Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10546 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/04/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 30/04/2010), n.10546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PIETRO BORSIERI 12, presso lo studio dell’avvocato D’ONOFRIO SARA,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SOLFANELLI

ANDREA, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

– STANDA COMMERCIALE S.P.A. (gia’ Standa Commerciale S.p.A.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 31, presso lo studio

dell’avvocato PULSONI FABIO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MARESCA SILVIA, giusta delega a margine del

controricorso;

GRUPPO COIN S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 31, presso

lo studio dell’avvocato PULSONI FABIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARESCA SILVIA, giusta delega a margine del

controricorso;

EURINVEST FINANZA STABILE S.R.L. (gia’ Eurinvest S.p.A., gia’ Euridea

S.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 31, presso

lo studio dell’avvocato PULSONI FABIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARESCA SILVIA, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4536/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/10/2005 R.G.N. 4484/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. NOBILE Vittorio;

udito l’Avvocato SOLFANELLI ANDREA;

udito l’Avvocato RAPONE RAFFAELLE per delega PULSONI FABIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Roma dell’11-2-99 V.M.C., dipendente della Standa s.p.a. dal 19-2-1976 con mansioni di commessa addetta alla vendita – (OMISSIS) livello presso la filiale di (OMISSIS), chiedeva di dichiarare la nullita’, l’annullabilita’ o l’inefficacia delle dimissioni rassegnate brevi manu il 20-1-1996, anche ai sensi dell’art. 1418 c.c. e segg; di ordinare alla Standa e alle altre convenute societa’ (Gruppo Coin s.p.a. e Standa Commerciale s.p.a.) quali cessionarie di rami di azienda, anche in solido tra loro, la ricostituzione e il concreto ripristino della funzionalita’ del rapporto di lavoro anche ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 e di condannare le medesime al pagamento delle mancate retribuzioni dalle dimissioni, ovvero dal 22/10/1998 data di richiesta del tentativo di conciliazione, nonche’ dei relativi contributi assistenziali e previdenziali.

A sostegno della domanda la ricorrente deduceva di avere sofferto nei primi mesi di vita di meningite virale e di essere stata riconosciuta nel 1975 invalida civile per debolezza mentale con crisi periodiche di lipotimia, otite catarrale cronica con grave ipoacusia bilaterale, di essere stata assunta come invalido alle dipendenze della Standa s.p.a., di essersi dimessa senza rendersi conto dell’atto che compiva versando in stato confusionale e altresi’ essendo stata minacciata dal direttore del personale che altrimenti sarebbe stata denunciata per furto in relazione all’episodio del giorno precedente relativo al prelievo di merce non pagata, peraltro per mera dimenticanza (due vaschette di insalata russa per complessive L. 4.580), avrebbe subito un processo pensale e sarebbe stata comunque licenziata.

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, con sentenza 15 – 19/6/2000 rigettava la domanda e compensava le spese.

La V. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda introduttiva.

Le societa’ appellate (Euridea s.p.a., gia’ Standa s.p.a., Gruppo Coin s.p.a. e Standa Commerciale s.p.a.) resistevano al gravame deducendo la infondatezza dell’impugnazione nonche’ la Standa Commerciale s.p.a. il difetto di legittimazione passiva.

La Corte d’Appello di Roma, disposta ed espletata CTU, per l’accertamento dello stato di incapacita’ di intendere e di volere della lavoratrice all’atto delle dimissioni, dopo il deposito dei chiarimenti scritti richiesti e delle note difensive autorizzate, con sentenza depositata il 12-10-2005, respingeva l’appello e compensava le spese.

In sintesi la Corte territoriale sulla base delle risultanze istruttorie escludeva che le dimissioni fossero state causate da una violenza morale e, in dissenso con le conclusioni del consulente d’ufficio, riteneva che la CTU non aveva dato risultati sufficientemente certificati, tali da consentire di affermare l’incidenza causale tra la condizione mentale della lavoratrice e le ragioni soggettive che la avevano spinta alle dimissioni, ovvero che la dichiarazione di recesso fosse stata resa in un momento di alterata percezione sia della situazione di fatto che delle conseguenze dell’atto che andava a compiere.

Per la cassazione di tale sentenza la V. ha proposto ricorso con un unico complesso motivo.

