Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10512 del 03/05/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10512 Anno 2018
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: FORTUNATO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28931/2014 R.G. proposto da
Pistrelli Giuseppina, rappresentata e difesa dall’Avv. Laura Picco
el-a-l-Pau-v—Luigi_M-a-lazi, con domicilio eletto presso in Roma, via Ricci
Curbastro n. 34, presso lo studio dell’avv. Alessandra Okrdelli.
– ricorrente contro
Da Re Antonio, Pignat Maria Santina, Pignat Luigi, Armari
Ernesto, Armari Daniele,

questi ultimi tre in persona della

procuratrice generale Pignat Maria Santina, rappresentati e difesi
dall’avv. Francesco Aliprandi, con domicilio eletto in Roma, Via Bocca
di Leone n. 78, presso lo studio dell’avv. Silvia Bertoletti.

Data pubblicazione: 03/05/2018

- controricorrenti e
Da Re Ernesto, Da Re Maria Luisa, Da Re Roberto e Da Re
Tiziano.

-intimatiavverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2451/2012,
depositata il 15.11.2012.

Consigliere Giuseppe Fortunato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Fulvio Troncone, che ha concluso chiedendod
gii-Av-v. Nome Cogn-arn-e-e-N-eme.-Ciagnome_;-

-LL-(D i’ uditi)

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FATTI DI CAUSA
Giuseppina Pistrelli ha proposto ricorso avverso la sentenza della
Corte d’appello di Venezia n. 2451/2012.
La ricorrente aveva convenuto in giudizio Antonio Da Re, Maria
Santina Da Re, Luigi Da Re, Ernesto Armani, Daniele Armani, Ernesto
Da Re, Maria Luisa Da Re, Roberto Da re e Tiziano Da Re, chiedendo
che fosse dichiarato il suo acquisto per usucapione degli immobili siti
in Cordignano, in catasto al fl. 8, ai mappali 338, sub 1 ,2, 3, e al fl.
11 e 8, n. 659.
Aveva dedotto che i beni risultavano intestati a Rachele Tavian,
suocera della Pistrelli, che, fino al suo decesso, avvenuto
1’11.11.1979, se ne era sempre disinteressata mentre essi erano
stati utilizzati esclusivamente dalla ricorrente e dal coniuge, Gino da
Re, dal 1958 e continuativamente anche dopo il decesso della
Tavian, senza alcuna opposizione degli eredi e dei loro successori e
ciò fino alla proposizione del giudizio.
Successivamente l’attrice aveva chiesto di dichiarare l’usucapione
anche degli immobili siti in Orsago, facenti parte dell’asse ereditario.
I convenuti avevano contestato la domanda, asserendo che gli
immobili erano stati abitati anche da altro erede, Antonio Da Re, fino

GL:z-(4,2_,

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28.2.2018 dal

all’1.1.1984 e che comunque l’attrice e Gino Da Re avevano utilizzato
i beni per ragioni di ospitalità e in virtù del vincolo di parentela con
la proprietaria; che anche dopo il decesso della Tavian essi avevano
occupato l’immobile senza compiere atti di interversione e per mera
tolleranza degli altri eredi. Avevano chiesto di respingere la domanda
e di procedere alla divisione dell’asse ereditario.
In corso di giudizio era stato integrato il contraddittorio nei confronti

della domanda formulata dall’attuale ricorrente, o, in via
subordinata, di partecipare alla divisione dell’asse.
La causa è stata definita dal tribunale di Treviso con pronuncia non
definitiva di rigetto della domanda di usucapione.
Su impugnazione della Pistrelli, la Corte territoriale di Venezia ha
confermato la sentenza di primo grado, asserendo che Gino Da Re e
la Pistrelli non avevano appreso il bene in via originaria ed autonoma
ma avevano iniziato ad occuparlo quali detentori, ossia dapprima
quali ospiti della Tavian e quindi, dopo la morte di quest’ultima,
avvenuta in data 11.11.1979, per mera tolleranza degli altri eredi;
che non erano provati atti di interversione nel possesso prima
dell’apertura della successione e, successivamente, di estensione del
possesso all’intero nei confronti degli altri eredi.
Ha infine accertato che fino al 1984 l’immobile era stato occupato
anche da Antonio Da Re e da Domenico Da Re e che altri chiamati
avevano accettato l’eredità, acquisendo di diritto il possesso dei beni
rientranti nell’asse.
Ha ritenuto che correttamente il tribunale avesse accertato che, a
seguito dell’apertura della successione della Tavian, la sussistenza di
una situazione di compossesso tra tutti gli eredi, concludendo che la
ricorrente non aveva usucapito l’immobile, non avendo esteso il
proprio possesso all’intero.
Il ricorso si sviluppa in 6 motivi.
Da Re Antonio, Pignat Maria Santina, Pignat Luigi, Armari Ernesto,
Armari Daniele hanno depositato controricorso.

degli altri figli di Gino Da Re, in quali avevano chiesto l’accoglimento

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 1141, 1144, 2728
e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. e
l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di dibattito
tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n.5. c.p.c..

