per “vizi di motivazione” in ordine a punti decisivi della controversia, o ancora “per l’una e per l’altra ragione”: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo (in tal caso limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale – salvo solo il caso di giuridica inesistenza- o di constatato errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neppure alla stregua di arresti giurisprudenziali precedenti, contestuali o successivi della Corte di legittimità: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 3458 del 06/03/2012); nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi (essendo peraltro tenuto ad osservare il divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento impugnato ritenuti illogici ed eliminando, a seconda dei casi, le contraddizioni ed i difetti argomentativi riscontrati: Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 12102 del 29/05/2014); nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonchè la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse.

Orbene, avendo la Corte di legittimità ritenuto fondati sia il secondo e quarto motivo di ricorso, denunciati l'”errore di diritto”, sia il terzo motivo con il quale si denunciava l'”errore in fatto” (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 20106 del 18/09/2009), deve ritenersi che la Corte d’appello di Roma, in sede di rinvio, è stata restituita negli stessi pieni poteri di valutazione dei fatti, in cui si trovava anteriormente al giudizio rescindente, ricorrendo la terza delle diverse ipotesi sopra ricordate: il Giudice chiamato a ripetere l’attività svolta, infatti, viene investito “in toto”, del riesame delle questioni di merito, dal rinvio disposto su accoglimento del vizio di violazione di legge unito al vizio di omessa motivazione, non incontrando alcuna preclusione nella attività di rilevazione dei fatti e di valutazione delle risultanze istruttorie.

Tanto premesso il vizio di legittimità denunciato con il motivo in esame, non ricorre nella specie, in quanto:

– la Corte di legittimità aveva censurato l’affermazione del Giudice del gravame secondo cui, non essendo imposta una giustificazione “causale” del potere attribuito al titolare, non era consentito alcun sindacato di merito sull’esercizio del diritto potestativo di recesso “ad nutum”, osservando che: a) l’accertamento del comportamento abusivo, “rivelatore” della violazione dell’obbligo di buona fede, non trascendeva affatto in una valutazione di tipo politico, nè comportava ingerenza nelle scelte discrezionali di convenienza rimesse alla autonomia dei privati nel libero esercizio dell’iniziativa economica, ma integrava invece un giudizio di stretto diritto, dovendo verificarsi la conformità della condotta al parametro costituzionale dell’art. 2 Cost., espressivo del principio generale di solidarietà sociale e ciò in quanto: “disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso ai rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. L’irrilevanza per il diritto, delle ragioni che sono a monte della conclusione e della esecuzione di un determinato rapporto negoziale, non esclude – ma anzi prevede – un controllo da parte del giudice, al fine di valutare se l’esercizio della facoltà riconosciuta all’autonomia contrattuale abbia operato in chiave elusiva dei principi espressione dei canoni generali della buona fede, della lealtà e della correttezza” (sentenza SC n. 2illfk/2009 cit.); b) il Giudice di merito aveva omesso di procedere alla verifica dell’osservanza del principio di buona fede secondo il criterio della proporzionalità del mezzo al fine e cioè del corretto bilanciamento ed equilibrio dei contrapposti interessi e “sotto questo profilo, pertanto, dovrà essere riesaminato il materiale probatorio acquisito. In sostanza la Corte di merito – di fronte ad un recesso non qualificato – non poteva esimersi dal valutare le circostanze allegate dai destinatari dell’atto di recesso, quali impeditive del suo esercizio, o quali fondanti un diritto al risarcimento per il suo abusivo esercizio” (sentenza SC n. 2016/2009 cit.); c) il criterio di proporzionalità incide sull’assetto degli interessi dedotti nel rapporto, e dunque il Giudice di merito è tenuto ad indagare se le forme e le modalità con cui il diritto riconosciuto ad una delle parti è esercitato, trasmodino prevaricando il limite esterno costituito dal contemperamento dell’altrui interesse negoziale, tenuto conto che “in ipotesi…di eventuale provata disparità di forze tra i contraenti, la verifica giudiziale del carattere abusivo o meno del recesso deve essere più ampia e rigorosa, e può prescindere dal dolo o dalla specifica intenzione di nuocere, il giudice del rinvio, quindi, dovrà riesaminare la questione, tenendo conto delle indicazioni fornite e dei principi enunciati, al fine di riconoscere o meno il carattere abusivo del recesso e l’eventuale consequenziale diritto al risarcimento dei danni subiti” (ibidem);

