Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10525 del 13/05/2011
Cassazione civile sez. III, 13/05/2011, (ud. 25/02/2011, dep. 13/05/2011), n.10525
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto – Presidente –
Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 7114/2006 proposto da:
R.D. (OMISSIS), R.M.
(OMISSIS), B.M. (OMISSIS),
elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso lo studio
dell’avvocato MACRO RENATO, rappresentati e difesi dall’avvocato
BALDASSARRE Alessandro giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS), elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato
PRASTARO Ermanno, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato MOLINARI RAFFAELE giusta delega a margine del
controricorso;
L’ALCO S.P.A. (OMISSIS) in persona del suo legale rappresentante
Signor C.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato SCRIVO PASQUALE, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato IOLITA MASSIMO giusta
delega a margine del controricorso;
– controricorrenti –
e contro
S.E.;
– intimato –
sul ricorso 9919/2006 proposto da:
S.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO,
che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARINI STEFANO,
MALAGUTI TITO giusta delega a margine del controricorso e ricorso
incidentale;
– ricorrente –
contro
GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato PRASTARO ERMANNO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MOLINARI RAFFAELE
giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
B.M., R.M., R.D.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 407/2005 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,
Sezione Seconda Civile, emessa il 2/2/2005, depositata il 17/05/2005,
R.G.N. 558/2002+591/2 002+617/2002;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
25/02/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
udito l’Avvocato ERMANNO PRASTARO;
udito l’Avvocato GUIDO ROMANELLI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i
ricorsi.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 17/5/2005 la Corte d’Appello di Brescia, in parziale accoglimento dei gravami interposti dai sigg.ri B.M., M. e R.D., S.E., dalla società Assicurazioni Generali s.p.a., nonchè dall’appellante in via incidentale società L’Alco s.p.a., e in parziale riforma della pronunzia Trib. Brescia 19/4/2002, dichiarava la concorrente responsabilità nella misura di un terzo ciascuno dello S., della società L’Alco s.p.a. e del sig. R.G. nella causazione del sinistro avvenuto il (OMISSIS), all’esito del quale quest’ultimo, mentre stava utilizzando una idropulitrice di proprietà della società L’Alco s.p.a. per il lavaggio della propria autovettura, decedeva.
Per l’effetto, condannava quest’ultima e lo S., titolare dell’impresa produttrice della idropulitrice in questione che ne aveva effettuato la revisione il giorno prima dell’evento mortale, al pagamento in via solidale della complessiva minor somma di Euro 272.400,00, oltre ad interessi, in favore della B. e dei R.. Condannava altresì la società Assicurazioni Generali s.p.a. a manlevare la società L’Alco s.p.a. di quanto a tale titolo a suo carico, provvedendo altresì alla regolazione delle spese.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg.ri B.M., M. e R.D. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.
Resistono con separati controricorsi le società L’Alco s.p.a. e Assicurazioni Generali s.p.a. nonchè il sig. S., il quale spiega altresì ricorso incidentale sulla base di 2 motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso la società Assicurazioni Generali s.p.a..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1^ motivo i ricorrenti denunziano insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si dolgono che la corte di merito abbia posto a base della propria decisione, “travisando la realtà processuale”, la “indimostrata e apodittica … evidenza di violazioni di norme generali di sicurezza e di prudenza sulle quali fragilmente poggia il presunto concorso di colpa della vittima”.
Lamentano che la “contraddittorietà della decisione appare in tutta la sua dimensione solo che si consideri l’affermata e dimostrata esclusione del caso fortuito di cui all’art. 2051 c.c.”, giacchè “il solo fatto che non ricorre il caso fortuito e l’aver accertato che la morte non si sarebbe verificata ove il sistema di messa a terra fosse stato efficiente consentivano di affermare la responsabilità piena ed esclusiva de L’Alco e dello S.”.
Con il 2 motivo denunziano violazione del D.P.R. n. 547 del 1995, della L. n. 791 del 1977, della L. n. 186 del 1968, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè illogicità della motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si dolgono che erroneamente la corte di merito non abbia ritenuto lo S. e la società L’Alco s.p.a. quali esclusivi responsabili dell’evento mortale de quo, nonostante l’accertata violazione delle disposizioni in tema di legislazione antinfortunistica, come emergente dalla perizia svolta nel processo penale a carico del primo e dagli altri atti del giudizio.
