Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10519 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 03/06/2020), n.10519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22056-2018 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

BRUNO EMANUELE BRUNO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, RAGIONERIA TERRITORIALE

DELLO STATO DI BARI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 38/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 11/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO

GABRIELE.

Fatto

RILEVATO

che:

con ricorso del 27 febbraio 2015, D.A. proponeva opposizione avverso l’ordinanza di ingiunzione del 27 gennaio 2015 con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze contestava la violazione del D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 49, comma 6, sul presupposto che l’opponente avesse emesso un assegno bancario all’ordine del traente “me medesimo” e girato ad altro soggetto. L’opponente assumeva la nullità dell’ordinanza per omessa indicazione della data di accertamento della violazione, il superamento del termine di 90 giorni per la notifica, l’assenza del parere della Commissione antiriciclaggio ed il difetto dell’elemento psicologico del dolo o della colpa a carico della stessa;

si costituiva il Ministero insistendo per la legittimità del procedimento di accertamento;

il Tribunale di Lecce, con sentenza del 21 gennaio 2016, riteneva infondati i motivi di opposizione e disponeva, comunque, la riduzione della sanzione, da Euro 3000 ad Euro 110, pari alla misura del 5% dell’importo dell’assegno trasferito, sulla base di un parere della Commissione Consultiva Antiriciclaggio del 24 marzo 2004, che determinava in tale percentuale il minimo della sanzione. Conseguentemente rigettava il ricorso, annullava l’ordinanza di ingiunzione e rideterminava la sanzione irrogata compensando interamente le spese processuali;

avverso tale decisione proponeva appello il Ministero dell’Economia e delle Finanze con ricorso del 30 maggio 2016, cui resisteva D.A. che spiegava appello incidentale per ottenere il totale annullamento della ordinanza opposta;

la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza dell’11 gennaio 2018 accoglieva l’appello principale e confermava il rigetto dell’opposizione, revocando la statuizione relativa alla rideterminazione della sanzione e rigettava l’appello incidentale con condanna di D.A. al pagamento delle spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione D.A. affidandosi a due motivi illustrati da memoria. L’ente intimato non svolge attività processuale in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce l’illegittimità della sentenza relativamente al capo che riguarda il parere della Commissione Consultiva Antiriciclaggio e la violazione del D.P.R. n. 148 del 1988, art. 32, del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 114, art. 1 e del D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 60. La ricorrente aveva proposto appello incidentale insistendo per la nullità del decreto in quanto l’ente, nell’emettere il provvedimento, avrebbe violato il procedimento di accertamento, non avendo richiesto il parere della Commissione Consultiva previsto come obbligatorio ai sensi del citato D.Lgs., art. 60. Sotto tale profilo non avrebbe rilievo l’utilizzo di una formula di stile contenuta nel decreto medesimo (“udito il parere della commissione di cui al D.P.R. 14 maggio 2007, n. 114, art. 1”). Si tratterebbe di un parere dell’anno 2004, ma riferito alla precedente normativa in materia che sarebbe stata modificata dal D.Lgs. n. 231 del 2007;

con il secondo motivo si lamenta l’illegittimità della sentenza relativamente al capo che pone le spese e competenze a carico della appellante in applicazione del principio di soccombenza. Al contrario la Corte salentina avrebbe dovuto accogliere l’appello incidentale e provvedere diversamente sulle spese;

preliminarmente va rilevato che il ricorso è stato notificato irritualmente all’Avvocatura distrettuale e che ricorrerebbero le condizioni per ordinare il rinnovo della notifica, ma a tanto non si provvede perchè, per quello che si dirà, il ricorso è inammissibile.

a prescindere dall’irrituale formulazione del ricorso che, con riferimento a entrambe le doglianze, non individua nessuna delle ipotesi tassative previste all’art. 360 c.p.c., il primo motivo è dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, riguardo al mancato espletamento di atti procedimentali previsti dal D.Lgs. n. 56 del 2004 e successive modifiche, non avendo il ricorrente allegato o documentato tale deficit, a fronte di un chiaro dato testuale contenuto nel decreto;

in particolare non si riproduce o indica l’atto cui si fa riferimento e comunque non lo si localizza all’interno del fascicolo di legittimità;

il motivo si risolve, poi, nella postulazione che, quanto indicato nel provvedimento di irrogazione della sanzione circa l’esservi stato il parere, sarebbe una mera formula di stile. Affermazione del tutto assertoria e dunque inidonea ad assolvere la funzione di idonea acritica;

infine, non è criticata la ratio decidendi distinta ed aggiuntiva con cui la sentenza ha, comunque, escluso la lesione del diritto di difesa e, dunque, una nullità della sanzione;

la seconda censura non è un motivo ed il contenuto della memoria non aggiunge elementi di novità rispetto alle considerazioni che precedono;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; nulla per le spese poichè la parte intimata non ha svolto attività processuale in questa sede. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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