Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10545 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 03/06/2020), n.10545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2620-2019 proposto da:

M.R., M.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato CRISTIAN VENTISETTE;

– ricorrenti –

contro

M.P.L., S.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA MONGINEVRA 19, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA DE PAOLA,

rappresentati e difesi dall’avvocato EDOARDO CAPPELLINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2228/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 01/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TEDESCO

GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Firenze, nella causa di regolamento di confini promossa da M.G., (con il successivo intervento in corso di causa del coniuge in regime di comunione M.R.) nei confronti di M.P.L. e S.M., ha confermato la sentenza del tribunale, che aveva accertato che il confine fra i fondi vicini delle parti in causa era “quello risultante dal Nuovo Catasto Urbano”.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso M.G. e M.R. affidato a due motivi.

M.P.L. e S.M. hanno resistito con controricorso. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso dovesse essere rigettato, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 950 c.c.

La corte, diversamente dal primo giudice, ha riconosciuto la necessità di prendere in considerazione i titoli di provenienza, ma poi aveva limitato l’esame al solo titolo degli attori, il quale non conteneva invero elementi idonei a sciogliere l’incertezza.

Ciò posto il rimprovero essenziale che i ricorrenti muovono alla corte di merito è di avere determinato il confine sulla base delle mappe catastali, escludendo gli elementi risultanti dalla documentazione in atti o che avrebbero potuto emergere dalle prove orali richieste dagli attori e ingiustamente non ammesse.

Il secondo motivo denuncia ancora violazione dell’art. 950 c.c. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

La sentenza è oggetto di censura perchè la corte ha determinato il confine secondo le mappe catastali pur avendole ritenute inattendibili.

I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

Nell’indagine diretta all’individuazione del confine, in sede di azione di regolamento del confine fra fondi limitrofi a norma dell’art. 950 c.c., il giudice del merito non può prescindere dall’esame dei titoli di acquisto delle rispettive proprietà, atteso che questi costituiscono la base primaria per risolvere una situazione di incertezza che non pone in discussione i titoli medesimi, ma la corrispondenza ad essi della situazione di fatto. Solo la mancanza o insufficienza di indicazioni sul confine rilevabili dagli indicati titoli giustifica il ricorso ad altri mezzi di prova, ovvero, in ultima analisi, ai dati forniti dalle mappe catastali (Cass. n. 12742/1993; n. 2204/1997; n. 5899/2001).

E’ stato peraltro affermato che i titoli non costituiscono una prova gerarchicamente sopra ordinata alle altre, bensì la prova più rilevante, che assorbe ogni altra se e in quanto, in base ad essi, sia possibile l’esatta identificazione del confine. L’omesso esame dei titoli, pertanto, può essere dedotto solo come vizio di motivazione, in quanto si assuma che tali titoli avrebbero fornito elementi idonei alla soluzione del dubbio, perchè la loro decisività non può affermarsi in astratto, bensì in concreto, con riferimento al loro contenuto (Cass. n. 3040/1979; n. 45/1976; n. 605/1976).

Costituisce poi principio acquisito in materia che l’azione di regolamento di confini, la quale ha il carattere di vindicatio duplex incertae partis, è conseguentemente svincolata dal principio actore non probante reus absolvitur. Il giudice adito con tale azione, pure in mancanza di prove specifiche o di validi elementi desumibili dalle mappe catastali, deve pur sempre adottare una soluzione che elimini lo stato di incertezza, ricorrendo ad ogni possibile dato presuntivo (Cass. n. 7873/1990; n. 1284/1976; n. 2297/1966).

La corte d’appello, sulla scorta della consulenza tecnica, ha incominciato l’analisi, evidenziando la divergenza esistente, con riguardo alla linea di confine, fra il vecchio e il nuovo catasto.

In questa situazione il consulente aveva riconosciuto l’inattendibilità sia delle mappe del vecchio catasto sia delle mappe del nuovo catasto, proponendo quindi di stabilire la linea di demarcazione secondo una certa posizione, in coincidenza con la posizione del vecchio muro reggi terra. La proposta era accompagnata dalla precisazione che si trattava di “soluzione personale e senza alcun valore giuridico tecnico, ma dettata semplicemente dal buon senso” (v. trascrizione operata a pag. 5 della sentenza impugnata).

In proposito la corte d’appello, confermando la valutazione già fatta propria dal primo giudice, ha riconosciuto che non potesse darsi seguito a una tale soluzione, che prevedeva il versamento di un conguaglio da parte degli attori.

Essa ha poi proseguito l’analisi evidenziando che il confine non poteva identificarsi con certezza nel muro in pietra esistente fra le due proprietà, trattandosi di muro di contenimento del terreno, costruito “al fine di ovviare al dislivello tra i due piani di campagna e non con finalità di delimitazione dei fondi”.

