Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10547 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. I, 21/04/2021, (ud. 15/01/2021, dep. 21/04/2021), n.10547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6296/2019 r.g. proposto da:

D.A., alias D.A. (cod. fisc. (OMISSIS)),

rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al

ricorso, dall’Avvocato Laura Barberio, presso il cui studio

elettivamente domicilia in Roma, alla via del Casale Strozzi n. 31;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI PERUGIA depositato in data

11/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.A., alias D.A., nativo della (OMISSIS), ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., avverso il decreto del Tribunale di Perugia del 15 gennaio 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari). Il Ministero è rimasto solo intimato.

1.1. Quel tribunale ritenne di natura privata (contrasti per ragioni ereditarie) la vicenda narrata dal ricorrente, del quale considerò superflua l’ulteriore audizione spiegandone le ragioni, e che non vi fossero i presupposti per il riconoscimento delle invocate forme di protezione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente:

I) “Error in iudicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis (come introdotto dal D.L. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni, dalla L. n. 46 del 2017), entrato in vigore il 18 agosto 2017, per mancata fissazione dell’udienza di comparizione del ricorrente e mancata audizione dello stesso, lesiva del diritto al contraddittorio e alla prova in difetto della videoregistrazione”, per non avere il tribunale celebrato “l’udienza di audizione del ricorrente pur in assenza della disponibilità della videoregistrazione”. Quel giudice, infatti, malgrado l’espressa richiesta di “disporsi l’interrogatorio libero del ricorrente alla presenza di un interprete di lingua francese”, ha ritenuto “superflua l’audizione”, avendo l’istante rilasciato un’ampia deposizione innanzi alla Commissione;

II) “Error in iudicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 TUI e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria – omessa considerazione di fatto decisivo (condizione di giovanissima età del richiedente asilo, integrazione e torture subite in Libia) – per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, relativi all’obbligo di cooperazione istruttoria incombente sul Giudice della protezione internazionale (in particolare, risulta omesso ogni approfondimento circa la situazione della (OMISSIS) e le torture subite in Libia)”, così censurandosi il mancato riconoscimento della protezione cd. umanitaria.

2. Il primo motivo deve considerarsi inammissibile.

2.1. Invero, non solo il tribunale (che, come chiaramente si desume dalle stesse argomentazioni di cui alla pag. 3 del ricorso, ha fissato l’udienza di comparizione, pur non disponendo l’audizione dell’istante) – come si è già anticipato nei “Fatti di causa” – ha puntualmente indicato le ragioni della non necessità di detta audizione, ma, in via assolutamente dirimente, rileva il Collegio che deve tenersi conto di quanto specificamente sancito, su tale problematica, dalla recente Cass. 11 novembre 2020, n. 25312, la quale: i) ha dato continuità all’orientamento formatosi sul testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis per cui il giudice che sia investito del ricorso contro il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale può esimersi dall’audizione del richiedente se a quest’ultimo, nella fase amministrativa, sia stata data la facoltà di essere sentito ed il verbale del colloquio, ove avvenuto, sia stato reso disponibile (cfr. Cass. n. 15318 del 2020). Difatti, nel giudizio d’impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria, ove sia mancata la videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla commissione territoriale, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia stata garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni o davanti alla commissione territoriale o, se necessario, innanzi al tribunale (cfr. Cass. n. 2917 del 2019; Cass. n. 5973 del 2019; Cass. n. 1088 del 2020); il) ha precisato che la ripetuta interpretazione è conforme agli artt. 12, 14, 31 e 46 della direttiva 2013/32-UE, secondo il significato che ne ha dato la Corte di giustizia con la sentenza 26 luglio 2017, C348/16, Moussa Sacko, sicchè non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale del richiedente, poichè l’audizione comunque non si traduce in un incombente automatico neppure dinanzi all’affermata non credibilità del racconto. Vi è, semmai, il diritto della parte di richiedere l’audizione personale a fronte di specifiche circostanze di fatto che si intendano chiarire. Diritto cui si collega tuttavia il potere officioso del giudice di valutare la rilevanza di quelle circostanze nel complesso degli elementi acquisiti, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dagli atti e di quelli emersi attraverso l’audizione svoltasi nella fase amministrativa (cfr. Cass. n. 8931 del 2020, per quanto correlata a fattispecie soggetta al previgente D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35); iii) ha ricordato l’affermazione di Cass. n. 21584 del 2020, in cui, all’esito di ampia motivazione, è stato fissato il principio per cui “Nei giudizi in materia di protezione internazionale, il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile”; iv) ha opportunamente puntualizzato, proprio in relazione a quest’ultima decisione, che il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; nel senso che il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza. Tale onere, nella specie, non risulta adeguatamente adempiuto, nè si rivela decisiva, in contrario, la mera allegazione, da parte del richiedente, del suo trascorso in Libia, quale Paese di transito, ciò rilevando (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) solo nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale Paese (cfr. Cass. n. 25540 del 2020; Cass. n. 31676 del 2018). Il ricorrente, del resto, nemmeno spiega quale connessione vi sarebbe tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda (cfr. Cass. n. 31676 del 2018), posto che questa si fonda sul timore del rimpatrio in (OMISSIS) a causa dei conflitti ereditari insorti nella sua famiglia dopo la morte della madre e l’asserito tentativo di suo avvelenamento (vicenda, peraltro, giudicata inattendibile dal tribunale) da parte della seconda moglie di suo padre.

3. Parimenti inammissibile è il secondo motivo.

3.1. La corrispondente doglianza in esame si risolve, invero, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020); dall’altro, che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 15 gennaio 2019), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo (non più alla motivazione insufficiente e/o contraddittoria o insufficiente, bensì) all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

3.1.1. In proposito, infatti, è sufficiente rimarcare che il tribunale, dopo aver chiaramente esposto le ragioni per cui ha inteso negare la protezione sussidiaria (nessuna censura, su questo punto, è contenuta nell’odierno ricorso) al D., ha negato a quest’ultimo pure il riconoscimento della protezione cd. umanitaria secondo la disciplina applicabile ratione temporis (cfr. Cass., SU, n. 29459 del 2019), non solo giustificando la ritenuta inattendibilità della vicenda da lui narrata (cfr. pag. 8 del decreto impugnato), ma escludendo comunque la sussistenza di situazione di sua vulnerabilità, rendendo conto (cfr. pag. 6 del medesimo decreto) anche della situazione socio politica del Paese ((OMISSIS)) di sua provenienza.

3.1.2. Al riguardo, occorre solo ricordare che la giurisprudenza di questa Corte richiede, ai fini del riconoscimento della protezione da ultimo menzionata, il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale (cfr. Cass. n. 23778 del 2019; Cass. n. 1040 del 2020; Cass. n. 24026 del 2020), escludendo che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari possa essere riconosciuto solo in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza del richiedente – poichè si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, bensì quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti (cfr. Cass. 17072 del 2018; Cass. n. 9304 del 2019) – nè considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018; Cass. n. 630 del 2020; Cass. n. 24026 del 2020). Si è già detto, inoltre, delle ragioni di non decisività della mera allegazione, da parte del richiedente, del suo trascorso in Libia, quale Paese di transito, dovendo qui solo aggiungersi che nessun riferimento si rinviene, nel ricorso, quanto ad eventuale documentazione (già sottoposta all’esame del giudice di merito) da cui ricavare riscontri alle asserite conseguenze pregiudizievoli (sotto il profilo fisico e psicologico) di detto transito.

4. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 15 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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