– La Corte d’appello, introducendo una differenziazione teorica tra “abuso del diritto” e “buona fede oggettiva” (che, peraltro, non emerge dall’enunciato della sentenza di legittimità, laddove appunto è specificato che l'”abuso” è uno dei sintomi della violazione della clausola di buona fede esplicativa del principio di solidarietà: essendo abusiva la condotta che si traduce in “una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrificio cui è soggetta la controparte” e dunque nella realizzazione di un vantaggio non consentito in relazione alle concrete circostanze, in quanto violativo della “normativa di correttezza, che è regola cui l’ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata”), ed escludendo un controllo “causale” del recesso ad nutum, si è poi di fatto uniformata ai principi di diritto enunciati nella sentenza di cassazione con rinvio, sottoponendo a verifica, in base al canone della buona fede oggettiva, i comportamenti delle parti contraenti e rilevando – mediante accertamento in fatto – la slealtà della condotta tenuta da Renault Italia s.p.a. che aveva esercitato il potere di recesso in modo inaspettato e sorprendente, avendo in precedenza – poco tempo prima – ingenerato nei concessionari l’incolpevole affidamento sulla ulteriore prosecuzione del rapporto, imponendo a quelli di sostenere spese -anche rilevanti- per la programmazione di nuovi investimenti e per l’incremento della attività ed il raggiungimento di maggiori fatturati, con conseguente pregiudizio determinato dalla inutilizzabilità o dalla anticipata dismissione di attrezzature e locali, dall’impedito ammortamento delle spese sostenute, dalla cessione sottocosto dei prodotti acquistati ed accumulati in magazzino e dai minori introiti causati dalla anticipata cessazione dei contratti. A tal fine il Giudice del gravame ha valorizzato: 1- lo squilibrio nei rapporti di forza tra i contraenti in relazione alle rispettive posizioni nel rapporto essendo i concessionari “destinati a subire la rigida governante della casa produttrice con esclusione di qualsiasi attribuzione di modelli organizzativi autonomi” (sentenza appello, in motiv. pag. 11); 2- il breve lasso di tempo intercorso tra la sottoscrizione di patti aggiuntivi, con richiesta di assunzione di gravosi impegni (realizzazione di nuovi show room, incremento delle spese di pubblicità, apertura di subconcessionarie) e l’esercizio del diritto di recesso; 3- gli interventi materialmente eseguiti dalle concessionarie (costruzione di nuove sedi, acquisto di ingenti quantità di prodotti da rivendere, assunzione di nuovo personale, incrementi di capitale sociale, ecc.).

Tanto è sufficiente a ritenere destituita di fondamento la censura svolta dalla ricorrente per cui, non avendo la sentenza cassatoria esaminato alcun errore in fatto (pur avendo ritenuto fondato anche il terzo motivo di ricorso formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il Giudice di appello si sarebbe dovuto attenere alla esclusiva applicazione del principio di diritto.

Tenuto conto, infatti, dei superiori rilievi, ed avuto riguardo al parametro fornito dal dictum della decisione di legittimità, risulta che:

a) il Giudice di appello non ha acquisito nuove prove, ma si è limitato a valutare il materiale probatorio già acquisto nei precedenti gradi di giudizio;

b) la indicazione del rinnovo dell’esame del materiale istruttorio era stata espressamente posta dalla stessa sentenza di cassazione, quale necessario portato dell’affermato principio per cui il giudizio di merito sulla correttezza o sull’abuso funzionale della modalità di esercizio del potere riservato al privato non era affatto impedito dalla mera attribuzione di un diritto di recesso “ad nutum”, non potendo questo sconfinare mai nell’arbitrio.

Quanto alla contestata “concretizzazione” della lesione della buona fede, da parte del Giudice di appello, in modo difforme dal dictum della sentenza di legittimità, emerge in tutta evidenza la infondatezza della censura della ricorrente, solo che si osservi come la “buona fede oggettiva” si presenta con la struttura della “clausola generale”, in quanto tale caratterizzata da un contenuto elastico, non predefinibile in relazione al caso concreto.

