Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10528 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/04/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 30/04/2010), n.10528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. D’AGOSATINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21450-2006 proposto da:

CASSA DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI E GLI ARCHITETTI

LIBERI PROFESSIONISTI – INARCASSA, elettivamente domiciliatA in ROMA,

VIA BOCCA LEONE N. 78, presso lo studio dell’avvocato CINELLI

MAURIZIO, che la rappresenta e difende per procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 9969/2006 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

18/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;

udito l’Avvocato NICOLINI CARLO ALBERTO per delega dell’Avv. CINELLI

e l’Avv. VESCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di precetto notificato in data 2.3.06 D.G.A., già direttore generale della Cassa di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri e gli Architetti Liberi Professionisti (INARCASSA), chiedeva il pagamento della somma di Euro 83.712,56, quale differenza a lui dovuta da detto Istituto per l’esecuzione di un verbale di conciliazione giudiziale raggiunta dinanzi al giudice del lavoro di Roma a conclusione di una controversia intercorsa tra di loro intercorsa.

2. Proponeva opposizione dinanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Roma INARCASSA, chiedendo di dichiarare l’illegittimità del precetto e l’insussistenza del diritto del D.G. di procedere ad esecuzione forzata per le somme ivi indicate.

3. Sospesa l’efficacia esecutiva del titolo e costituitasi parte creditrice, il giudice del lavoro con sentenza depositata il 18.5.06 riteneva inammissibile la domanda e rigettava il ricorso. Era, infatti, contestato dall’opponente un mero errore di calcolo nella determinazione del trattamento fiscale delle somme dovute, di modo che – a prescindere dal nomen iuris assegnato dall’opponente – era da ritenere proposta una opposizione agli atti esecutivi da proporre entro venti giorni dalla notificazione del precetto ex art. 617 c.p.c.. Essendo nella specie trascorso un termine superiore il giudice dichiarava inammissibile la domanda e rigettava il ricorso.

4. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione INARCASSA, cui risponde il D.G. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Preliminarmente deve rilevarsi l’inammissibilità del controricorso, non risultando essere la procura (pur indicata nell’intestazione) nè presente a margine del controricorso nè autonomamente depositata. Conseguentemente deve ritenersi non ammessa anche la memoria depositata ex art. 378 c.p.c..

6. Quanto al regime di impugnazione della sentenza, trattato in via preliminare dalla parte ricorrente (pagg. 10-11 del ricorso), deve rilevarsi che, a prescindere dalla qualificazione giuridica assegnata all’opposizione (all’esecuzione o agli atti esecutivi) non sorgono dubbi circa l’esattezza dello strumento del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. adottato da INARCASSA. All’epoca della pubblicazione della sentenza impugnata (18.5.06), infatti, erano non impugnabili tanto le sentenze pronunziate ai sensi degli artt. 615 e 616 c.p.c. (opposizione all’esecuzione), che quelle pronunziate ai sensi degli artt. 617 e 618 c.p.c. (opposizione agli atti esecutivi). A quella data, infatti, era vigente il testo dell’art. 616 c.p.c. introdotto dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14 (in vigore dal 1.3.06), il cui ultimo periodo prevedeva che la causa sul giudizio di opposizione all’esecuzione “… è decisa con sentenza non impugnabile”.

Essendo l’art. 618 c.p.c. rimasto immutato ed essendo detto ultimo periodo dell’art. 616 c.p.c. soppresso dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 49 solo con decorrenza dal 4.7.09, alla data del 18.5.06, le sentenze che decidevano sulle opposizioni, sia all’esecuzione che agli atti esecutivi, non era impugnabili e, quindi, erano non appellabili ma solo ricorribili ai sensi dell’art. 111 Cost..

