Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1054 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, (ud. 20/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1054

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19667-2014 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è rappresentata e difesa

per legge;

– ricorrente –

contro

P.O., Z.S., MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’

RICERCA (OMISSIS), UNIVERSITA’ STUDI BARI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 562/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 14/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/07/2018 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2000 P.O. e Z.S., agendo unitamente ad altre persone, convennero dinanzi al Tribunale di Bari la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica e l’Università degli Studi di Bari, esponendo:

-) di essere laureati in medicina e chirurgia e di avere conseguito il diploma di specializzazione prima del 1992;

-) di avere partecipato ai rispettivi corsi di specializzazione a tempo pieno e con frequenza obbligatoria;

-) di avere, pertanto, diritto alla “adeguata retribuzione” prevista dalle direttive comunitarie n. 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva 82/76/CEE.

Chiesero pertanto la condanna dell’amministrazione convenuta al pagamento della suddetta retribuzione ovvero, in subordine, al risarcimento del danno per la tardiva attuazione di tali direttive da parte della Repubblica Italiana.

2. Il Tribunale di Bari con sentenza 20.5.2008 n. 1282 rigettò la domanda, ritenendo prescritto il diritto.

La sentenza di primo grado venne impugnata da P.O. e Z.S..

La Corte d’appello di Bari con sentenza 14.4.2014 n. 562 accolse la domanda nei confronti della Presidenza del Consiglio.

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.

Gli intimati non si sono difesi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, che la sentenza impugnata sia affetta dal vizio di violazione di legge, con riferimento all’art. 2043 c.c.; artt. 5 e 189 del trattato istitutivo della comunità Europea; art. 117 Cost.; art. 57 della direttiva 362/75.

Espone che P.O. frequentò un corso di specializzazione in “pediatria preventiva e puericultura”, e che tale corso non è compreso fra quelli comuni a tutti gli Stati membri o a due almeno di essi, ai sensi degli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE.

E poichè – conclude la ricorrente – la frequentazione d’un corso di specializzazione comune a tutti gli Stati membri o ad almeno due di essi era il presupposto per il diritto all’adeguata retribuzione, la

domanda proposta da P.O. si sarebbe dovuta rigettare, giacchè anche in caso di tempestiva attuazione della direttiva, ella non avrebbe comunque avuto diritto alla retribuzione da quest’ultima

prevista.

1.2. Il motivo è inammissibile, per due indipendenti ragioni.

In primo luogo esso è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dal momento che l’amministrazione ricorrente non ha precisato nel proprio ricorso se, quando ed in che termini l’eccezione di non corrispondenza tra la specializzazione conseguita da P.O. e le materie previste dalle direttive comunitarie fu sollevata nei gradi di merito.

1.3. In secondo luogo il motivo sarebbe in ogni caso inammissibile perchè quel che rileva ai fini dell’attribuzione del diritto all’indennizzo non è la esatta corrispondenza nominale tra la specializzazione conseguita in Italia e quella comune a tutti od almeno due Paesi dell’unione; rileva invece l’equipollenza di contenuto sostanziale tra la specializzazione conseguita in Italia e quelle elencate negli artt. 5 e 7 della direttiva.

Tuttavia lo stabilire se vi sia o non vi sia tale equipollenza è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, sicchè l’averla ritenuta sussistente od insussistente non è questione censurabile in sede di legittimità, come già ritenuto più volte da questa Corte (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3833 del 14.2.2017; Sez. L, Sentenza n. 191 del 11.1.2016; Sez. L, Sentenza n. 20502 del 13.10.2015; Sez. 3, Sentenza n. 22892 del 10.11.2016; tali decisioni hanno ritenuto “nuova”, e perciò inammissibile, la questione della equipollenza tra specializzazioni, sollevata per la prima volta in sede di legittimità).

Da ultimo, le stesse Sezioni Unite di questa Corte, affrontando il problema, hanno stabilito che l’eccezione concernente la non conformità ai requisiti previsti dalla normativa comunitaria dei corsi frequentati dai medici specializzati in Italia deve essere “tempestivamente svolta in sede di merito, e presuppone anche accertamenti di fatto non consentiti in questo giudizio di legittimità”: così Sez. U, Sentenza n. 19107 del 18.7.2018).

Alla luce di tali precedenti, e per le ragioni in essi già indicate, non può condividersi quanto sostenuto dalla difesa erariale nei propri scritti, ovvero che la questione della non corrispondenza tra la specializzazione conseguita in Italia e quelle previste dalla direttiva sarebbe rilevabile anche d’ufficio “in ogni stato e grado”.

1.4. Ad abundantiam, questa Corte ritiene utile rilevare che la “pediatria preventiva” è pacificamente considerata una branca della pediatria, ed essendo la specializzazione in pediatria compresa negli artt. 5 e 7 della Direttiva, il giudizio di equipollenza sarebbe stato comunque soddisfatto.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo l’amministrazione ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione delle direttive 363 del 1975 e 82 del 1976, nonchè degli artt. 1173 e 2043 c.c.; degli artt. 5 e 189 del trattato istitutivo della comunità Europea; dell’art. 117 Cost..