Nel caso di specie, il richiamo alla clausola generale ed alle sue diverse declinazioni (lealtà, correttezza, proporzionalità-contemperamento del contrapposto interesse, non prevaricazione in arbitrio del risultato imposto alla controparte, bilanciamento tra vantaggio riservato al titolare del diritto e sacrificio determinato nella sfera giuridica dell’altro contraente) è stato effettuato dalla Suprema Corte, non per individuare quale fosse “in concreto” ossia con riferimento alle specifiche circostanze fattuali da esaminare l’oggetto delle verifica demandata al Giudice del rinvio, ma per affermare che proprio la clausola generale in questione era idoneo parametro giuridico di valutazione “anche” dell’esercizio del diritto potestativo, e per evidenziare che tale valutazione – in relazione ai molteplici aspetti fattuali allegati dalle parti era del tutto mancata nella sentenza di merito cassata.

La estrapolazione nel ricorso (pag. 24-25) di alcuni passi motivazionali della sentenza di legittimità concernenti l’abuso di diritto e la buona fede, ed in cui si descrivono determinati elementi sintomatici dell’esercizio “alterato” del diritto, quali la mancanza di proporzionalità ed il perseguimento di fini diversi da quelli consentiti, non consente in alcun modo – diversamente da quanto ipotizza la ricorrente – di confinare l’ambito di valutazione delle risultanze istruttorie, demandato al Giudice del rinvio, soltanto ad alcuni e non altri elementi indiziari sintomatici dell’illegittimo esercizio del diritto di recesso.

Nè è a dire che la Corte territoriale ha utilizzato un paramento giuridico di valutazione della “correttezza – proporzionalità” della condotta tenuta dal titolare del diritto diverso da quello accolto dalla Corte Suprema, atteso che la sovrapposizione dell’esercizio del recesso “ad nutum” con la condotta lesiva dell’affidamento incolpevole sulla regolare prosecuzione del rapporto, altro non disvela che l’ulteriore e sproporzionato sacrificio imposto ai concessionari dalla concedente, nelle concrete circostanze di fatto, derivante dalla scelta – a quest’ultima consentita – di porre unilateralmente termine ai rapporti in corso: e conformemente al “dictum” della sentenza di cassazione con rinvio, la Corte d’appello non è venuta a sindacare le ragioni di tale scelta (escludendo peraltro che fossero state fornite prove del perseguimento, da parte della recedente, di un “risultato pratico ultroneo” rispetto a quello riconducibile all’esercizio del diritto potestativo), quanto piuttosto le modalità in cui tale scelta era stata compiuta, e le circostanze di fatto in cui tale scelta veniva ad esplicare i suoi effetti.

L’accertamento della Corte d’appello è, dunque, del tutto conforme al dictum della pronuncia di cassazione con rinvio, venendo a corrispondere proprio alla necessità di verificare “la circostanza che tale esercizio concreto (ndr del diritto di recesso),anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico ” ed ancora alla necessità di verificare “la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrificio cui è soggetta la controparte” (cfr. Corte cass., sentenza n. 20106/2009 cit.), rimanendo quindi totalmente priva di fondamento la tesi difensiva di Renault Italia s.p.a. volta ad introdurre una artificiosa distinzione tra abuso del diritto e violazione della buona fede oggettiva, nel tentativo di isolare il principio di diritto enunciato nella pronuncia della Corte di legittimità, riferendolo ad alcuni soltanto degli elementi sintomatici del fenomeno considerato.

In sostanza la questione che doveva risolvere il Giudice di merito in sede di rinvio, non era quella – come sostiene la ricorrente – se il recesso rappresentasse in sè un rimedio giuridico proporzionato rispetto agli interessi in conflitto come definiti nei contratti, quanto piuttosto se le “modalità” – da intendersi con riferimento alla situazione fattuale che si era venuta a determinare a seguito dei patti aggiuntivi richiesti ai concessionari da Renault ed i “tempi” che avevano caratterizzato i comportamenti e la scelta di Renault Italia s.p.a. di recedere dai rapporti, avessero o meno determinato un ingiustificato eccessivo squilibrio a detrimento dell’interesse negoziale dei concessionari.

Del tutto irrilevante, inoltre, è – in relazione al prospettato vizio di legittimità – la critica rivolta dalla società ricorrente, nell’ultima parte del motivo in esame, al “modus procedendi” della Corte d’appello nella valutazione dei fatti, investendo gli argomenti esposti mere valutazioni di merito che esulano dal giudizio di legittimità.

