Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10515 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/04/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 30/04/2010), n.10515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12720-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

N.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato LUBERTO ENRICO, che la

rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

C.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA

76, presso lo studio dell’avvocato SELVAGGI CARLO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato BIANCHI ALBERTO, giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 615/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 05/05/2006 R.G.N. 978/04 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega PESSI ROBERTO;

udito l’Avvocato LUBERTO ENRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per: estinzione per N.,

accoglimento per C..

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Firenze, con sentenza depositata il 5 maggio 2006, ha rigettato, dopo avere riunito i procedimenti, le impugnazioni proposte dalla società Poste Italiane avverso le decisioni di primo grado, che avevano dichiarato la nullità della clausola di apposizione del termine ai due contratti di lavoro a tempo determinato, intercorsi fra quella società ed N.E. e D.C., stipulati per l’una con decorrenza dal 11 aprile 2000 e per l’altra dal 25 giugno 1998. La Corte territoriale ha inoltre condannato l’azienda al pagamento delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora, come rispettivamente precisata per le due lavoratrici.

La sentenza impugnata è pervenuta a tale conclusione, dopo aver rilevato che l’assunzione disposta per N. per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane, concerneva un periodo oltre il limite temporale del 30 aprile 1998, previsto dall’accordo integrativo 25 settembre 1997 e dai successivi accordi attuativi, e risultava slegata, come del resto il contratto della C., assunta nel giugno 1998 per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, da qualsiasi effettiva e verificabile esigenza di tipo straordinario; la società non aveva allegato alcun elemento per individuare l’impianto al quale era stata assegnata la C., nè la situazione dell’organico nell’estate del 1998, nè peraltro erano stati mai indicati i lavoratori in ferie che la medesima lavoratrice era stata chiamata a sostituire.

Per la cassazione della detta sentenza ha proposto ricorso la società con quattro motivi.

Le intimate hanno resistito con distinti controricorsi.

La società ha depositato rinuncia al ricorso nei confronti di N.E..

Costei e la società hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Attesa la rituale rinuncia al ricorso nei confronti della resistente N., va dichiarata l’estinzione del giudizio riguardo alla medesima lavoratrice, i con compensazione delle spese del giudizio di cassazione conformemente a quanto disposto nell’accordo transattivo intervenuto fra le stesse parti ed allegato alla rinuncia.

Prima di passare all’esame del ricorso principale per la parte che riguarda l’altra resistente, per la quale permane la controversia, si deve rilevare l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dalla C. sotto il profilo dell’invalidità della procura al difensore, in quanto proveniente da un procuratore generale alle liti, il responsabile della Direzione Centrale Risorse Umane ed Organizzazione di Poste Italiane s.p.a., e non dal legale rappresentante della società, non indicato nella procura. Il testo di questa, riportato a margine del ricorso, è il seguente: “Il sottoscritto dott. P.C., in qualità di Responsabile della Direzione Centrale Risorse Umane ed Organizzazione di Poste Italiane s.p.a., in virtù dei poteri conferitigli dal Presidente Legale Rappresentante della società con procura per atto notaio Antonio Ioli di Roma in data 14.2.2007 (repertorio n. 25235 raccolta n. 9149, reg. 16.2.2007) conferisce procura all’avv. prof. Roberto Pessi …” e il riferimento specifico al Presidente della società consente la verifica dei poteri di rappresentanza dello stesso, indicati nella delega notarile richiamata nella procura ed ancora nell’intestazione dell’atto. Inoltre la procura notarile è posteriore alla sentenza impugnata, per cui quella successiva rilasciata a margine del ricorso al difensore, dal Responsabile della Direzione Centrale Risorse Umane e Organizzazione riveste il carattere della specialità richiesto dall’art. 365 cod. proc. civ., a nulla rilevando peraltro la dedotta mancanza nella procura della indicazione della sentenza impugnata, in quanto essa, apposta a margine del ricorso, fa corpo con l’atto.