Nell’illustrazione del motivo si sostiene che Z.S., come accertato dalla Corte d’appello a pagina 7 della propria sentenza, si era iscritto al corso di specializzazione in “malattie infettive” nell’anno accademico 1981/82. Poichè, dunque, l’iscrizione era avvenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore della direttiva 82 del 1976, oltre che al termine per il recepimento della stessa, egli non poteva pretendere il risarcimento del danno da ritardata attuazione della direttiva stessa.

2.2. Il motivo è fondato.

Come noto la (allora) Comunità Europea nel 1975 volle dettare norme uniformi per “agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di medico”, e lo fece con due direttive coeve: la direttiva 75/362/CEE e la direttiva 75/363/CEE, ambedue del 16.6.1975.

La prima sancì l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere l’efficacia giuridica dei diplomi rilasciati dagli altri Stati membri per l’esercizio della professione di medico; la seconda dettò i requisiti minimi necessari affinchè il suddetto riconoscimento potesse avvenire, tra i quali la durata minima del corso di laurea e la frequentazione a tempo pieno di una “formazione specializzata”.

L’una e l’altra di tali direttive vennero modificate qualche anno dopo dalla Direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982.

L’art. 13 di tale ultima direttiva aggiunse alla Direttiva 75/363/CEE un “Allegato”, contenente le “caratteristiche della formazione a tempo pieno (…) dei medici specialisti”.

L’art. 1, comma terzo, ultimo periodo, di tale allegato sancì il principio per cui la formazione professionale “forma oggetto di una adeguata rimunerazione”.

2.3. La direttiva 82/76/CEE venne approvata dal Consiglio il 26.1.1982; venne notificata agli Stati membri (e quindi entrò in vigore) il 29.1.1982, e venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L43 del 15.2.1982; l’art. 16 della medesima direttiva imponeva agli stati membri di conformarvisi “entro e non (IAA) oltre il 31 dicembre 1982”.

Pertanto:

(a) l’ordinamento comunitario attribuì ai medici specializzandi il diritto alla retribuzione a far data dal 29.1.1982;

(b) gli stati membri avevano tempo sino al 31.12.1982 dello stesso anno per dare attuazione al precetto comunitario.

Ne consegue che “qualsiasi formazione a tempo pieno come medico specialista iniziata nel corso dell’anno 1982 deve essere oggetto di una remunerazione adeguata”, così come stabilito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, con sentenza 24 gennaio 2018, in causa C-616/16, Presidenza del Consiglio c. Pantuso.

La medesima sentenza ha precisato che, per coloro che hanno iniziato i corsi di specializzazione durante l’anno 1982, la remunerazione adeguata deve essere corrisposta per il periodo di formazione a partire dal 1 gennaio 1983 fino alla conclusione, dal momento che prima di tale data gli Stati membri avevano la facoltà di dare o non dare attuazione alla direttiva.

La Corte di giustizia, nella sentenza appena ricordata ha dunque distinto tre categorie di specializzandi:

1) quelli che hanno iniziato la specializzazione prima del 29 gennaio 1982 (data di entrata in vigore della direttiva 82 del 1976), i quali non hanno diritto ad alcuna remunerazione;

2) quelli che hanno iniziato la specializzazione nel corso dell’anno 1982, i quali hanno diritto alla remunerazione a partire dal 1 gennaio 1983;

3) quelli che hanno iniziato la specializzazione dopo il 1 gennaio 1983, i quali hanno diritto alla remunerazione per l’intera durata del ricorso. 2.4. Nel nostro caso, è la stessa Corte d’appello ad affermare (p. 7, primo capoverso) che Z.S. ha frequentato una scuole di specializzazione della durata di tre anni, alla quale si era iscritto nell’anno accademico 1981/1982, e dunque ha accertato in facto l’insussistenza del presupposto per invocare la responsabilità dello Stato italiano per ritardata attuazione della direttiva, giacchè anche se la direttiva fosse stata tempestivamente trasposta nell’ordinamento interno, egli comunque non avrebbe avuto diritto ad alcuna remunerazione, come già ritenuto da questa Corte (Sez. 3, Ordinanza n. 13761 del 31.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 13762 del 31.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 13763 del 31.5.2018).

2.5. La rilevata erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha accolto la domanda proposta da Z.S., non impone la cassazione con rinvio: infatti, non essendo necessario alcun ulteriore accertamento di fatto, è possibile decidere la causa nel merito, rigettando la domanda proposta da Z.S..

3. Le spese.

3.1. Nel rapporto processuale tra l’amministrazione ricorrente e P.O. non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte resistente e vittoriosa.

3.2. Nel rapporto processuale tra l’amministrazione ricorrente e Z.S. le spese del giudizio di appello e del presente giudizio di legittimità possono essere compensate interamente tra le parti, in considerazione della oggettiva controvertibilità della materia, che ha richiesto l’intervento sia delle Sezioni Unite di questa Corte, sia della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il primo motivo di ricorso;

(-) accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da Z.S.;

(-) compensa integralmente tra Z.S. e la Presidenza del consiglio dei Ministri le spese del presente giudizio di legittimità e del giudizio di appello.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 20 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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