La Eurinvest Finanza Stabile s.r.l. (gia’ Eurinvest s.p.a., gia’ Euridea s.p.a.), la Standa Commerciale s.r.l. (gia’ Standa Commerciale s.p.a.) e il Gruppo Coin s.p.a. hanno resistito ciascuna con proprio controricorso ed infine hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico complesso motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 62, 115, 116 c.p.c. e vizi di motivazione, in sostanza lamenta che la Corte d’Appello “ha disatteso la prova costituita dalla relazione peritale” (che aveva concluso per la sussistenza al momento della presentazione delle dimissioni di “una condizione di grande riduzione della capacita’ di intendere e di volere”), senza evidenziarne vizi, errori, incongruenze, omissioni, bensi’ contrapponendo “pareri scientifici che costituiscono opinioni personali, ovvero formulando ipotesi pratiche che appaiono dissonanti con la materia del contendere”.

La ricorrente, quindi, deduce che la Corte territoriale “ha violato le norme sulla valutazione delle prove ed e’ incorsa in un difetto di motivazione, trascurando anche gli accurati rilievi della CTP (riportata in ricorso) e valutando incongruamente le risultanze testimoniali (in specie dei testi L. e D.), dalle quali si evinceva che la “sottoscrizione dell’atto era avvenuta in un momento assolutamente evidente di debolezza psichica della signora V.”, ne quale la sindacalista che avrebbe dovuto assisterla si era assentata.

Il motivo risulta infondato.

Innanzitutto, sotto il profilo della autosufficienza, come e’ stato affermato da questa Corte, la parte che censuri la decisione del giudice di merito che abbia basato il proprio convincimento disattendendo le risultanze della CTU, “e’ tenuta ad indicare, riportandole per esteso, le pertinenti parti della consulenza ritenute erroneamente disattese, ed a svolgere concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione” (v. Cass. 30-8-2004 n. 17369, Cass. 9-1-2006 n. 79, Cass. 3-11-2004 n. 21090, Cass. 18-4-2007 n. 9245).

Nella fattispecie il ricorso (v. pag. 7) riproduce le parti salienti delle valutazioni e delle conclusioni della CTU e, riportando il contenuto della motivazione della sentenza (v. pag. 10), anche le valutazioni e conclusioni rese nei chiarimenti richiesti a seguito dei rilievi mossi dalle parti. Tali ampi stralci e richiami consentono a questa Corte di legittimita’ il controllo della decisivita’ delle risultanze asseritamente non valutate o dedotte come erroneamente od insufficientemente valutate, per cui il ricorso risulta auto sufficiente.

esaminando quindi i vizi denunciati, in primo luogo osserva il Collegio che “in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e’ apprezzabile, in sede di ricorso per Cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non gia’ dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimita’” (v. fra le altre Cass. sez. 1 20-6-2006 n. 14267).

Per quanto riguarda la CTU, poi, questa Corte ha piu’ volte affermato che “la consulenza tecnica, che in genere ha funzione di fornire al giudice la valutazione dei fatti gia’ probatoriamente acquisiti, puo’ costituire fonte oggettiva di prova quando si risolva anche in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con ricorso a determinate cognizioni tecniche” (v. Cass. 19-8-2004 n. 16256. Cass. 30-1-2003 n. 1512, Cass. 10-3-2000 n. 2802, Cass. 29-3-1999 n. 2957).

Peraltro, come pure e’ stato affermato, “le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice, che puo’ legittimamente disattenderle in sentenza, attraverso una loro valutazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti, altresi’, idoneamente, congruamente e logicamente motivata” (v. Cass. 26-2-1998 n. 2145, Cass. 19-7-2000 n. 9511). “Per non incorrere nel vizio di insufficiente motivazione – infatti – il giudice che si discosta dal parere espresso dal CTU su punto decisivo della controversia deve motivare il suo dissenso valutando tutti gli elementi concreti sottoposti al suo esame” (v.

Cass. 10-12-2001 n. 15590, Cass. 16-6-2000 n. 8200, Cass. 6-4-1998 n. 3551) ed in specie deve “adeguatamente motivare le sue valutazioni ed i suoi apprezzamenti, e non puo’ limitarsi alla mera affermazione di principi tecnici, di cui non sia indicata la fonte e non sia pertanto possibile verificare congruita’ ed esattezza” (v. Cass. 3-8-2004 n. 14849, Cass. 11-12-1999 n. 13863).

