Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10531 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/04/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 30/04/2010), n.10531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TRIOLO VINCENZO, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

N.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 50,

presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PECCHI EMILIA, giusta mandato a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6854/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/01/2006 r.g.n. 6059/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2010 dal Consigliere Dott. BALLETTI Bruno;

udito l’Avvocato BOMBOI SAVINA per delega COSSU BRUNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in appello dinanzi alla Corte di appello di Roma N. C. impugnava la sentenza del Tribunale – giudice del lavoro di Civitavecchia – emessa in data 10 maggio 2001 -, con la quale era stata respinta la sua domanda nei confronti dell’I.N.P.S. intesa ad ottenere la condanna dell’Istituto al pagamento delle ultime tre mensilita’ di retribuzione dovutegli dal Fondo di garanzia D.Lgs. n. 80 del 1992, ex art. 2. Costituitosi l’I.N.P.S. nel relativo giudizio di appello, l’adita Corte di appello – con sentenza del 23 gennaio 2006 -, in accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza impugnata, condannava l’I.N.P.S. al pagamento, a favore dell’appellante della somma di Euro 2.054,08, oltre agli interessi legali ed alle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Per la cassazione di questa sentenza l’I.N.P.S. propone ricorso assistito da un unico motivo. L’intimato N.C. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente – denunciando “violazione del D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2, comma 1 e dell’art. 12 disp. gen.” – censura la sentenza impugnata in quanto, sulla base della corretta interpretazione dell’art. 2 cit. secondo la giurisprudenza piu’ recente della Corte di Cassazione, “non sembra sussistere il diritto del lavoratore ad ottenere dal Fondo di Garanzia il pagamento delle reclamate ultime tre mensilita’ retributive (dicembre 1996 – gennaio e febbraio 1997) per essere maturato il diritto alla retribuzione anche nel trimestre successivo alla sospensione di fatto dell’attivita’ lavorativa del marzo 1997”.

2 – Prioritariamente deve essere valutata l’eccezione di “novita’” della questione concernente la censura relativa all’interpretazione dell’art. 2 cit. che – secondo il controricorrente – “risulta proposta per la prima volta in questo grado”.

Al riguardo – atteso che, linea generale di principio, nel giudizio di cassazione e’ preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (Cass. n. 1474/2007 e n. 19092/2007) – nella specie si evince che lo stesso controricorrente ha affermato, del tutto contraddittoriamente rispetto all’eccezione di “novita’”, che “l’interpretazione sostenuta in questa sede da controparte e’ quella che e’ stata posta dalla Corte di appello a fondamento della decisione” e, d’altra parte, la Corte territoriale ha rilevato che “secondo l’I.N.P.S. ed il giudice di primo grado la norma andrebbe interpretata con riferimento in ogni caso agli ultimi tre mesi che precedono la cassazione del rapporto, mentre i tre mesi richiesti dall’appellante (novembre e dicembre 1996, gennaio 1997) si riferiscono agli ultimi tre mesi lavorati essendo la dichiarazione di fallimento intervenuta solo il 2 agosto 1997 dopo un periodo di integrazione salariale” a conferma che la questione inerente alla interpretazione dell’art. 2 cit. aveva gia’ formato oggetto di rituale contestazione nel giudizio di appello: donde l’infondatezza dell’eccezione preliminare sollevata dal controricorrente.

3 – Passando ora alla disamina del ricorso, lo stesso appare infondato.

3/a – Al riguardo la Corte di appello di Roma ha motivatamente ritenuto che “l’art. 2 cit. va interpretato in senso conforme alla sua ratio che e’ quella di garantire al lavoratore, nel caso di insolvenza del datore di lavoro, almeno una parte della retribuzione non corrisposta e, quindi, il riferimento agli ultimi tre mesi del rapporto non puo’ che riferirsi agli ultimi tre mesi che il datore non ha retribuito”.

