Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10543 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. I, 21/04/2021, (ud. 15/01/2021, dep. 21/04/2021), n.10543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32749/2018 r.g. proposto da:

K.N., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato

Laura Barberio, presso il cui studio elettivamente domicilia in

Roma, alla via del Casale Strozzi n. 31;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI PERUGIA depositato in data

06/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. K.N., nativo della (OMISSIS) ((OMISSIS)), ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso il decreto del Tribunale di Perugia del 6 ottobre 2018, reso nel procedimento n. 849/2018, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari). Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. Quel tribunale ritenne che: i) il racconto reso dal K. innanzi alla Commissione Territoriale (circa il suo essere scappato dalla (OMISSIS) temendo per la propria incolumità a causa di un omicidio la cui responsabilità era stata attribuita ad un suo cugino) fosse inattendibile perchè costituito “da un insieme scarno, frammentario e lacunoso di circostanze indicate in modo talmente generico da non poter essere considerato credibile neppure alla luce degli specifici parametri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3”; ii) dovesse escludersi, comunque, la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, in base alle previsioni della Convenzione di Ginevra, proprio in relazione ai fatti narrati dal richiedente asilo, pure a volerli considerare credibili; iii) non vi fosse nell'(OMISSIS), in (OMISSIS), una situazione di “conflitto armato interno” tale da produrre violenza indiscriminata; iv) non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi due motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, “Error in iudicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, relativi all’obbligo di cooperazione istruttoria incombente sul giudice della protezione internazionale” ed “Error in iudicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, lett. g), artt. 3, 4, 5 e art. 6, comma 2, nonchè art. 14, lett. c), relativamente alla situazione di grave violenza indiscriminata per conflitti etnici nell'(OMISSIS). Violazione D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3”. Si censurano il mancato riconoscimento, in favore del K., dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, ascrivendosi al tribunale di non aver operato la necessaria cooperazione istruttoria in ragione della erroneamente ritenuta non credibilità dei fatti da lui riferiti, nè avendo considerato la concreta situazione socio politica del Paese di sua provenienza.

1.1. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perchè connesse, si rilevano complessivamente inammissibili.

1.1.1. Invero, il tribunale perugino ha ampiamento esposto le ragioni per cui ha ritenuto il racconto del richiedente protezione affatto inattendibile (cfr. amplius, pag. 11-12 del decreto impugnato).

1.1.2. Va dunque ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 29163 del 2020; Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 13578 del 2020, la quale ha anche puntualizzato che spetta “al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza”; Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014. Peraltro, non può sottacersi che la censura sulla non credibilità del racconto non risulta comunque decisiva, giacchè il tribunale, ancor prima di averla negata, ha escluso la ricorrenza dei presupposti per riconoscere la veste di rifugiato, in base alle previsioni della Convenzione di Ginevra, proprio in relazione ai fatti narrati dal richiedente asilo (cfr. pag. 6 e 9 del menzionato decreto); ii) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori investe le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) predetto decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), rispetto ai quali, quindi, nemmeno rileverebbe l’accertamento della concreta situazione socio-politica della (OMISSIS) ((OMISSIS)).

1.2. Quanto, invece, alla fattispecie di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, menzionato art. 14, lett. c) la corrispondente doglianza è parimenti inammissibile.

1.2.1. Infatti, ai fini del riconoscimento della predetta forma di protezione, la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (cfr., ex multis, Cass. n. 25440 del 2020; Cass. n. 18306 del 2019).

1.2.2. Nella specie, il giudizio di sussunzione formulato dal tribunale, in base a COI recenti e precise (sostanzialmente simili a quelle richiamate nel ricorso: p. 10), e con specifico riguardo all'(OMISSIS), in (OMISSIS) (zona di provenienza del K.), è coerente con il rammentato principio di diritto, non integrando la fattispecie prevista dal citato art. 14, lett. c) delineata nei termini anzidetti, la limitazione, da parte delle autorità statuali, dei diritti di libertà di espressione e di riunione dei partiti di opposizione e la repressione, anche violenta, delle proteste pacifiche.

1.2.3. A tanto deve solo aggiungersi che, in tema di protezione internazionale dello straniero, nell’ordinamento italiano la valutazione della “settorialità” della situazione di rischio di danno grave deve essere intesa, alla stregua della disciplina di cui al D.Lgs. n. 25 del 2007, nel senso che il riconoscimento del diritto ad ottenere lo status di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, mentre non vale il contrario, sicchè il richiedente non può accedere alla protezione se proveniente da una regione o area interna del Paese d’origine sicura, per il solo fatto che vi siano nello stesso Paese anche altre regioni o aree invece insicure (cfr. Cass. n. 25862 del 2019; Cass. n. 13088 del 2019).

2. Il terzo motivo di ricorso, infine, rubricato “Error in iudicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa dell’art. 5, comma 6 TUI, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria per integrazione sociale ed estrema vulnerabilità anche in considerazione delle torture subite nel Pese di transito (Libia)”, censura il mancato riconoscimento, in favore del K., di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Tale doglianza, da scrutinarsi sulla base della disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018 (cfr. Cass., SU, n. 29459 del 2019), si rivela inammissibile.

2.1. Invero, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (alla stregua della normativa predetta) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso (cfr. ex multis, Cass. n. 25540 del 2020; Cass. n. 13096 del 2019). A tal riguardo, si è precisato (cfr. Cass., SU., n. 29459/2019) che, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato.

2.1.1. Nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie, la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione perchè l’indagine va effettuata con riferimento al paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il Paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale Paese (cfr. Cass. n. 25540 del 2020; Cass. n. 31676 del 2018).

2.1.2. Nell’odierna fattispecie, il giudizio di sussunzione operato dal tribunale è rispondente ai ricordati principi di diritto, mentre il motivo in esame tende a sollecitare, sul punto, una diversa valutazione fattuale rispetto a quella operata dal giudice di merito, il quale ha escluso la sussistenza di situazione di vulnerabilità del ricorrente ed ha negato l’esistenza di prove circa fattori di integrazione del K. nel tessuto sociale nazionale.

2.2. E’, infine, inammissibile il profilo di censura che allega una situazione di estesa violazione dei diritti umani in Libia, quale Paese di transito per raggiungere l’Italia, mancando il ricorrente di evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda (cfr. Cass. n. 31676 del 2018), posto che questa si fonda sul timore del rimpatrio in (OMISSIS) a causa di un omicidio la cui responsabilità era stata attribuita ad un cugino dell’odierno ricorrente, quale elemento ivi rilevante.

2.3. In definitiva, K.N., con i prospettati motivi, tenta sostanzialmente di opporre alla esaustiva valutazione fattuale contenuta nel decreto impugnato una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013)

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 15 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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