Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10526 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. III, 13/05/2011, (ud. 25/02/2011, dep. 13/05/2011), n.10526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16815/2006 proposto da:

Z.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato TRICERRI Laura, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONELLO FERRANDI

TIZIANA giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIPOL COMPAGNIA ASSICURATRICE S.P.A., E.G.;

– intimati –

sul ricorso 20928/2006 proposto da:

COMPAGNIA ASSICURATRICE UNIPOL S.P.A. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore e Direttore Generale Avv. D.M.

C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 53,

presso lo studio dell’avvocato RUSSO CLAUDIO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BALLARDINI BRUNO giusta delega in

calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

Z.M., E.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 209/2005 della CORTE D’APPELLO di TRENTO –

Sezione Seconda, emessa il 3/5/2005, depositata il 09/06/2005, R.G.N.

270/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/02/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato ENRICO BALLARDINI (per delega dell’Avv. BRUNO

BALLARDINI);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 9/6/2005 la Corte d’Appello di Trento, rigettato quello proposto in via incidentale dalla sig. Z.M., accoglieva parzialmente il gravame interposto dalla società Unipol s.p.a. nei confronti della pronunzia Trib. Trento 11/5/2004 di condanna al pagamento in favore della prima della somma di Euro 249.000,00 a titolo di risarcimento di danni dalla medesima sofferti in conseguenza di sinistro stradale avvenuto il (OMISSIS) per fatto e colpa del sig. E.G., che alla guida del suo scooter, a bordo del quale unitamente al figlio minore era trasportata, ne perdeva il controllo e usciva di strada.

Ritenuto il concorso di colpa della Z. nella causazione del sinistro nella misura di 1/5, il giudice dell’appello per l’effetto riduceva l’importo liquidato dal giudice di prime cure ad Euro 199.200,00, oltre ad interessi, e conseguentemente condannava la medesima alla restituzione di quanto già a tale titolo corrispostole in eccedenza in esecuzione della sentenza di primo grado.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la Z. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la compagnia assicuratrice Unipol s.p.a., che propone altresì ricorso incidentale sulla base di 2 motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo la ricorrente in via principale denunzia “errore logico giuridico della motivazione” nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia affermato che “il trasporto dei due passeggeri ha indubbiamente creato un profondo perturbamento dell’equilibrio del mezzo”, per poi contraddittoriamente concludere che “pur essendo in tali condizioni, il mezzo condotto dall’ E. ha percorso 100 Km. Da quanto sopra risulta in modo evidente che, se ciò che ha causato l’incidente fosse stato lo squilibrio provocato dai passeggeri, l’incidente sarebbe avvenuto ben prima di quanto in effetti si è verificato”.

Lamenta che la “sentenza … omette completamente di prendere in considerazione al fine di valutarlo ed, eventualmente respingerlo, quanto sottolineato dall’odierno ricorrente in atto d’appello e cioè che non solo non vi è alcuna prova che il mezzo sia caduto a causa della carenza di equilibrio ma che, anzi, dalle risultanze istruttorie risulta provato il contrario. Innanzitutto il conducente stesso ha ammesso di aver perso il controllo del mezzo, ma non ha mai dichiarato di averlo perso a causa della presenza dell’attrice o di qualche movimento inconsulto da questa provocato mentre al contrario … il fatto che la presenza della Z. non abbia di per sè provocato lo sbandamento del mezzo è anche dimostrato dal fatto oggettivo che è stato percorso quasi un centinaio di chilometri senza particolari difficoltà prima che l’incidente si verificasse”.

Si duole che “il punto in cui la contraddizione raggiunge il paradosso è … dato dalle sequenze in cui la Corte d’Appello dapprima afferma ripetutamente che la colpa del sinistro non può che essere addebitabile al conducente, per giungere poi alla conclusione, opposta, del concorso di colpa dell’odierna ricorrente”.

Con il 2^ motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2054 e 2059 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia ritenuto il proprio concorso di colpa nella perdita di controllo del mezzo da parte del conducente, non essendovi “alcuna prova che il mezzo sia caduto a causa della carenza di equilibrio”, laddove l'”incidente è avvenuto a causa dello slittamento della ruota anteriore per il fondo stradale viscido, come ha dichiarato il conducente del veicolo stesso”.

