Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10536 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/04/2010, (ud. 17/03/2010, dep. 30/04/2010), n.10536

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11329/2007 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

30, presso lo studio dell’avvocato CAMICI Giammaria, che lo

rappresenta, e difende unitamente all’avvocato VENTURI ITALO, giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

Alessandro, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta mandato in calce al

controricorso;

– controricorrente –

sul ricorso 16909/2007 proposto da:

B.A., ricorrente che non ha presentato il ricorso nei

termini prescritti dalla legge, (non depositante);

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO,VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta mandato in calce al

controricorso, (unico depositante);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1513/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/01/2007 r.g.n. 1879/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/03/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO BALLETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso dinanzi alla Corte di appello di Firenze B. A. impugnava la sentenza n. 83/2004 con la quale il Tribunale – giudice del lavoro di Prato aveva rigettato la sua domanda diretta ad ottenere la condanna dell’I.N.P.S. – originariamente convenuto in giudizio – al risarcimento a suo favore in via equitativa dei danni procuratigli “per la imposta prosecuzione della attività lavorativa per oltre due anni dal 1 ottobre 1996 al 31 gennaio 1999 senza alcun utile economico apprezzabile rispetto a quanto avrebbe percepito a titolo di pensione se il predetto Istituto non fosse venuto messo colposamente ai suoi doveri istituzionali”.

Si costituiva nel relativo giudizio di appello l’I.N.P.S. che contestava l’ammissibilità dell’impugnativa in relazione alla domanda nuova di danno esistenziale fondata, tra l’altro, su documenti tardivamente prodotti e concludeva per la nullità e, comunque, per il rigetto dell’appello. L’adita Corte di appello – con sentenza del 13 gennaio 2007 – rigettava l’appello e dichiarava compensate le spese processuali del grado.

Per la cassazione di questa sentenza B.A. propone ricorso (notificato il 5 aprile 20077 assistito da un unico motivo.

Tale ricorso è stato ritualmente depositato in data 24 aprile 2007 (r.g. 11329/07); mentre altro ricorso – di identico contenuto del cennato ricorso -, notificato il 22 febbraio 2007, è stato depositato dall’intimato I.N.P.S. (r.g. 16909/07) con “certificato negativo di mancata iscrizione a ruolo di ricorso”.

L’I.N.P.S. resiste, nei confronti di entrambi i ricorsi, con distinti controricorsi, con cui, preliminarmente, eccepisce l’inammissibilità dei ricorsi stessi per omessa formulazione del quesito di diritto in violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Deve essere disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

2 – Con l’unico motivo di entrambi i ricorsi il ricorrente – denunciando “erronea applicazione dell’art. 2697 cod. civ., con riferimento agli artt. 2727 e 2729 cod. civ.” – rileva, a censura della sentenza impugnata, che “il danno esistenziale, nel periodo della obbligata prosecuzione della attività lavorativa e di cui è causa, ha determinato concreti cambiamenti della qualità di vita del danneggiato che, possono essere verificati anche mediante prova presuntiva (che è un mezzo peraltro non relegato dall’ordinamento in grado subordinato nella gerarchia delle prove cui il giudice può fare ricorso anche in via esclusiva) atteso che le ragionevoli aspettative dell’assicurato, collegate alla responsabilità dell’Istituto resistente, hanno determinato la esistenza del danno collegabile all’id quod plerumque accidit secondo le nozioni generali derivanti dalla comune esperienza, con la conseguenza che, nella fattispecie, la esistenza del danno esistenziale è da ritenere provato presuntivamente secondo le previsioni di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ., desumibile dalla correlazione esistente fra i fatti ed i concreti cambiamenti che l’illecito ha apportato sul piano fisico e psichico di esso ricorrente”.

3 – Il ricorso avente il n. di r.g. 16909/2007 deve essere dichiarato improcedibile perchè depositato oltre il termine perentoriamente sancito dall’art. 369 c.p.c..

4 – Passando ora alla valutazione del ricorso r.g. 11329/07, deve preliminarmente essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dall’Istituto controricorrente, sul rilievo che il motivo posto a sostegno dell’impugnazione non contiene la formulazione del quesito di diritto così come sancito dall’art. 366 bis cod. proc. civ. (introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6).

Al riguardo, con riferimento alle modalità espositive e contenutistiche del quesito di diritto, vale – quale premessa di ordine generale – precisare che il quesito può anche difettare di una particolare evidenza grafica o può anche essere posizionato topograficamente non al termine del motivo bensì al suo inizio o nelle conclusioni del ricorso (se pur con richiamo al motivo al quale esso è pertinente), ma deve, in ogni caso, risultare come frutto di una intenzionale articolazione di interpello alla Corte di legittimità sulla sintesi dialettica illustrata nel singolo motivo.