Con il 3 motivo denunziano violazione dell’art. 2059 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si dolgono che la corte di merito abbia liquidato alla moglie del defunto R. un ammontare inferiore L. rispetto ai figli, affermando che mentre la “perdita del padre appare particolarmente grave, perchè sopravvenuta quando più è necessaria, anche per lo sviluppo armonico della personalità, la figura di riferimento e di identificazione maschile”, la “perdita del coniuge, pur dolorosa, non ha effetti altrettanto dirompenti e proprio la giovane età della moglie consente di ipotizzare in futuro la presenza di un altro compagno o comunque una più agevole elaborazione del lutto”.
Lamentano che la corte di merito ha altresì proceduto ad erroneo calcolo della rivalutazione monetaria nonchè omesso la condanna al pagamento degli interessi.
Lamentano, ancora, che la corte di merito non ha tenuto in considerazione, ai fini liquidativi de qua, degli ammontari portati dalle tabelle di Milano.
Con il 1^ motivo il ricorrente in via incidentale denunzia violazione dell’art. 2730 c.c., e segg., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che la corte di merito abbia ritenuto la sua responsabilità liberamente apprezzando quanto dichiarato in altro processo, senza tenere pertanto conto di “tutto quanto … dichiarato, e, quindi, anche delle circostanze esimenti”.
Con il 2^ motivo denunzia violazione dell’art. 2043 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che la corte di merito abbia ritenuto la propria responsabilità come produttore attribuendo “al privato costruttore compiti propri del legislatore, e da questi solo successivamente attuati (con l’adozione del D.P.R. n. 224 del 1988)”.
I motivi dei ricorsi principale ed incidentale, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.
Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).
E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.
Cass., 4/6/1999, n. 5492).
Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.
Cass., 25/2/2004, n. 3803).
Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).
La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).
Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dagli odierni ricorrenti, sia in via principale che in via incidentale.
Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come le medesime facciano rispettivamente richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., agli “atti di causa”; alla “perizia dell’ing. D.”; alle dichiarazioni del “teste L.”;
all'”osservazione … del consulente”; alle “operazioni peritali del maggio 1995”; alla “perizia dell’ing. Z. (CTU nel processo penale contro S. e riportata dall’ing. D.)”; alla “indagine iniziata solo nel 1997”; alla “manomissione avvenuta sull’impianto elettrico del locale caldaia ALCO dove era collegata la pulivapor”; alla denunzia penale, i ricorrenti in via principale;
alle “bolle accompagnatorie (OMISSIS) (doc. 2) e 22.2.91 (doc. 3)”;
alla “fattura (OMISSIS) (doc. 4)”; all'”incarico di cui all’ordine”;
alle “dichiarazioni che lo S. ebbe a rendere in altro processo”, il ricorrente in via incidentale), di cui lamentano la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.
A tale stregua non pongono questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/12/1995, n. 1161).
Con riferimento al 1^ motivo del ricorso principale va in ogni caso osservato che il secondo profilo di censura prospettato dai ricorrenti attiene invero piuttosto a censura di violazione di norme di diritto che non a vizio di motivazione.
Laddove in ordine al 3^ motivo non può sottacersi, quanto alla rivalutazione monetaria, che non risulta invero indicato l’errore asseritamente commesso nel relativo calcolo; quanto agli interessi, non risulta formulata denunzia di error in procedendo ex art. 112 c.p.c..
Relativamente al 2^ motivo del ricorso in via incidentale non può infine non evidenziarsi che non risulta in realtà sviluppata censura alcuna, sicchè esso non può nemmeno considerarsi propriamente tale.
Emerge dunque evidente, alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto, come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni degli odierni ricorrenti (principale ed incidentale), oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, si risolvono in realtà mere doglianze circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro rispettive aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dal medesimo operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., essi in realtà sollecitano, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr.
Cass., 14/3/2006, n. 5443).
All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto dei ricorsi.
Le ragioni della decisione, avuto riguardo al rispetto del principio della ragionevole durata del processo, spiegano la mancata concessione del termine per la rinnovazione della notificazione del ricorso incidentale nei confronti della società L’Alco s.p.a.
richiesta (peraltro pure in violazione del principio di autosufficienza) con la memoria ex art. 378 c.p.c., dallo S. (cfr. Cass., 22/3/2010, n. 6826; Cass. 8/2/2010, n. 2723).
Attesa la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011