Terzo motivo: vizio di nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Quarto motivo: in subordine, vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di fatto decisivo; in alternativa, vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1337 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene la ricorrente che l’elemento della stipula di patti aggiuntivi per incrementare gli investimenti ed il fatturato, non era ex se idoneo a fondare l’accertamento della violazione degli obblighi di buona fede, in quanto la Corte territoriale aveva omesso del tutto di verificare se tale richiesta integrasse una mera attuazione del contratto standard ovvero si trattasse, invece, di nuovi e diversi impegni.

Da ciò fa derivare la assoluta incomprensibilità della motivazione, in quanto, ove le prestazioni richieste fossero meramente attuative dell’originario contratto, non potrebbe ravvisarsi alcun legittimo affidamento nella prosecuzione del rapporto.

In subordine, la ricorrente, rileva: a) che la Corte d’appello avrebbe erroneamente considerati i “patti aggiuntivi” come disponenti nuove obbligazioni rispetto al contratto standard stipulato in conformità alle condizioni indicate nel regolamento comunitario n. 123/1985 della Commissione in data 12.12.1984, mentre si trattava di atti esecutivi che dovevano essere redatti annualmente per definire le predette condizioni, e dunque meramente attuativi del contratto e, come tali, inidonei a fondare alcun legittimo affidamento sulla maggiore durata del contratto; b) in alternativa: qualora tali patti avessero introdotto anche nuove obbligazioni, in ogni caso la loro stipula non aveva alcuna incidenza sulla complessiva durata del rapporto e sul termine annuale di preavviso per il recesso.

I motivi sono infondati.

Indipendentemente dalla incoerente comparazione tra il legittimo affidamento ingenerato dalle “trattative” in vista della conclusione del contratto, ed il legittimo affidamento derivante, invece, da comportamento “interni” al rapporto contrattuale in esecuzione e del quale è stata pattuita una naturale durata di efficacia; ed indipendentemente anche dalla palese inammissibilità della censura, proposta in via alternativa, che attraverso l’errore di diritto introduce, invece, la richiesta di diverso accertamento di fatto, osserva il Collegio che la questione antinomica “prestazioni attuative prestazioni eccedenti” quelle individuate nel contratto standard, non è affatto dirimente.

In un contratto, come quello di concessione di vendita, in cui l’elemento della durata si sostanzia nella tipologia delle prestazioni richieste al distributore ed al fornitore (obbligo di vendita “nel corso di periodo determinati” di un determinato numero di prodotti; obbligo di acquisto di prodotti riforniti periodicamente dalla concedente per mantenere i livelli delle scorte di magazzino; durata minima quadriennale del contratto) non è dubbio che le condizioni “minime” che si richiedono al distributore (nella predisposizione delle attrezzature e impianti tecnici, preparazione del personale, pubblicità, servizio assistenza alla clientela: cfr. art. 4 reg. CEE n. 123/1985) comportino spese di investimento da ammortizzare, che rientrano quindi nella normale attuazione del contratto.

Ma, in tale contesto, è proprio la funzione del “documento annuale” di programmazione che la ricorrente individua nei “patti aggiuntivi” che ha costituito l’oggetto della verifica della Corte territoriale, in quanto attraverso di esso si fissa prospetticamente – e cioè con una previsione rivolto al futuro- la dimensione dell’impegno richiesto al distributore. Appare evidente, pertanto, come -anche in corso di esecuzione del rapporto- possano essere ingenerate aspettative circa la prosecuzione del contratto fino al suo esito naturale, secondo che tali “stime previsionali” (dirette a stabilire il numero minimo di prodotti da commercializzare, l’ammontare delle scorte minime di magazzino, ecc.) vengano ampliate o ridotte in considerazione delle esigenze delle parti, sicchè qualora il concedente-fornitore preveda di uscire dal mercato o di contrarre la produzione o di modificare la rete organizzativa di distribuzione, optando per il recesso dai rapporti di concessione di vendita in corso, lo stesso è certamente tenuto, proprio in considerazione dell’obbligo di correttezza e buona fede che deve improntare anche la esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), a rendere noti alla controparte tali suoi intendimenti, provvedendo ad un diverso dimensionamento degli impegni individuati nei “documenti annuali” e così da consentire alla impresa concessionaria di meglio programmare la propria attività in vista della possibilità di un anticipato recesso dal contratto esercitato dalla concedente. Diversamente, nel caso in cui il “documento annuale” venga a prevedere addirittura la necessità di un incremento degli investimenti e del fatturato, pur essendosi già determinata la concedente ad optare a breve tempo per il recesso ad nutum, emerge evidente la discrasia della condotta così tenuta rispetto all’obbligo imposto dalla clausola generale di buona, venendo a determinare il recesso – definito dalla Corte territoriale “inaspettato e sorprendente” – un maggiore ed ingiustificato sacrifico dell’interesse contrattuale dei concessionari.

