Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10532 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2020, (ud. 30/04/2019, dep. 03/06/2020), n.10532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19283-2016 proposto da:

D.P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGOSTINO

DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato ROSA IDA CARPAGNANO,

rappresentata e difesa dagli avvocati SABINO CARPAGNANO, ANDREA

SAVELLA;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2971/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 09/02/2016.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Trani, D.P.G. chiedeva che venisse dichiarata la nullità del termine apposto al contratto stipulato inter partes ai sensi del CCNL 11 gennaio 2001, art. 25, relativamente al periodo 5.6.2001-30.9.2001, per “esigenze di carattere eccezionale conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o sevizi nonchè per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo giugno-settembre”, con condanna della società a riammettere in servizio la lavoratrice ed a corrispondere alla stessa le retribuzioni medio tempore maturate;

che, con sentenza resa in data 8.6.2007, il Tribunale rigettava la domanda;

che la Corte di Appello di Bari, con pronunzia n. 3716/2009, depositata il 23.12.2009, respingeva il gravame interposto dalla D.P., nei confronti della società datrice, avverso la sentenza del Tribunale adito;

che, con sentenza n. 26570/2011, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dalla lavoratrice, con rinvio alla Corte di Appello di Bari affinchè venisse esaminata nuovamente la censura sollevata dalla medesima relativamente alla violazione della c.d. clausola di contingentamento da parte di Poste Italiane S.p.A.;

che la D.P. riassumeva la causa con ricorso del 10.2.2012; che, con sentenza pubblicata in data 9.2.2016, la Corte di Appello di Bari, “pronunciando sul ricorso in riassunzione proposto da D.P.G., nei confronti di Poste Italiane S.p.A.”, ha rigettato “l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Trani dell’8.6.2007”, che ha “confermato”, con “compensazione integrale delle spese di tutti i gradi”; che avverso tale pronunzia D.P.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi aventi tutti ad oggetto la violazione, da parte della società datrice, della c.d. clausola di contingentamento;

che Poste Italiane ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il ricorso, si censura: 1) (v. pag. 9 del ricorso), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6; artt. 132 e 156 c.p.c., per avere i giudici di secondo grado immotivatamente ed erroneamente ritenuto che la lavoratrice non avrebbe eccepito, nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la nullità del termine per violazione del CCNL del 2001, art. 25; 2) (v. pag. 11 del ricorso), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, ancora la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6; art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 156 c.p.c., per nullità della sentenza “per illogica motivazione”; 3) (v. pag. 15 del ricorso), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del CCNL del 2001, art. 25 e art. 2697 c.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n 4, la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6; artt. 132 e 156 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente posto a carico della D.P. l’onere di provare il rispetto della c.d. clausola di contingentamento; 4) (v. pag. 19 del ricorso), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con conseguente violazione, da parte dei giudici di merito, dell’art. 111 Cost., comma 6; art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 156 c.p.c., ed altresì, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2730 e 2733 c.c. e art. 228 c.p.c., “per avere la Corte di merito attribuito valore confessorio a quanto affermato da Poste, nei propri scritti difensivi, in merito al numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, alla data del 31.12.2000, ed al numero di quelli assunti a tempo determinato, alla data dell’assunzione dell’odierna ricorrente (5.6.2001)”; 5) (v. pag. 37 del ricorso), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 416 c.p.c., comma 3, in combinato disposto con l’art. 436 c.p.c., comma 4, art. 437 c.p.c., comma 2, artt. 112, 115 e 244 c.p.c.; art. 2697 c.c.; D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, comma 1; L. n. 223 del 1991, art. 20, comma 4, per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto “l’ammissibilità della prova per testi sul cap. n. 26 della memoria difensiva di primo grado di Poste Italiane e del prospetto prodotto al n. 20 del fascicolo di primo grado di Poste” ed inoltre che “dagli stessi emergesse la prova del rispetto della clausola di contingentamento di cui all’art. 25, senza neppure esporre le ragioni in fatto ed in diritto del proprio convincimento”;

che i motivi – da trattare congiuntamente, in quanto tesi, tutti, come riferito in narrativa, a censurare la sentenza oggetto del presente giudizio relativamente al profilo del rispetto della c.d. clausola di contingentamento – sono da accogliere, nei termini di seguito precisato, dovendosi rilevare che la società non ha assolto all’onere della prova al riguardo, a fronte dei precisi rilievi sollevati nel ricorso introduttivo del giudizio dalla D.P., la quale, secondo quanto si legge nel predetto ricorso, allegato a quello per cassazione, aveva dedotto che non risultava “neppure essere stata rispettata la quota massima degli assunti a tempo determinato, rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato, richiesta per la validità dell’assunzione a termine richiesta dall’art. 25 CCNL”; per la qual cosa, va osservato che la specifica contestazione della lavoratrice relativamente al mancato rispetto della percentuale imposta dalla contrattazione collettiva vi sia stata;

che, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di legittimità nella materia (cfr. tra le molte, Cass. n. 2912/2012), grava sul datore di lavoro l’onere di deduzione e prova del rispetto della percentuale, contrattualmente stabilita a livello collettivo, del personale da assumere a tempo determinato rispetto a quello assunto con contratto a tempo indeterminato; la società, pertanto, avrebbe dovuto provare di non avere violato il limite quantitativo di cui si tratta;

che la determinazione, da parte della contrattazione collettiva, in conformità a quanto previsto dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, della percentuale massima di contratti a termine rispetto a quelli di lavoro a tempo indeterminato nella azienda, è stabilita per la validità della clausola appositiva del termine per le causali individuate dalla medesima contrattazione collettiva (cfr., tra le altre, Cass. n. 22009/2011, implicitamente, e n. 4677/2006, nonchè ord. n. 20398/2012); l’illegittimità si evince chiaramente non solo dalla formulazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, che stabilisce appunto che i contratti collettivi prevedono il numero percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine, rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato, ma anche dall’interpretazione sistematica di tale norma che fissa parametri rigidi per la individuazione delle fattispecie autorizzatorie; in tal senso si è espressa, del resto, univocamente la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. nn. 2269/2015; 701/2013; 839/2010), che ha costantemente confermato le sentenze di merito che avevano ritenuto illegittimo il contratto a termine stipulato in violazione della clausola di contingentamento, convertendo lo stesso in contratto di lavoro a tempo indeterminato;

che la Corte di merito non ha fatto buon governo dei principi ormai consolidati nella materia, affermando, peraltro, che “dalla lettura dell’atto introduttivo emerge che la ricorrente non aveva allegato il motivo di nullità del contratto inerente al supposto mancato rispetto della c.d. clausola di contingentamento”; la qual cosa, per quanto innanzi osservato non trova riscontro negli atti;

che la sentenza va, pertanto, cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito, a quanto innanzi affermato, provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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