Nella materia che qui interessa, poi, questa Corte ha costantemente affermato che “perche’ l’incapacita’ naturale del dipendente possa rilevare come causa di annullamento delle sue dimissioni, non e’ necessario che si abbia la totale privazione delle facolta’ intellettive e volitive, ma e’ sufficiente che tali facolta’ risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una seria valutazione dell’atto e la formazione di una volonta’ cosciente, facendo quindi venire meno la capacita’ di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere;

la valutazione in ordine alla gravita’ della diminuzione di tali capacita’ e’ riservata al giudice di merito e non e’ censurabile in Cassazione se adeguatamente motivata” (v. Cass. 14-5-2003 n. 7485, Cass. 26-5-1999 n. 5154, Cass. 15-6-1995 n. 6756, v. anche Cass. 12/3/2004 n. 5159).

Nel caso di specie, la Corte territoriale, dopo aver analizzato e valutato le risultanze della prova testimoniale e dopo aver esclusa l’ipotesi della violenza morale in base alla ricostruzione dei fatti emersa (“con la conseguente deduzione della originaria volonta’ dimissionaria della lavoratrice attesi i ripetuti tentativi posti in essere per convincerla a revocare le dimissioni, unitamente alla considerazione delle ulteriori modalita’ riguardanti il non necessario e pur tuttavia procurato intervento del rappresentante sindacale a tutela della medesima lavoratrice prima della sottoscrizione delle dimissioni e il documentato contestuale inizio della corretta procedura di contestazione disciplinare”), parimenti, in base alla detta ricostruzione, ha disatteso la valutazione conclusiva del CTU, negando “l’incidenza nel determinismo causale delle dimissioni di uno stato di incapacita’ naturale della lavoratrice impeditivo della capacita’ di cosciente e libera autodeterminazione, pur valutando che a tal fine non occorre la totale privazione delle facolta’ intellettive e volitive..”.

A riguardo la Corte di Appello ha osservato che non sostengono la conclusione della CTU “ne’ il dato fondamentale del quoziente intellettivo in base al quale la V. deve ritenersi fornita di sufficienti capacita’ mentali ne’ la concorrenza di altri fattori”.

In particolare la Corte territoriale ha rilevato che: “invero la incidenza funzionale della ipoacusia, non specificata, deve ritenersi annullata o ridotta dall’uso di protesi tanto da non comportare alcun tipo di impedimento o limitazione all’ordinario svolgimento della vita personale e lavorativa della V.; quanto alla sindrome epilettica decorrente principalmente con il quadro della epilessia parziale complessa, non completamente controllata dal trattamento farmacologico specifico, escluso che essa abbia causato un restringimento dello stato di coscienza al momento della condotta contestata e/o all’atto delle dimissioni, non puo’ assegnarsi rilievo alle generiche implicanze psicologiche e psicopatologiche proprie della epilessia e finanche delle esigenze terapeutiche connesse alla malattia”.

La Corte di merito, d’altro canto, ha osservato che “non risulta chiarito ne’ spiegabile come il persistente e anzi aggravato stato mentale della V. le abbia consentito solo a distanza pluriennale di rendersi conto del contenuto e degli effetti dell’atto in realta’ non voluto e di impugnarlo” e che “le modalita’ dei fatti e della condotta antecedenti, concomitanti e successivi alle dimissioni portano invece ad escludere, conformemente alla decisione del Tribunale, che la determinazione possa essere stata influenzata dalle menomate condizioni mentali della lavoratrice”. Neppure, del resto, assumendo “contraria valenza la protratta abitudine della appellante ad uscire di casa al mattino, atteso che non e’ provato e neppure allegato che effettivamente si recasse sul posto di lavoro tanto da inferire da cio’ la mancanza di consapevolezza del compiuto recesso dal rapporto di lavoro”.

Tale accertamento, concernente in sostanza la valutazione della gravita’ della diminuzione delle capacita’ intellettive e volitive della lavoratrice al momento delle dimissioni, effettuato sulla base non solo delle risultanze della CTU (pure attentamente valutate, anche se in dissenso nelle conclusioni), bensi’ soprattutto del complesso di tutti gli elementi di fatto emersi, risulta adeguatamente motivato e privo di vizi logici, e resiste alle censure della ricorrente.

Il ricorso va pertanto respinto.

Infine, tenuto conto della situazione soggettiva della ricorrente, comunque risultata affetta da un quadro patologico considerevole, ricorrono giusti motivi per compensare le spese tra le parti.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

 

 

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