Tale è stato l’accertamento di merito compiuto dalla Corte d’appello, che ha ravvisato appunto la violazione del principio di buona fede nella antinomia tra la richiesta di ingenti investimenti volti ad ampliare l’attività dei concessionari ed a distanza di breve tempo l’esercizio del diritto di recesso ad nutum.

Pertanto alcun fatto decisivo è stato omesso nella ricostruzione della fattispecie concreta da parte della Corte territoriale, che ha dunque compiutamente individuato nella sentenza impugnata le ragioni fondanti la decisione che, per tale motivo, va tanto più esente dal vizio processuale di nullità dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per carenza assoluta del requisito di validità della motivazione intesa nel suo “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

Quinto motivo: violazione paragrafo 2, punto 2, del regolamento CEE n. 123/1985, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente critica la proposizione, estratta dalla motivazione della sentenza impugnata, che ha ritenuto troppo breve il preavviso di dodici mesi, allegando che il Giudice di seconde cure avrebbe così violato la prescrizione della norma comunitaria regolamentare che tale termine annuale considera invece adeguato.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la “ratio decidendi”.

La Corte territoriale ha, infatti, valutato la non adeguatezza del termine, esclusivamente in relazione alla condotta scorretta posta in essere dalla concedente, dovendo essere logicamente collegata la predetta proposizione all’argomento, sviluppato subito dopo nella motivazione della sentenza, secondo cui per riequilibrare e contemperare gli interessi in conflitto, Renault avrebbe potuto certamente esercitare il recesso, ma con modalità differenti, a tal fine prospettando una diversa e “più morbida” uscita dei concessionari, ad esempio prolungando la durata contrattuale oltre il termine annuale stabilito per il preavviso: soluzione che si inquadra pienamente nella verifica del criterio di proporzionalità -espressione della clausola di buona fede- idoneo a salvaguardare, attraverso un comportamento pur non contrattualmente obbligato, l’utilità della controparte senza dover sopportare un apprezzabile sacrificio.

Sesto motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 1338 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Deduce la ricorrente la violazione delle norme di diritto indicate in rubrica, rilevando che la Corte d’appello aveva erroneamente liquidato ai concessionari anche il danno patrimoniale da “lucro cessante” (per mancato utile), in relazione alla presunta maggiore durata di esecuzione del contratto nella quale avevano confidato per il comportamento non conforme a buona fede tenuto da Renault Italia s.p.a.. Rappresenta al riguardo la ricorrente che, venendo in questione una lesione dell’affidamento dei concessionari che non ha, comunque, inficiato l’esercizio del diritto di recesso, il Giudice territoriale avrebbe dovuto considerare che non si verteva in tema di inadempimento colpevole delle obbligazioni contrattuali, ma di svolgimento “imprudente” di intese tra le parti concernenti gli obiettivi della futura attività commerciale (patto aggiuntivo per l’anno successivo), sicchè il pregiudizio – analogamente alle conseguenze dannose disciplinate dall’art. 1338 c.c. – avrebbe dovuto essere limitato al solo ristoro dell'”interesse negativo”.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale, in relazione alle diverse posizioni assunte dai concessionari, ha liquidato le seguenti voci di danno patrimoniale, sul presupposto della presunta maggiore durata della efficacia contrattuale indotta dagli specifici impegni oggetto dei “patti aggiuntivi” che Renault Italia s.p.a. aveva richiesto ai concessionari di stipulare:

mancato guadagno (lucro cessante) commisurato al fatturato che la ditta concessionaria avrebbe realizzato se l’aspettativa della maggiore durata contrattuale non fosse andata delusa spese sostenute per attrezzature, investimenti in beni immateriali, ristrutturazione locali, contratti di locazione, aperture nuove linee di credito bancario (danno emergente): nei limiti in cui risultava la prova di un totale o parziale inutilizzazione od impossibilità di reimpiego di tali investimenti deprezzamento del valore di realizzo delle riserve di magazzino (svendita a stock dei ricambi auto che i concessionari, dopo il recesso, non erano più autorizzati a commercializzare), rispetto al costo sostenuto per l’acquisto dei prodotti dal fornitore-concedente (danno emergente).

