Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10540 del 28/04/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/04/2017, (ud. 29/03/2017, dep.28/04/2017),  n. 10540

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25523-2014 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA V.LE

MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato PAOLA ROSSI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ADRIANO ROSSI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1748/2014 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 20/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/03/2017 dal Consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

p. 1. S.F. propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 1748/04/14 del 20 marzo 2014 con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, pronunciando a seguito di cassazione con rinvio (Cass. ord. 7309/12), ha ritenuto legittimo il rifiuto opposto dall’agenzia delle entrate alla sua istanza di rimborso della maggiore imposizione Irpef operata sulla liquidazione del Fondo Pensione Dirigenti Enel (PIA-Fondenel) spettantegli alla cessazione del rapporto di lavoro.

In particolare, la commissione tributaria regionale ha rilevato che: – in base a quanto statuito da Cass. SSUU 13642/11, oggetto di imposizione con aliquota del 12,50% sul reddito di capitale, in luogo della tassazione separata applicabile sul TFR, era unicamente la quota di liquidazione ascrivibile a rendimento da investimento delle somme sul mercato finanziario; – la prova, nell’an e nel quantum, del rendimento così inteso gravava sul contribuente che aveva richiesto il rimborso; – tale prova non era stata fornita dallo S. mediante idonea documentazione.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

p. 2.1 Con l’unico articolato motivo di ricorso lo S. lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, – violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2; nonchè, – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – omesso esame di un fatto decisivo. Per avere la commissione tributaria regionale, operando quale giudice di rinvio, erroneamente applicato il principio di diritto fissato da Cass. ord. 7309/12 cit.. In particolare, la commissione tributaria regionale non avrebbe rilevato la natura assicurativa (o meglio, di capitalizzazione) del rapporto intercorrente tra il dirigente aziendale e l’Enel; con conseguente omessa considerazione del fatto che anche i contratti di assicurazione e di capitalizzazione costituivano forme di investimento finanziario. Sicchè erronea doveva ritenersi l’affermazione della CTR secondo cui il contribuente non aveva assolto l’onere di provare il concreto utilizzo, sul mercato finanziario, del capitale investito. Tanto più che il rendimento derivante dal rapporto di capitalizzazione era provato dall’attestazione Fondenel del 2005, da lui prodotta in giudizio.

p. 2.2 Il motivo è infondato.

La citata sentenza SSUU n. 13642 del 22 giugno 2011 ha stabilito il principio secondo cui: “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 cit., art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17″.

Tale indirizzo ha trovato successive plurime applicazioni anche in ordine alla nozione di “rendimento” qui rilevante: Cass. 287/12; 14498/12; 23520/12; 3130/14; 17365/14, ord.; 5614/15 ed altre.

In particolare, Cass. 17365/14 ord., cit., ha ripreso i vari profili nei quali si è articolato il ragionamento delle SSUU osservando, per quanto qui rileva, che: – sulla nozione di “rendimento” (tassabile al 12.50% fino al 31 dicembre 2000), viene richiamato che: “…per rendimento del capitale deve intendersi, come espressamente precisato nella parte motiva della citata sentenza delle Sezioni Unite (ultima parte del penultimo periodo del paragrafo 6.1), il rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato, la cui quantificazione deve essere compiuta dal giudice di merito, come questa corte ha avuto modo di ulteriormente specificare nella successiva sentenza 29583/11 – sulla base di una congruente analisi giuridica della fattispecie concreta, che operi l’accertamento della natura e quantità del rendimento che sarebbe stato erogato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego”; – risulta pertanto necessario, da parte del giudice del merito, svolgere un esame degli investimenti effettuati dal Fondo sul mercato finanziario (alla stregua delle norme contrattuali via via applicabili) e delle plusvalenze con essi realizzati, così da accertare “…se in concreto sussistesse un rendimento imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato (ossia, in termini più espliciti, se la differenza tra le somme erogate al beneficiario e l’ammontare dei contributi versati da lui e dal datore di lavoro derivasse in tutto o in parte dalla gestione di tali contributi sul mercato finanziario)”.