3/b – La cennata interpretazione appare corretta alla stregua del canone ermeneutica ex art. 12 disp. gen., comma 1 (specie secondo al.), anche se va integrata con quanto precisato da questa Corte secondo cui, nella materia in esame, e’ intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia (in causa C-160/01) che ha interpretato la direttiva del Consiglio del 20 ottobre 1980 (80/987 CEE) concernente il rinnovamento delle legislazioni degli stati membri relativi alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, alla quale, com’e’ noto, lo Stato italiano ha dato applicazione con il D.Lgs. n. 80 del 1992 per cui occorreva accertare se la nozione di “rapporto di lavoro”, di cui alla medesima direttiva, dovesse essere interpretata nel senso che essa escluda periodi in cui il rapporto di lavoro viene sospeso, perche’ solo rispondendo in senso affermativo, e quindi “neutralizzando” il periodo di sospensione, sarebbero rientrati nell’ambito della garanzia i periodi “antecedenti” all’ultimo trimestre, in cui era stata resa la prestazione ma la retribuzione non era stata erogata.

La Corte di giustizia, nel rispondere in senso affermativo, ha espresso i seguenti principi: a) per risolvere la questione e’ necessario procedere all’interpretazione della nozione di “rapporto di lavoro”; b) si tratta di una nozioni di diritto comunitario, perche’ essa non compare all’art. 2, n. 2 della direttiva 80/987, che elenca taluni termini la cui definizione in diritto nazionale non dipende dalla direttiva; c) i termini aventi ad oggetto la determinazione stessa della garanzia comunitaria minima devono essere interpretati uniformemente in tutti gli Stati membri, allo scopo di non privare di efficacia l’armonizzazione, anche parziale, perseguita sul piano comunitario; d) poiche’ la nozione “di rapporto di lavoro” e’ elemento necessario per determinare il periodo di garanzia, essa richiede una interpretazione comunitaria uniforme, e) l’interpretazione della nozione di “rapporto di lavoro” deve in particolare tenere conto dell’obiettivo previdenziale della direttiva, consistente nel garantire un minimo di tutela a tutti i lavoratori; f) pertanto non e’ possibile interpretare tale nozione in modo tale da consentire l’annullamento delle garanzie minime previste all’art. 4, n. 2 della direttiva; conclusivamente la Corte di giustizia ha affermato: “occorre interpretare la nozione di rapporto di lavoro i cui agli artt. 3 e 4 della direttiva 80/987 nel senso che da essa vanno esclusi i periodi che, per la loro stessa natura, non possono dare luogo a diritti salariali non pagati”. Cio’ significa che gli ultimi tre mesi di rapporto, per rientrare nella garanzia approntata dalla direttiva, devono essere tali da dare diritto alla retribuzione, e che ove tale diritto non sussista, i medesimi non possono essere presi in considerazione, mancando lo stesso presupposto a cui la disposizione comunitaria e’ preordinata; con la conseguenza che, dovendo questi essere esclusi, ossia neutralizzati dalla nozione di “ultimi tre mesi del rapporto di lavoro”, rientrano nella tutela della direttiva i tre mesi immediatamente precedenti in cui, invece, vi era diritto alla retribuzione, ma questa non fu pagata. Nella fattispecie esaminata dalla Corte (Cass. n. 17600 cit.) di sospensione del rapporto per congedo parentale, tuttavia il principio enunciato, come sopra riportato, non vale a neutralizzare solo detto periodo di congedo, ma tatti i periodi che, per loro stessa natura, non possono dar luogo a diritti salariali non pagati:

circostanza che nella specie non ricorre, sussistendo, quindi, l’obbligo del Fondo di garanzia ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1992.

4 – In definitiva, sulla base della cennata precisazione, il ricorso proposto dall’I.N.P.S. deve essere respinto e l’Istituto ricorrente stante la sua soccombenza – va condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso; condanna l’I.N.P.S. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 12,00 oltre a Euro 2.000,00 per onorario ed alle spese generali ed agli ulteriori oneri di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il giorno 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

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