Orbene la violazione del dovere di buona fede nella esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) bene può integrare diretta violazione degli obblighi contrattualmente assunti e dunque essere suscettiva di determinare un danno patrimoniale nella complessiva estensione riconosciuta dall’ordinamento ex art. 1223 c.c., sia per la perdita subita che per il mancato guadagno (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 21250 del 06/08/2008, in relazione all’improvvisa revoca da parte della banca di un affidamento qualificato come illegittimo). E non pare dubbio che nella fattispecie, quando anche si ipotizzasse -secondo la prospettazione della ricorrente- la esistenza di un contratto “quadro” di concessione di vendita, la cui esecuzione è demandata ai “patti aggiuntivi” annuali, la violazione dell’obbligo imposto dalla clausola generale, è stata certamente veicolata da una condotta (esercizio del diritto potestativo di recesso) contrattuale – illegittima in quanto attuata in modo improvviso ed imprevedibile rispetto agli affidamenti incolpevoli precedentemente ingenerati avente titolo nel contratto quadro e che ne ha determinato la cessazione “ante tempus” con effetti risolutori dei contratti esecutivi derivati ancora in corso. Pretestuoso è, quindi, l’argomento difensivo volto a frazionare l’esercizio del diritto di recesso -in ipotesi ritenuto legittimo- dalla condotta violativa della buona fede contrattuale -integrante illecito contrattuale-, atteso che l’inadempimento del contratto va individuato proprio nell’esercizio del recesso non conforme al canone della buona fede ex art. 1375 c.c..

Non può, quindi, aderirsi alla tesi della ricorrente secondo cui verrebbe in questione soltanto un danno patrimoniale da interesse negativo (costituito sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative ed in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di altre occasioni di stipulazione contrattuale: cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 24625 del 03/12/2015) analogo a quello derivante dalla rottura delle trattative precontrattuali: nella specie la lesione dell’aspettativa incolpevole ad una maggiore durata del contratto di concessione di vendita si traduce, infatti, nel venire meno della prestazione contrattuale (ossia dell’interesse positivo all’adempimento del contratto) dovuta da Renault Italia s.p.a. e della quale i concessionari avrebbero potuto (continuare) a beneficiare, proseguendo nella attività di commercializzazione dei prodotti riforniti dalla Casa madre.

La Corte d’appello ha, dunque, correttamente risarcito il danno da interesse positivo, dovendo in conseguenza ritenersi infondata la censura prospettata.

Settimo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 1219 c.c., comma 1, art. 1223 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente impugna la statuizione della sentenza di appello che ha “attualizzato” le somme liquidate a titolo di risarcimento danno da responsabilità contrattuale, “secondo il noto criterio di Cass. “95/1712”.

La sentenza viene censurata perchè, da un lato, non consente di risalire al criterio di attualizzazione degli importi in concreto applicato, e dall’altro sembra comunque riconoscere la debenza degli interessi dalla data dell’illecito anzichè – come corretto – dalla data della domanda; in ogni caso, la ricorrente deduce che la statuizione contenuta nella motivazione non trova rispondenza nel dispositivo della sentenza che, invece, sugli importi risarcitori liquidati ai singoli concessionari, condanna Renault Italia s.p.a., al pagamento degli “interessi legali dalla data della presente sentenza fino al soddisfo”.

Il motivo è fondato.

Oscura è la statuizione della sentenza impugnata che, nella parte motiva, afferma che gli importi riconosciuti a titolo risarcitorio “vanno attualizzati secondo il noto criterio di Cass. “95/1712” ed applica “Sugli importi così attualizzati” gli interessi legali “dalla data della presente sentenza fino al soddisfo”, e nel dispositivo riporta gli importi risultanti dalla applicazione dell’indicato criterio, sui quali fa decorrere gli interessi legali dalla data della sentenza al soddisfo.

Il riferimento alla “attualizzazione” degli importi risarcitori, ossia alla applicazione – sembrerebbe – della sola rivalutazione monetaria, senza indicare peraltro il “dies a quo” di riferimento del calcolo, non è congruo rispetto al criterio giurisprudenziale richiamato, che concerne il divieto di cumulo tra la rivalutazione e gli interessi, nè appare decifrabile quale sia la base di calcolo (l’importo della somma capitale corrispondete al valore patrimoniale del danno, o invece tale importo cumulato con gli interessi di mora) sulla quale vengono applicati, dalla data della sentenza, gli ulteriori interessi al tasso legale.