7. Tanto premesso, il ricorso può essere così sintetizzato.

7.1. Con il primo motivo è dedotta violazione degli artt. 474, 615, 617 e 618 bis c.p.c. in quanto il giudice non avrebbe considerato, innanzitutto, che il titolo esecutivo è privo del requisito della liquidità del credito e, inoltre, che INARCASSA aveva contestato non la regolarità formale degli atti del processo esecutivo (art. 617 c.p.c.), ma il diritto dell’istante a procedere all’esecuzione forzata (art. 615 c.p.c.). Essendo la contestazione della liquidità del credito tipico oggetto di opposizione all’esecuzione, il giudice del merito avrebbe dovuto ritenere inapplicabile il termine di opposizione di cui all’art. 617 c.p.c. (venti giorni), trattandosi di termine applicabile alla sola opposizione agli atti esecutivi.

7.2. Con il secondo motivo è dedotta contraddittorietà di motivazione e travisamento dei fatti, in quanto il giudice di merito, non avrebbe coerentemente dato conto del contenuto dell’opposizione, atteso che pur prendendo atto che con essa si censurava la mancanza di liquidità del credito azionato, poi aveva contraddittoriamente affermato che la stessa deduceva un mero errore di calcolo, senza, invece, considerare che la sostanza della censura era l’erronea individuazione del regime fiscale del credito e non anche l’indicazione di un diverso importo da porre a contenuto del titolo.

7.3. Con il terzo motivo è dedotta violazione degli artt. 112, 615 e 617 c.p.c. per mancata pronunzia sulla domanda proposta dall’opponente, il quale aveva dedotto la mancanza del requisito della liquidità del credito ed aveva chiesto dichiararsi l’insussistenza del diritto di parte creditrice di procedere ad esecuzione forzata e non anche, come erroneamente ritenuto dal giudicante, un mero errore di calcolo. Anche ove fosse stata corretta questa lettura dell’atto introduttivo, in ogni caso avrebbe dovuto ritenersi contestato il diritto dell’istante di procedere all’esecuzione forzata per il maggiore importo, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., e legittimata l’opposizione all’esecuzione.

7.4. Con il quarto motivo è dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 429 c.p.c., comma 1, e art. 218 sexies c.p.c., in quanto, essendo stata la sentenza pronunziata in un procedimento assoggettato al rito del lavoro, del relativo dispositivo avrebbe dovuto essere data lettura in udienza, mentre invece dal verbale di causa emerge solamente che il giudicante ha trattenuto la causa in decisione e non si fa menzione di alcun altro adempimento (udienza 18.5.06). Tale omissione si porrebbe in evidente contrasto con le norme sopra menzionate, le quali richiedono esplicitamente che al termine della discussione ed all’esito della decisione, il giudice dia lettura del dispositivo di sentenza.

8. Il primi motivi, da trattare in unico contesto in quanto tra di loro strettamente collegati, sono fondati.

8.1. Con il verbale di conciliazione giudiziale redatto in data 8.2.06 le odierne parti in causa concludevano la controversia tra di loro insorta “pattuendo, a favore dell’ing. D.G., l’erogazione di un importo di Euro 470.000, al loro delle ritenute fiscali”.

INARCASSA, inoltre, offriva alla controparte, che accettava, “a titolo di transazione su tutte le pretese vantate per danno biologico, nonchè per danno esistenziale … la somma di Euro 150.000”. Le parti si davano reciprocamente atto che quest’ultima somma non era soggetta ad imposizione fiscale nè a contribuzione assicurativa.

INARCASSA corrispose a D.G. la somma di Euro 296.194 (pari al netto di Euro 470.000 detratti gli oneri fiscali quantificati nella misura del 36,98% del totale) oltre ad Euro 150.000, per totali Euro 446.194. D.G. (dato atto di un successivo arrotondamento) riteneva, invece, che la somma di Euro 470.000 dovesse essere assoggettata ad un diverso (ed inferiore) trattamento fiscale e, ritenendo solo parzialmente adempiuto il credito di controparte, notificò il titolo esecutivo (ovvero il verbale di conciliazione) unitamente all’atto di atto di precetto per Euro 83.712,56 (pari alla differenza tra quanto trattenuto dall’Istituto a titolo di ritenuta fiscale e quanto dal precettante ritenuto dovuto per lo stesso titolo).