Con i primi due motivi di ricorso, che presentano la stessa rubrica, si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 1362 e ss. cod. civ., nonchè vizio di motivazione. Si critica la sentenza impugnata perchè, sulla premessa della natura eccezionale della clausola di apposizione del termine, ha ritenuto, disapplicando il denunciato art. 23, la sussistenza di limiti temporali, imposti alla contrattazione collettiva con riferimento ai contratti a termine, limiti non enucleabili dalla norma ora citata. Si deduce che il giudice del merito nell’interpretare gli accordi del 25 settembre 1997 e del 16 gennaio 1998, si è limitato a soffermarsi sul dato letterale, immotivatamente tralasciando gli accordi successivi del 27 aprile 1998, del 24 maggio 1999, le dichiarazioni contenute nell’addendum all’art. 7 ccnl del 2 luglio 1998 e da ultimo la dichiarazione del 18 gennaio 2001, i quali, sostiene l’azienda, non hanno altra portata se non quella di costituire un momento di verifica congiunto della sussistenza e permanenza del processo di ristrutturazione, con il riconoscimento delle condizioni oggettive legittimanti il ricorso ai contratti a termine, senza alcuna limitazione temporale all’accordo 25 settembre 1997. Si assume l’errore in cui è incorso il giudice del merito nell’affermare che la clausola di apposizione del termine, per ridurre a razionalità il sistema, debba necessariamente essere correlata ad una serie di limitazioni, malgrado l’inversione di tendenza ravvisabile nella disposizione della citata L. n. 56 del 1987, art. 23 che opera un’ampia delega alla contrattazione collettiva. In particolare, si deve escludere, ad avviso della ricorrente, la necessità della prova del nesso causale fra le ipotesi che legittimano la conclusione delle assunzioni a termini e le singole assunzioni, essendo sufficiente la specificazione della causale collettiva e non occorrendo anche quella individuale.

Con il terzo motivo si denuncia, unitamente a vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, e dell’art. 1362 e ss.

cod. civ. e si deduce l’errore della sentenza impugnata per avere ritenuto l’illegittimità del contratto stipulato per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie in mancanza della dimostrazione delle esigenze sostitutive e del nominativo del lavoratore da sostituire.

Con il quarto motivo si denuncia vizio di motivazione e si addebita alla Corte territoriale di avere disatteso le richieste istruttorie avanzate dalla società per dimostrare l’aliunde perceptum, oggetto di specifica eccezione sollevata proprio ai fini della determinazione del risarcimento spettante alla lavoratrice.

Il ricorso è fondato nei limiti di cui appresso.

In tema di contratti di lavoro a termine, questa Corte, sulla scia di Cass. sezioni unite 2 marzo 2006 n. 4588, ha più volte affermato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063, v.

anche Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatali, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”. (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866).

E proprio con riferimento alla questione relativa a tale limite temporale della facoltà per l’azienda di stipulare contratti di lavoro a tempo – determinato per far fronte alle esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione, già esaminata in numerose pronunce rese fra la società Poste Italiane ed altri lavoratori, questa Corte ha precisato che con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con l’accordo attuativo sottoscritto in pari data e poi con il successivo del 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, dapprima fino al 31 gennaio 1998 e, quindi, con il secondo accordo attuativo fino alla data del 30 aprile 1998; di qui l’illegittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1″ (v., fra le altre, Cass. 9 settembre 2008 n. 22889, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608, Cass. 27 marzo 2008 n. 7979).

Questa Corte ha anche osservato che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).

Inoltre è stato rilevato che tale interpretazione è rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Infine, questa Corte ha ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi – attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regala iuris – dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

Per il contratto di lavoro della C. con decorrenza della prestazione lavorativa dal 26 giugno 1998, stipulato ex art. 8 ccnl 1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, si deve ritenere la legittimità della clausola di apposizione del termine, così come già affermato da questa Corte (v. pronunce 30 agosto 2007 n. 18293, 2 marzo 2007 n. 4933), nel cassare le decisioni di merito rese in fattispecie analoghe a quella in esame, che avevano affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito, avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

Detto orientamento deve essere condiviso, atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sor rette da argomenti che non siano già stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravità da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti.

Accolto in tali limiti il ricorso proposto nei confronti della C., la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice di appello, designato come in dispositivo, il quale dovrà procedere all’esame delle altre domande proposta dalla stessa con l’atto introduttivo del giudizio, in relazione agli altri contratti di lavoro a termine, richieste in precedenza non esaminate perchè ritenute assorbite.

Il giudice di rinvio provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’estinzione del giudizio nei confronti di N. E. e compensa fra costei e la società le spese del giudizio di cassazione; accoglie il ricorso proposto nei confronti di C.D.; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Bologna.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

 

 

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