La statuizione va cassata in quanto il criterio giurisprudenziale invocato non trova applicazione nel risarcimento del danno contrattuale, come emerge inequivocamente dal principio di diritto enunciato da Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995 così massimato dal CED della Corte di legittimità “Qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata “per equivalente”, con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva (anche se adottata in sede di rinvio), è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma.

Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso; in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio”.

D’altronde deve ritenersi consolidato il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “gli interessi sulle somme di denaro, liquidate a titolo risarcitorio, decorrono dalla data in cui il danno si è verificato, è applicabile solo in tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, in quanto, ai sensi dell’art. 1219 c.c., comma 2, il debitore del risarcimento del danno è in mora (“mora ex re”) dal giorno della consumazione dell’illecito. Invece, se l’obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale, che è l’atto idoneo a porre in mora il debitore, siccome la sentenza costitutiva, che pronuncia la risoluzione, produce i suoi effetti retroattivamente dal momento della proposizione della detta domanda” (cfr., ex multis: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 9338 del 20/04/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 6545 del 05/04/2016 -in tema di domanda di risoluzione del contratto-; id. Sez. 1 -, Ordinanza n. 20883 del 05/08/2019). Dovendo altresì essere ribadito, sul diverso piano del fenomeno -eventualmente verificatosi nello iato temporale che intercorre tra la esigibilità del ristoro compensativo del danno e l’effettiva percezione della somma- della perdita della capacità di acquisto della moneta, il principio per cui “L’obbligazione di risarcimento del danno, sebbene derivante da inadempimento contrattuale, costituisce debito di valore, come tale quantificabile tenendo conto, anche d’ufficio, della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione” (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 5843 del 10/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 13225 del 27/06/2016).

Orbene la non comprensibilità della modalità di liquidazione dell’importo risarcitorio e degli accessori sulla somma liquidata a titolo di capitale, ed in ogni caso l’errato richiamo a principi enunciato in materia di risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale, determina la cassazione in parte qua della sentenza impugnata, dovendo provvedere il Giudice di appello, in sede di rinvio, ad emendare l’errore di diritto riscontrato, conformandosi ai principi di diritto sopra richiamati ed esplicitando le modalità di applicazione del criterio adottato nel calcolo della rivalutazione monetaria e nell’applicazione – degli interessi sugli importi base liquidati a titolo di risarcimento danni.

3. In conclusione, dichiarata la estinzione del giudizio di legittimità nei confronti delle parti resistenti, il ricorso proposto da Renault Italia s.p.a. trova accoglimento limitatamente al settimo motivo (rinunciato il primo motivo; infondati il secondo, terzo, quarto e sesto motivo; inammissibile il quinto motivo); la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà ad emendare l’errore riscontrato, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.

PQM

Dichiara la estinzione del giudizio di legittimità, con integrale compensazione delle spese di lite, tra la ricorrente Renault Italia s.p.a., e le parti resistenti F.R. s.r.l.; Automil & C s.a.s.; Autotirrena s.n.c.; B.E., B.P., O.Q. n. q. di successori di B.E. e di soci della B.E. & c s.a.s.; B. & C s.r.l. incorporante di B. Auto s.r.l.; Cordioli s.r.l.; C.G., V.F. n. q. di cessionari di C. e V. s.n.c. in liquidazione; Ing. F.E. s.r.l. in liquidazione; G.V.; Grover s.r.l.; Fratelli M. s.r.l. già s.n.c.; Gibiauto s.r.l. in liquidazione, già Nuova Gibiauto s.r.l.; L.M. n. q. di cessionario di New Cars s.r.l.; B.D., B.S. n. q. di eredi di A.G., S.A., tutti cessionari di Novauto s.r.l.; Associazione Concessionari Revocati n. q. di cessionaria di Nuova Bib Car s.r.l.; M.B. n. q. di cessionario di Recar s.r.l.; Renò Car s.r.l.; L.R. & C s.n.c.; Soma s.r.l. già s.p.a.; Automobili Trivellato s.n.c. di G.T. & C.; Turbo Car s.r.l. in liquidazione;

accoglie il settimo motivo del ricorso (rinunciato il primo motivo; infondati il secondo, terzo, quarto e sesto motivo; inammissibile il quinto motivo); cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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