Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10543 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 03/06/2020), n.10543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 611-2019 proposto da:

CONDOMINIO DI (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSTANTINO CORVISIERI 4,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA INGENITO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

M.M., C.G., MA.MA., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA SERINO 11, presso lo studio dell’avvocato

SALVATORE CAIANIELLO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3205/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TEDESCO

GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Condominio di (OMISSIS) chiamava in giudizio M.M., Ma.Ma. e C.G., e con la citazione a comparire dinanzi al Tribunale di Tivoli, sezione distaccata di Castelnuovo di Porto, esponeva di avere deliberato l’installazione di paletti nella zona di confine fra la proprietà condominiale e via Gramsci al fine di impedire la sosta di automobili sulle stesse aree, di cui il condominio era proprietario ai sensi del regolamento condominiale, art. 2; lamentava di non essere riuscito dare esecuzione alla delibera a causa della opposizione dei convenuti, i quali accampavano diritti sull’area in questione; chiedeva ordinarsi ai convenuti di astenersi da ogni atto di molestia volto a impedire la riallocazione dei paletti lungo il confine fra la proprietà condominiale e il marciapiede comunale.

Il tribunale rigettava la domanda e la decisione era confermata dalla Corte d’appello di Roma. Questa osservava che il condominio attore aveva chiarito di avere proposto l’actio negatoria servitutis ai sensi dell’art. 949 c.c.; da ciò discendeva, in considerazione della natura petitoria dell’azione proposta, l’onere del condominio di dare la dimostrazione della proprietà delle aree oggetto di controversia, non essendo sufficiente il mero possesso. Secondo la corte tale prova non era stata fornita dall’attore, conseguendone quindi il rigetto della domanda.

Per la cassazione della sentenza il Condominio ha proposto ricorso affidato a un unico motivo, con il quale denuncia la violazione dell’art. 949 c.c.

M.M., Ma.Ma. e C.G. hanno resistito con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso dovesse essere rigettato con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Va in primo luogo rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti. L’errore nella indicazione della sentenza impugnata, incorso nel petitum del ricorso, non inficia minimamente la esatta identificazione del provvedimento impugnato ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 2, alla stregua dei richiami in fatto e delle censure contenute nel ricorso. La sentenza è inoltre indicata con gli estremi corretti nel preambolo dell’atto di impugnazione.

Con l’unico motivo si sostiene che nell’actio negatoria servitutis non è richiesta la prova rigorosa della proprietà, essendo sufficiente che l’attore dimostri con ogni mezzo di prova, ed anche con presunzioni semplici, di possedere in forza di un titolo valido.

Si sostiene in particolare che la conformazione dei luoghi autorizzava la presunzione della natura condominiale dell’area che il ricorrente intendeva delimitare con i paletti, essendo la stessa area al possesso del condominio in forza della norma del regolamento condominiale, confermata da delibere assembleari non impugnate dai convenuti. E’ richiamata inoltre una precedente statuizione del medesimo tribunale adito che aveva negato il diritto di M.M. di ottenere la rimozione dei paletti.

Il ricorso è infondato, in quanto nella decisione impugnata non si legge alcuna affermazione in contrasto con il principio di cui si denuncia la violazione. Infatti la corte d’appello, quando rimprovera al ricorrente di non avere dato la prova della proprietà, non allude alla mancanza della prova della proprietà nel senso richiesto per la rivendicazione, ma alla mancata dimostrazione del titolo di legittimazione dell’azione proposta: in particolare ha ritenuto insufficiente a tal fine il richiamo al regolamento condominiale.

Al ricorrente non giova richiamare il principio che l’azione negatoria pone un onere probatorio di minor rigore rispetto alla rivendicazione, potendo essere dimostrata la proprietà con ogni mezzo, anche mediante presunzioni. Ciò non toglie, infatti, che la proprietà vada comunque dimostrata (Cass. n. 12166/2002).

Sotto questo profilo la corte di merito ha riconosciuto che gli elementi di causa non consentivano di ritenere raggiunta la prova del diritto, inteso l’onere probatorio in termini coerenti con la natura dell’azione. In particolare la corte ha riconosciuto come non fosse idoneo al riguardo “il mero generico richiamo al regolamento di condominio, art. 2, in quanto formulato senza alcuna specifica argomentazione volta a chiarire sotto quale profilo le aree in questione sarebbero da considerare comprese nell’elencazione dei beni ivi contenuta”.

In effetti, sotto la veste della violazione di legge, la censura che il ricorrente muove contro la decisione si appunta in via diretta sulla valutazione degli elementi di causa da parte del giudice di merito. Secondo il ricorrente tali elementi autorizzavano la presunzione della proprietà condominiale dell’area. Una simile censura non è però proponibile in cassazione. Già nel vigore del testo precedente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), si chiariva che la norma “non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione data dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice del merito incontri alcun limite al riguardo, salvo che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 9234/2006).

Si deve aggiungere, solo per completezza di esame, che in tema di condominio costituisce valutazione in fatto, sottratta al giudizio di legittimità ove adeguatamente motivata, l’accertamento da parte del giudice di merito relativo al fatto che un determinato bene, per la sua struttura e conformazione e per la funzione cui è destinato, rientri tra quelli condominiali oppure sia di proprietà esclusiva di uno dei condomini (Cass. n. 2943/2004; n. 11195/2010).

Il ricorso, pertanto, va rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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