Sempre sul problema della natura ed individuazione della quota di rendimento tassabile, per i “vecchi iscritti”, al 12,50% (sulla differenza tra ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo), Cass. n. 3130/14 ha esplicitato nello stesso senso – la necessità dell’ accertamento di merito sulla sussistenza ed entità del rendimento (effettivo investimento sul mercato del capitale degli accantonamenti imputabili ai contributi versati al Fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore; risultati dell’investimento; modalità dell’assegnazione delle eventuali plusvalenze così ottenute alle singole posizioni individuali). Posto che è sulla scorta di tale indagine che il giudice di merito “quantificherà la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcolerà l’imposta dovuta dal contribuente (e, conseguentemente, l’ammontare del suo effettivo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l’aliquota del 12,5%, (come sopra decrementata) secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6, fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17”. Sicchè non può dirsi pienamente rispettato il principio di diritto espresso dalle SSUU ove non sia stato dal giudice di merito compiuto un “accertamento approfondito ed analitico sulla natura e quantità del rendimento che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego”.

p. 2.3 Questo orientamento è stato puntualmente recepito, tra le parti, dalla citata ord. Cass. 7309/12 cit. che – su ricorso principale dell’agenzia delle entrate – ha disposto il rinvio di cui alla sentenza CTR qui impugnata.

La sentenza S.C. in oggetto, dopo aver richiamato le SSUU cit., ha così stabilito: “si ritiene che il procedimento possa essere definito in camera di consiglio, con la declaratoria di manifesta fondatezza del ricorso principale, il rigetto del ricorso incidentale e la cassazione con rinvio della sentenza gravata perchè la Commissione Tributaria Regionale proceda – previa disamina dei meccanismi di funzionamento del fondo FONDENEL/P.I.A. nel corso degli anni – ad accertare se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sul mercato finanziario, quali siano stati i risultati dell’investimento ed in qual modo sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali; cosicchè, sulla scorta di tale indagine, quantifichi la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e quindi, calcoli l’imposta dovuta dal contribuente (e conseguentemente, l’ammontare del suo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l’aliquota del 12.5%, secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6: fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, cit. TUIR”.

La sentenza CTR qui impugnata, lungi dal violare il principio di diritto evincibile dalla sentenza di annullamento con rinvio, lo ha correttamente applicato ed adattato alla fattispecie mediante: – l’esatta individuazione della nozione di rendimento rilevante; – l’accollo dell’onere della prova della sussistenza ed entità di tale rendimento a carico del contribuente richiedente il rimborso; – la valutazione probatoria di mancata dimostrazione, nella specie, di un rendimento siffatto.

Segnatamente, ha osservato il giudice di rinvio che – fermo restando il principio di diritto delle SSUU – “dalla documentazione prodotta nessuna concreta prova può ricavarsi rispetto ad un concreto utilizzo sul mercato finanziario delle somme conferite dall’assicurato nel fondo rispetto alle quali calcolare la quota di rendimento secondo il concetto espresso dalla corte di cassazione (…)”.

Per quanto concerne la lamentata violazione normativa, non può dunque dirsi che il giudice di rinvio abbia leso il principio di diritto fissato dalla S.C..

Nemmeno può dirsi fondata l’ulteriore censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Non si riscontra, in particolare, l’omesso esame astrattamente rilevante per integrare la “nuova” fattispecie del vizio motivazionale.

La commissione tributaria regionale ha mostrato, al contrario, di prendere in esame questo specifico aspetto, addivenendo ad una determinata – e qui non sindacabile – valutazione di inidoneità probatoria della certificazione prodotta in giudizio dal contribuente.

Si tratta di valutazione qui non rivedibile, anche in considerazione del fatto che non viene dal ricorrente in alcun modo specificato in che termini al di là dell’affermata natura assicurativa o di capitalizzazione del rapporto, come tale asseritamente esimente dalla prova del concreto impiego del capitale sul mercato finanziario – la documentazione Fondenel 2005 (ric. pag. 15) sarebbe decisiva nel provare l’esistenza e la misura del rendimento secondo la specifica nozione evincibile dalla citata sentenza delle SSUU (diversa da quella risultante dalla mera differenza tra ammontare degli accantonamenti e somma liquidata alla cessazione del rapporto).

Da questo punto di vista, la presente censura risulta in definitiva eccedere da quelli che sono i tassativi limiti del vizio di motivazione per “omesso esame”, così come stabiliti dalla sent. SSUU 8053/14; e da quest’ultima ritenuti applicabili anche al ricorso per cassazione avverso sentenza della commissione tributaria.

La controvertibilità della questione, vieppiù attestata dalla complessa evoluzione giurisprudenziale in materia, depone per l’integrale compensazione delle spese di lite.

PQM

La Corte;

– rigetta il ricorso;

– compensa le spese;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, della quinta sezione civile, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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