Con il 1^ motivo la ricorrente in via incidentale denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia “errato nell’applicazione delle norme che regolano il nesso di causalità (art. 2043 c.c.) e nella valutazione delle risultanze probatorie, con ciò disattendendo il primo motivo di appello della Compagnia Assicuratrice Unipol S.p.A. di cui all’atto di appello”.

Lamenta non essersi considerato che “il protrarsi del viaggio per scelta deliberata e reiterata ogni volta che si attraversava un paese successivo, ed addirittura la città di Trento, ha indubbiamente aggravato il rimprovero di colpa, spezzando il nesso causale tra la condotta dell’ E. ed il danno”.

Con il 2^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2055, 2056 e 1227 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito, erroneamente valutando le emergenze probatorie, non abbia ritenuto la responsabilità esclusiva, o quantomeno prevalente della Z., nella causazione del sinistro de quo, per essere volontariamente salita sullo scooter assieme al figlio, cui faceva indossare “l’unico casco disponibile, oltre a quello del guidatore, dimostrando di avere ben chiaro il rischio che comportava viaggiare in tre sullo scooter”, facendo altresì “caricare il proprio borsone di traverso sullo scooter” e rendendosi conto “delle difficoltà di guida dell’ E. essendo lei stessa titolare di patente di guida”, ponendo quindi in essere una condotta palesante “una vera e propria accettazione del rischio”, tanto più che anzichè scendere al primo centro urbano permaneva a bordo dello scooter “per oltre 100 km”.

I motivi dei ricorsi principale ed incidentale, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati da entrambe le odierne ricorrenti.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come le medesime facciano rispettivamente richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all'”atto di citazione di data 30.10.01″; all’atto di costituzione nel giudizio di primo grado della società Unipol s.p.a.; alla “sentenza n. 386/04” del “Tribunale di Trento”; agli atti di appello principale ed incidentale; alle “osservazioni … sottolineate nel corso del primo grado”; a quanto “dichiarato” dal “conducente del veicolo”; alla “C.T.U.”, la ricorrente principale; ai “documenti dimessi in causa”;

all'”assunzione dei mezzi istruttori effettuata in primo grado”; alle “risultanze probatorie”; al “primo motivo di appello”, al “secondo motivo di appello”; alle “conclusioni dell’atto di citazione d.d. 15 ottobre 2001”, la ricorrente in via incidentale), di cui lamentano la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.

A tale stregua non pongono questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161 ).

Quanto al 1^ motivo del ricorso principale va in ogni caso osservato che la ricorrente non formula invero denunzia di error in procedendo ex art. 112 c.p.c., nè censura debitamente le risultanze probatorie ex artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non indicando quale prova, e sotto quale profilo, sarebbe stata nel caso non o mal valutata.

Censura ex artt. 115 e 116 c.p.c., deve ulteriormente sottolinearsi, che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità è invero apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e non anche – come nella specie invocato dalla ricorrente in via incidentale – in termini di violazione di legge, dovendo emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

Relativamente alle censure mosse dalle ricorrenti, sia principale che incidentale, in ordine al concorso di colpa nella causazione del sinistro dalla corte di merito riconosciuto a loro rispettivo carico nella misura percentuale determinata, va osservato che i giudici di merito hanno nel caso fatto invero piena e corretta applicazione del principio da questa Corte affermato secondo cui allorquando la messa in circolazione dell’autoveicolo in condizioni di insicurezza (e tale è la circolazione di un ciclomotore con a bordo addirittura come nella specie tre persone, di cui uno minore d’età, in violazione dell’art. 170 C.d.S.) è ricollegabile all’azione o omissione sia del conducente (che prima di iniziare o proseguire la marcia deve controllare che essa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e sicurezza) che del trasportato, emerge una fattispecie caratterizzata dal reciproco consenso dei medesimi alla circolazione, con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell’altro, e accettazione dei relativi rischi, integrante un’ipotesi di cooperazione colposa dei predetti nella condotta causativa del fatto evento dannoso che, a parte i profili di responsabilità per gli eventuali danni arrecati a terzi disciplinati dall’art. 2054 c.c., obbliga il conducente del veicolo al risarcimento dei danni sofferti dal trasportato in conseguenza del sinistro, atteso che il comportamento di quest’ultimo nell’ambito dell’indicata cooperazione non vale ad interrompere il nesso causale tra la relativa condotta del conducente e il danno, nè ad integrare un valido consenso del trasportato alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili (cfr. Cass., 22/5/2006, n. 11947; Cass., 11/3/2004, n. 4993. V. anche Cass., 18/9/2008, n. 23851).