Pervero la “novità” dell’art. 6 cit. consisteva proprio nell’imporre, quale requisito fondamentale di ciascuna censura di violazione di legge, la necessità dell’esplicitazione della sintesi logico-giuridica della questione onerando la parte di una formulazione consapevole, quanto espressa e diretta, di tale sintesi.

Da questa impostazione ermeneutica discende l’impossibilità di accettare un’ipotesi di quesito implicito o “mascherato” nella trattazione delle censure, dovendo il quesito svolgere una propria funzione di individuazione della questione di diritto posta alla Corte, sicchè è necessario che tale individuazione sia assolta da una parte apposita del ricorso, a ciò deputata attraverso espressioni specifiche che siano idonee ad evidenziare alla Corte la questione stessa; mentre resta escluso che la questione possa risultare da un’operazione di individuazione delle implicazioni della esposizione del motivo come prospettato e non rivelata direttamente dal ricorso stesso.

E’ stato, altresì, escluso, sotto altro profilo, che la formulazione di quesiti di diritto e la chiara indicazione del fatto controverso con le caratteristiche indicate dall’art. 366 Bis cod. proc. civ., possano reputarsi sussistenti per il fatto che la parte intimata costituitasi abbia controdedotto, giacchè l’espressa previsione del requisito a pena di inammissibilità evidenzia non solo che l’interesse tutelato dalla norma non è disponibile ed è tutelato dalla rilevabilità d’ufficio (come sempre accade quando il legislatore ricorre alla categoria della inammissibilità, che non a caso è accompagnata dall’espressione preliminare evocativa della sanzione “a pena di”), ma impedisce anche che possa assumere alcun rilievo, in funzioni di superamento del vizio, l’atteggiamento della controparte (Cass. ord. n. 16002/2007). Con successiva ordinanza n. 5073/2008 di questa Corte è stato ribadito che “quand’anche si ritenga possibile che il quesito non sia graficamente posto a conclusione di ciascun motivo e quand’anche si ritenga ammissibile una elencazione finale conclusiva dei quesiti, certo è che ciascun quesito, pur conclusivamente elencato in unione con altri, deve essere espressamente riferito al motivo cui accede e che concettualmente conclude (quale sintesi od interpello alla Corte sulla esattezza della soluzione offerta rispetto a quella adottata dal giudice a quo), per cui le volte in cui il difensore intenda esporre nella sede finale del proprio ricorso i quesiti afferenti i motivi che ha formulato, tale scelta essendo conforme alla norma (che non impone nè una specifica veste grafica nè una particolare collocazione topografica del quesito rispetto al testo del motivo), sarà rispettato il requisito di legge della esposizione conclusiva tanto ove ciascun quesito sia espressamente riferito al motivo (con richiamo numerico od alla rubrica delle violazioni addotte) quanto ove il collegamento al motivo sia evidenziato dalla evidenza di un rapporto di pertinenza esclusiva senza necessità di particolare analisi critica (quei motivo attingendo una specifica violazione di legge e quel quesito, e solo quel quesito, esponendo il relativo interpello sintetico)”.

In merito poi allo specifico collegamento alla fattispecie, è stato dichiarato inammissibile il motivo del ricorso per cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto in alcun modo riferibile alla fattispecie o che sia comunque assolutamente generico (Cass. Sez. Unite n. 36/2007).

Sulla necessità del rispetto del requisito dell’imprescindibile attinenza del quesito di diritto alla sentenza impugnata, è stato, inoltre, statuito che “il caso di quesito di diritto in conferente va assimilato all’ipotesi di mancanza di quesito con conseguente inammissibilità del motivo, applicando lo stesso principio già affermato in tema di motivi non conferenti al decisum” (Cass. Sez. Unite n. 14385/2007).

In definitiva il quesito di diritto, rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diverse da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della suprema corte di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la corte in condizioni di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris, che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. n. 11535/2008).

5 – Tanto rimarcato in linea generale, appare evidente che, nella specie, il ricorso r.g. 11329/2007 proposto da B.A. per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze pubblicata in data 13 gennaio 2007, debba essere dichiarato inammissibile in quanto al cennato ricorso – che non contiene alcun quesito di diritto giusta le modalità dianzi precisate – si applica la disposizione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., comma 1, in vigore dal 2 marzo 2006, come dispone il D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 (Cass. Sez. Unite n. 1613/2007, secondo cui l’art. 366 bis c.p.c. “si applica ai ricorsi proposti avverso le decisioni pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006”).

6 – Non sussistono le condizioni di cui all’art. 152 c.p.c. (come modificato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42) per una pronunzia a favore del controricorrente I.N.P.S. delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara il ricorso r.g. n. 16909/2007 improcedibile; dichiara il ricorso r.g. 11324/2007 inammissibile;

nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

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