Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1052 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 17/01/2020), n.1052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

N.M., rappr. e dif. dall’avv. Alessandro Particò,

alessandropratico.pec.ordineavvocatitorino.it, come da procura in

calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Brescia 17.10.2018, cron.

4185/2018, R.G. 36/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 19.12.2019;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta Decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. N.M. impugna il decreto Trib. Brescia 17.10.2018, cron. 4185/2018, R.G. 36/2018 che ha rigettato il suo ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. il tribunale ha: a) negato la attendibilità della narrazione del ricorrente, perchè generica e contraddittoria; b) escluso che fossero stati delineati motivi di persecuzione reale e che nel Paese di provenienza, il Gambia, sussistesse conflitto armato; c) ritenuto non praticabile la comparazione richiesta, rispetto alla vulnerabilità, per la verifica circa il diniego di esercizio di diritti umani fondamentali, essendo in sè insufficiente e comunque limitato anche l’inserimento sociale nel Paese d’accoglienza;

3. il ricorso antepone due motivi di censura, poi sviluppati in quattro proposizioni critiche.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il ricorso enuncia dapprima due motivi, per poi descrivere quattro censure; con il primo e secondo motivo si contesta, anche per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2-6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 2-3 CEDU, la effettività della motivazione del decreto, avendo il tribunale mal applicato la regola di cooperazione istruttoria ed errato nella valutazione di inattendibilità del richiedente, ciò anche in relazione al vizio di motivazione; con una terza censura si contesta l’omessa concessione della protezione sussidiaria ed infine, in una quarta proposizione critica, si censura il limite di motivazione del tribunale nel diniego della protezione umanitaria;

2. i motivi, da trattare in via congiunta per la loro connessione, sono inammissibili già per estraneità delle censure rispetto alla più ordinata ratio decidendi sulla attendibilità del ricorrente, motivatamente esclusa dal tribunale in ragione di un’articolata e motivata analisi di contraddizioni, lacune e inverosimiglianze di tutte le dichiarazioni rese nel procedimento;

3. tali motivi sono anche generici, per la parte in cui censurano la decisione quanto alla negata protezione sussidiaria; per un verso il tribunale ha fornito un ampio quadro giustificativo dell’inattendibilità della narrazione e altrettanto correttamente è stato dato conto della provenienza del ricorrente da Paese (Gambia) non interessato da conflitto generalizzato, alla luce di adeguate fonti (COI); nessuna delle predette statuizioni è stata specificamente contestata; la sintesi delle enunciazioni valutative cui è giunto il decreto non permette pertanto una diversa disamina, già per i limiti redazionali del ricorso; il decreto ha fatto applicazione del principio, cui il Collegio intende dare continuità, per cui “il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019), circostanza nella specie positivamente esclusa e cui non rimedia una diversa e contraddittoria finale messa a punto dei dettagli (Cass. 20580/2019);

4. va inoltre ricordato, ancora sul punto, che “in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass. 4892/2019, 18446/2019); in ogni caso il ricorrente non ha allegato, se non in modo generico, alcuna classe di impedimenti, fatti valere in giudizio ed erroneamente trascurati, giustificanti i limiti del proprio corredo probatorio o contributo istruttorio;

5. escludendo ognuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, il tribunale ha in particolare negato l’emersione di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona per violenza indiscriminata, anche ai sensi della lett. c) art. cit.; invero, la stessa “nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 13858/2018, 18306/2019);

6. la censura sul diniego di protezione umanitaria infine è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente e potendosi aggiungere che l’odierna censura è inammissibile anche per genericità e perchè si risolve in un dedotto vizio di motivazione, oltre il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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