Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10525 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 03/06/2020), n.10525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25424-2018 proposto da:

B.T.G., B.L., nella qualità di eredi di

G.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA AUGUSTO AUBRY

1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MALDONATO, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

B.F.M., B.F.L., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GIROLAMO BENVENUTI 19, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMILIANO ZUCCARO, rappresentati e difesi

dall’avvocato PELLEGRINO VITTORIO NAPOLITANO;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 689/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 13/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO

GABRIELE.

Fatto

RILEVATO

che:

B.M.C., quale genitore esercente la responsabilità sui figli minori B.F., B.M. e B.F.L. otteneva dal Tribunale di Sala Consilina, sezione distaccata di Sapri, il decreto ingiuntivo n. 18 del 2001 per l’importo di Lire 100 milioni, oltre interessi, in danno di G.G., a titolo di restituzione di un mutuo concluso con il defunto B.A.;

avverso tale decreto proponeva opposizione G.G. e si costituiva B.M.C.;

il Tribunale di Sala Consilina, con sentenza del 20 gennaio 2009 rigettava l’opposizione rilevando che il credito si fondava su una scrittura costituente ricognizione di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c. risalente all’anno 1996 con la quale B.A. riconosceva di avere ricevuto la somma oggetto di ingiunzione;

avverso tale decisione proponeva appello G.G., adducendo l’errata interpretazione della scrittura privata intervenuta tra l’appellante e il figlio, B.A., che non conteneva una ricognizione di debito, a sua volta fondata su un contratto di mutuo, ma la semplice indicazione della somma versata da B.A. per procedere alla ristrutturazione della casa familiare, con impegno delle parti di tenerne conto in sede di futura divisione ereditaria, ma senza alcun obbligo di restituzione. Si costituiva la controparte e chiedeva il rigetto del gravame;

con sentenza del 13 luglio 2017 la Corte d’Appello di Salerno rigettava l’impugnazione;

avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione B.L. e B.G.T., quali eredi di G.G. affidandosi a tre motivi che illustrano con memoria. Depositano memoria difensiva B.F.M. e B.F.L..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1813 e 1988 c.c. e l’errata interpretazione della scrittura privata del 1996. Secondo la giurisprudenza di legittimità sull’attore gravava la prova dell’intero fatto costitutivo della pretesa riguardante anche la dimostrazione dell’esistenza di un titolo giuridico implicante anche l’obbligo della restituzione, oltre al fatto storico dell’avvenuta consegna della somma. Al contrario, l’opponente aveva negato che la consegna della somma di denaro, non disconosciuta, era avvenuta a titolo di mutuo. Inoltre, la scrittura privata del 1996 non era stata siglata da B.A. e tale eccezione sarebbe stata ribadita in appello e non presa in considerazione dalla Corte. A prescindere da ciò – si sostiene – la ricognizione di debito produce effetti solo quando la dichiarazione negoziale sia indirizzata al creditore, mentre nel caso di specie, la scrittura avrebbe avuto l’unica funzione di certificare l’esistenza di un credito. Il giudice di merito non avrebbe dovuto valorizzare l’utilizzo del termine “mutuo”, ma approfondire il tema della qualificazione giuridica del rapporto. Sotto tale profilo difetterebbe l’assunzione di un obbligo restitutorio poichè tale elemento difetterebbe nella citata scrittura;

con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, rappresentato dal mancato apprezzamento della clausola posta a chiusura della citata scrittura privata (“tanto perchè ne consti ad ogni eventuale futuro legale effetto e conseguenza”) che aveva la specifica funzione di rendere opponibili, nei confronti degli altri figli, le ragioni vantate dai germani, che nell’occasione anticiparono le somme in favore della madre;

con il terzo motivo si deduce, ai sensi art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione l’art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 1813 c.c. A seguito dell’accoglimento dei precedenti motivi avrebbe dovuto escludersi la prova, in capo alla opposta, della consegna delle somme a titolo di mutuo;

il primo motivo, quanto ai punti 1, 1.1. e 1.2. le deduzioni sul riconoscimento del debito trascurano che la Corte territoriale ha rimarcato che nella scrittura si parla espressamente di mutuo. Sul punto 1.2.1. le censure sono dedotte violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, e non si fondano sul rispetto dei criteri di ermeneutica. Sotto il primo profilo, parte ricorrente non ha allegato di avere sottoposto al giudice di appello la questione relativa alla sottoscrizione della dichiarazione del 1996 di cui la Corte territoriale non si occupa (non può ritenersi sufficiente l’accenno contenuto nella nota 1: “cfr pagina 4: le evidenze della scrittura restituiscono il difetto, in primo luogo, della sottoscrizione del mutuante”). Per il resto, la censura pone un problema di interpretazione della dichiarazione senza richiamare i criteri di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. (la citazione della massima di cui a Cass. 244212015, non costituisce deduzione del motivo);

– l’interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito ed è insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica ed assistita da congrua motivazione, potendo il sindacato di legittimità avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì:

– solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v. Cass. 31/03/2006, n. 7597; Cass. 01/04/2011, n. 7557; Cass. 14/02/2012, n. 2109; Cass. 29/07/2016, n. 15763);

– pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo, e con quali considerazioni, il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 09/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715);

– di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22/02/2007, n. 4178; Cass. 03/09/2010, n. 19044);

i ricorrenti, sul punto 1.2.2, si limitano, peraltro, ad esporre solo una diversa alternativa qualificatoria della scrittura, tra l’altro appoggiata su un apprezzamento extratestuale del tutto assertorio;

sul punto 1.3., una volta consolidata la qualificazione della scrittura come contratto di mutuo, l’obbligo restitutorio costituisce la conseguenza fisiologica e non sarebbe stata necessario prevedere tale effetto negoziale;

analoghe considerazioni riguardano il secondo motivo, che coinvolge un problema d’interpretazione negoziale e non di omessa valutazione di un fatto storico ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (come indicato), perchè il testo della scrittura non è il fatto storico omesso di cui parla la norma;

la terza censura resta assorbita per la sorte dei primi due, essendo espressamente enunciato come ad essi consequenziale. Il contenuto della memoria non aggiunge elementi di novità rispetto alle considerazioni che precedono;

la costituzione con memoria dei resistenti è irrituale e, dunque, essi non hanno diritto alle spese;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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