La ricostruzione della dinamica di un incidente stradale, delle condotte poste in essere dai soggetti coinvolti, della sussistenza della relativa colpa (ovvero del loro atteggiamento doloso) ed efficienza causale, costituisce d’altro canto giudizio di fatto, spettante al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione (v. Cass., 22/5/2006, n. 11947; Cass., 17/10/1984, n. 5240; Cass., 8/23/1974, n. 364).

Orbene, diversamente da quanto dalle odierne ricorrenti, principale ed incidentale, sostenuto, atteso che, all’esito di precedente sinistro stradale in cui era rimasta coinvolta l’autovettura condotta dalla Z., è rimasto accertato, e la corte di merito ne ha dato congrua motivazione, che il sig. M.G., “malgrado non fosse abilitato al trasporto di passeggero, si offriva di trasportare, fino a (OMISSIS), la Z. ed il figlio. A quest’ultimo veniva fatto indossare il solo casco disponibile, mentre sullo scooter veniva anche caricato un borsone. Alle 4,10 di notte, il conducente dello scooter perdeva il controllo del mezzo e tutti i passeggeri del piccolo scooter rovinavano a terra; in particolare la Z. soffriva le lesioni indicate nella consulenza tecnica in atti”, coerentemente la corte di merito ha osservato che “l’avere accettato il passaggio sullo scooter dell’ E., sia pure nelle condizioni di spavento e difficoltà susseguenti al primo incidente ed anche per la necessità di non rimanere sola in piena notte con il figlio di 11 anni, se non può considerarsi … elemento di causa esclusiva dell’evento, va stimato, quanto meno, fatto concorrente alla verificazione dell’evento. Non può tacersi, infatti, che il trasporto dei due passeggeri e di un borsone su uno scooter, comunque di piccole dimensioni, ha indubbiamente creato un profondo turbamento dell’equilibrio del mezzo perfettamente evidente a qualunque conducente di mezzo (la Z. era abilitata alla guida), la stessa Z., nel far indossare al figlio il solo altro casco disponibile, ha mostrato di avere perfettamente intuito il rischio che il trasporto rappresentava in ragione della complessiva inidoneità del mezzo e delle concrete modalità attraverso le quali il trasporto veniva eseguito”, pervenendo quindi a concludere che “la concitazione, lo spavento e la preoccupazione del momento hanno indotto la Z. ad un comportamento non razionale che ha concorso a determinare l’evento sia pure senza che ciò possa essere valutato quale unica causa dell’occorso … infatti … la responsabilità della condotta di guida del mezzo era interamente a carico dell’ E. che ha accettato di trasportare, con eccessiva generosità (e grande imprudenza) la Z. ed il figlio con il bagaglio; ha percorso un tratto di strada ben superiore ad ogni esigenza di superamento dell’emergenza; ha condotto il mezzo in modo imperito perdendo l’equilibrio. Complessivamente ritiene la Corte che a carico della Z. possa essere riconosciuto un concorso di colpa pari ad un quinto, essendo del tutto prevalente la colpa del conducente del mezzo che aveva la piena responsabilità della guida ed il controllo degli eventi”.

Emerge dunque a tale stregua evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni delle odierne ricorrenti (principale ed incidentale), oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dal medesimo operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., esse in realtà sollecitano, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr.

Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto dei ricorsi.

Attesa la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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