Ciò posto la Corte d’appello ha fatto propria la valutazione del primo giudice, nella parte in cui il tribunale aveva ritenuto corretta la ricostruzione operata dal consulente tecnico di parte convenuta, che “avendo fatto la ricostruzione storica dei confini catastali dal 1847 in poi, ha spiegato che nel 1917 nel vecchio catasto fu fatto un errore che fu poi corretto dai tecnici del nuovo catasto”, i quali, “dopo avere fatto le necessarie misurazioni corressero l’errore grafico commesso nel 1917 e ricollocarono il confine fra le due proprietà come oggi appare sulla mappa vigente, ossia attestato in coincidenza con il muro tergale del fabbricato di parte attrice”.

La Corte d’appello ha ancora posto in luce che il primo giudice non aveva considerato solo le mappe catastali, ma anche la planimetria redatta nel 1939 dal geom. B., che riguardava “proprio l’abitazione attualmente di proprietà degli attori ed in essa l’immobile è descritto come direttamente confinante con la proprietà di M.G. (dante causa dei convenuti) senza alcuna rappresentazione dell’esistenza di uno scannafosso, o comunque di uno spazio appartenente al proprietario dell’abitazione”.

La corte ha poi preso in esame il titolo di provenienza degli attori, rilevando che in esso “l’immobile era indicato come costituito da due piani fuori terra e veniva descritto senza fare alcun riferimento all’esistenza di uno scannafosso posto sul lato dell’abitazione, confinante con la proprietà dei convenuti; nè al rogito era allegata alcuna planimetria e/o frazionamento idoneo ad identificare il bene compravenduto nel quale fosse indicato lo scanna fosso”.

In questa situazione la corte ha infine condiviso la valutazione del tribunale, di non dar corso alla prova per testimoni richiesta dagli attori, “non essendo di alcuna utilità ai fini del decidere i capitoli richiesti in citazione: è infatti irrilevante sapere (cap. 3) che il muro in pietra che attualmente individua il confine è stato costruito oltre trenta anni fa, così come sapere (cap. 2) che lo scannafosso sarebbe stato utilizzato dai proprietari della particella 19 (ossia dagli attori e dai loro danti causa), giacchè l’azione di regolamento di confine è un giudizio petitorio e non possessorio e la circostanza poteva essere rilevante in una eventuale causa di usucapione che gli attori, almeno in questo processo, non hanno promosso; infine il cap. 1 non poteva certamente essere ammesso (…). in quanto eminentemente valutativo”.

Or bene la decisione impugnata, sopra richiamata nei suoi passaggi essenziali, è perfettamente in linea con i principi di giurisprudenza in tema di azione di regolamento di confine sopra richiamati.

La corte ha preso in esame il titolo di provenienza degli attori e ha riconosciuto che le indicazioni rilevabili da esso non consentivano di stabilire il confine secondo la richiesta degli attori.

Quindi ha determinato il confine secondo le mappe catastali vigenti, nella piena consapevolezza della divergenza con il confine risultante dal vecchio catasto. La corte ha identificato le ragioni di tale divergenza, dando adeguata spiegazione del perchè la linea da assumere quale confine dovesse essere quella del nuovo catasto.

A tali argomenti la corte ha aggiunto quello costituito dalla planimetria del 1939.

Le prove orali sono state respinte non in base a un'(inesistente) gerarchica dei mezzi di prova, ma perchè il giudice d’appello ha riconosciuto irrilevanti le relative circostanze, in base a un apprezzamento di merito, immune da vizi logici e giuridici e quindi incensurabile in questa sede.

Nel ricorso è ventilato un ulteriore vizio della decisione per avere la corte considerato solo il titolo di provenienza degli attori, con ciò, denunciandosi implicitamente il mancato esame di altri titoli. Ma anche tale omissione, giusti principi dinanzi indicati sulla mancanza di un ordine gerarchico fra i mezzi di prova, andava semmai censurata non per violazione di legge, ma ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in base all’assunto che esistevano titoli non esaminati che fornivano indicazioni idonee a risolvere l’incertezza senza far ricorso al mezzo residuale delle mappe catastali, giusti i principi sopra richiamati.

E’ altrettanto chiaro che la sentenza non incorre in alcuna anomalia motivazionale. La corte d’appello non ha affatto riconosciuto che le mappe catastali fossero inattendibili e inidonee ai fini della determinazione del confine. Questa era stata la valutazione del consulente tecnico d’ufficio, dal quale il primo giudice e la corte si sono discostate, ritenendo corrette le valutazioni del consulente di parte e dando adeguata e logica spiegazione del perchè della condivisione di quelle stesse valutazione. Secondo la corte d’appello il tecnico di parte aveva dimostrato anche graficamente l’errore commesso dai tecnici nel 1917 e la correzione apportata dai tecnici del nuovo catasto, “mediante la sovrapposizione fra la mappa del vecchio catasto del 1986 e quella errata dell’anno 1917”.

Tale valutazione, immune da vizi logici o giuridici, è incensurabile in questa sede, spettando al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice del merito incontri alcun limite al riguardo, salvo che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 9234/2006).

Il ricorso, pertanto, va rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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