8.2. Oggetto dell’opposizione all’esecuzione è un’azione di accertamento negativo della sussistenza del diritto posto a base dell’esecuzione minacciata od iniziata. La giurisprudenza di questa Corte ritiene che il criterio distintivo fra l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi si individua considerando che con la prima si contesta l’an dell’esecuzione, e cioè il diritto dell’istante a procedere ad esecuzione forzata per difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo (ovvero, nell’esecuzione per espropriazione, della pignorabilità dei beni), mentre con la seconda si contesta solo la legittimità dello svolgimento dell’azione esecutiva attraverso il processo, deducendosi l’esistenza di vizi formali degli atti compiuti o dei provvedimenti adottati nel corso del processo esecutivo e di quelli preliminari all’azione esecutiva (come il precetto, il titolo esecutivo e le relative notificazioni) (si veda tra le tante Cass. 6.4.06 n. 8112).

Alla stregua di tale criterio, va qualificata come opposizione all’esecuzione, e non agli atti esecutivi, l’opposizione proposta contro l’atto di precetto, con cui si deduca una questione concernente il diritto sostanziale del creditore a conseguire coattivamente la prestazione che non è stata spontaneamente adempiuta dalla parte debitrice, ponendosi in tal caso in discussione il diritto sostanziale di credito per come risulta indicato nel titolo dedotto nell’atto di precetto (v. Cass. 25.11.02 n. 16569, con riferimento al caso in cui l’opponente contestava la debenza di alcune somme richieste con l’atto di precetto e ritenute non dovute).

8.3. Con l’opposizione in esame INARCASSE sostenne che il titolo esecutivo (ovvero il verbale di conciliazione) non liquidava il valore netto delle somme dovute per il primo punto di transazione (per il quale era corrisposta la somma di Euro 470.000) e non forniva elementi per effettuare la liquidazione, così contestando il diritto della parte creditrice a procedere all’esecuzione per gli importi precettati. Sarebbe stato, dunque, compito del giudice dell’esecuzione, in forza dei principi sopra enunziati, procedere alla verifica della motivazione di diritto offerta dall’opponente a supporto della sua tesi, onde verificare se il calcolo del residuo credito richiesto rispondesse o meno ad esattezza.

Il giudice dell’opposizione non ha, invece, proceduto a questo accertamento in quanto si è fermato di fronte ad un dato meramente estrinseco, quale la non concordanza tra la quantificazione del credito effettuata dal creditore e quella effettuata dal debitore, senza indagare le ragioni (di mero diritto) poste a base della rilevata differenza. Il mero rilievo di tale discordanza ha condotto il giudicante all’erronea conclusione che ad essere contestato fosse non il diritto a procedere all’esecuzione nei termini precettati, ma il contenuto formale del precetto, e che parte opponente avesse proposto una ormai tardiva opposizione agli atti esecutivi.

I primi tre motivi di impugnazione sono, dunque, fondati. Il loro accoglimento comporta l’assorbimento del quarto motivo.

9. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e l’impugnata sentenza deve essere cassata, con rimessione al giudice dell’esecuzione il quale procederà a nuovo esame della causa facendo applicazione del seguente principio di diritto: il criterio distintivo fra l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi si individua considerando che con la prima si contesta Vati dell’esecuzione, e cioè il diritto dell’istante a procedere ad esecuzione forzata per difetto del titolo esecutivo (ovvero, nell’esecuzione per espropriazione, della pignorabilità dei beni), mentre con la seconda si contesta solo la legittimità dello svolgimento dell’azione esecutiva attraverso il processo, deducendosi l’esistenza di vizi formali degli atti compiuti o dei provvedimenti adottati nel corso del processo esecutivo e di quelli preliminari all’azione esecutiva (come il precetto, il titolo esecutivo e le relative notificazioni).

Al giudice di rinvio va rimessa anche la pronunzia sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Roma, giudice del lavoro, in diversa persona.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

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