Pistrelli avevano detenuto l’immobile, coabitando con la Tavian,
benché nessuna prova fosse stata acquisita in proposito e senza che
la Corte di merito abbia dato conto delle fonti del proprio
convincimento; che il rapporto con i beni poteva essere iniziato solo
a titolo di possesso pieno in virtù della presunzione dell’art. 1141
c.c., non occorrendo atti di interversione, considerato che il coniuge
della resistente era nel possesso dei beni dal 1979 – o al più tardi
dal 1984 – quale unico erede accettante; che la sentenza sarebbe
errata anche laddove ha ritenuto che il godimento dei beni dopo
l’apertura della successione fosse avvenuta a titolo di tolleranza e
comunque in modo non esclusivo.
Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 1141 c.c. comma
primo, c.c., 2728 e 2729, 1144 c.c. in relazione all’art. 360, comma
primo, n. 3 c.p.c., nonché per insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto decisivo oggetto di dibattito tra le parti ai
sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.cp.c., per aver la sentenza
asserito che il possesso ad usucapionem fosse stato interrotto dalla
coabitazione con gli altri eredi della de cuius, non considerando che
tale interruzione poteva aver rilievo solo ove protratta per almeno
un anno; che la dimora saltuaria presso l’immobile da parte dei
coeredi, anche ove provata, non avrebbe potuto escludere il
possesso esclusivo della ricorrente o condurre a riconoscere un
possesso in capo agli altri chiamati prima che questi ultimi avessero
accettato l’eredità.

4

La sentenza avrebbe errroneamente ritenuto che Gino Da Re e la

Il terzo motivo censura la violazione degli artt. 459, 294, 2697 c.c.,
112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c.
nonché l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto
controverso per il giudizio ai sensi dell’art. 360, comma primo n.5
c.p.c., per aver la sentenza asserito che dopo la morte della Tavian
si fosse instaurata una situazione di compossesso benché gli altri
chiamati all’eredità avessero accettato l’eredità solo con la

divisione, non essendo anteriormente a tale data – allorquando
l’usucapione era però già maturata – succeduti nel possesso; che la
Corte di merito avrebbe anche asserito che la qualità di erede in capo
ai convenuti era incontestata o comunque riconosciuta già dalla
stessa chiamata in giudizio di questi ultimi mentre tale qualità era
stata negata già nella comparsa conclusionale di primo grado; che
infine non vi era prova che i convenuti avessero più volte richiesto la
divisione dell’asse, essendo pervenuta una sola istanza nel 1983 e
solo da parte della madre di uno dei chiamati alla successione.
Il quarto motivo censura l’omessa, contraddittoria o insufficiente
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi
dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c. per aver la sentenza
sostenuto che la straordinaria manutenzione effettuata presso
l’immobile da parte della ricorrente integrasse un mero atto di
gestione della massa, inidonea ad estendere il possesso all’intero,
non considerando che non poteva esserci alcuna massa ereditaria
prima del decesso della Tavian, mentre, per il periodo successivo
all’apertura della successione, tali attività costituivano atti di signoria
esclusiva sull’immobile.
Il quinto motivo censura la violazione degli artt. 112 c.p.c. e 2697
c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 e 5 c.p.c. per aver
la Corte distrettuale omesso di pronunciare sulla domanda di
usucapione dei beni diversi da quelli siti in Cordignano, ritenendo
detta domanda abbandonata e comunque asserendo che anche tali

5

costituzione in giudizio e con la proposizione della domanda di

beni ereditari fossero stati usati dagli altri coeredi, non considerando
che questi ultimi non avevano accettato l’eredità di Rachele Tavian.
Il sesto motivo censura la violazione dell’art. 101 c.p.c e dell’art.
111 Cost., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., per
aver la sentenza omesso di valutare adeguatamente le tesi difensive
articolate nell’atto di gravame, proponendo una propria lettura dei
fatti di causa, sganciatEudalle risultanze processuali ed appiattitek,

2. Vanno esaminati congiuntamente il primo ed il terzo motivo di
ricorso, che vertono su questioni parzialmente identiche.
2.1. Le censure sono infondate.
La sentenza ha desunto dai rapporti di stretta parentela intercorrenti
tra Gino da Re e la Tavian che la ricorrente ed il coniuge avevano
acquisto la disponibilità dell’immobile non in forza di un atto di
apprensione autonoma, ma per ragioni di solidarietà familiare e di
ospitalità.
Ha, di conseguenza, escluso che potesse invocarsi la presunzione di
possesso pieno ai sensi dell’art. 1141 c.c., la quale, difatti, non opera
quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del
proprietario a beneficio del detentore, poiché in tal caso l’attività del
soggetto che dispone del bene cosa non corrisponde all’esercizio di
un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario.
La ricorrente solleva contestazioni alla pronuncia della Corte
distrettuale laddove ha ritenuto provato che la Pistrelli ed il coniuge
avessero iniziato ad utilizzare l’immobile non a titolo di possesso
pieno, ma in virtù di una concessione della titolare, illustrando
censure che attengono alla valutazione delle risultanze istruttorie e
a profili di merito che non possono trovare ingresso.
In tal modo, in luogo di prospettare una violazione di legge
sindacabile in sede di legittimità, si sottopone a critica la valutazione
delle risultanze processuali e la formazione del convincimento del
giudice di merito, ossia una questione di merito non deducibile come
motivo di ricorso ai sensi dell’art., 360, comma primo n. 3 c.p.c..
6

sulle tesi del giudice di primo grado.

La norma si riferisce invece al tipico “error in iudicando” e, nel
menzionare la violazione o falsa applicazione di legge, sintetizza i
due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, cioè quello
concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta
regolatrice del caso esaminato e – il secondo – l’applicazione della
norma alla specifica fattispecie concreta, una volta correttamente
individuata ed interpretata.

concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta
interpretazione della norma di legge e invade la tipica valutazione
del giudice di merito. A quest’ultimo è difatti rimessa l’indagine volta
a stabilire, alla stregua delle prove acquisite al processo, se
determinate attività siano idonee a concretare situazioni tutelabili in
sede possessoria, o non lo siano, per essere dovute alla mera
tolleranza di chi potrebbe opporvisi (Cass. 6.1.1979, n. 50; Cass.
19.7.1973, n. 2119; Cass. 22.3.1972, n. 880).
2.2. Una volta stabilito – quindi – che il potere di fatto era iniziato a
titolo di detenzione, correttamente la sentenza ha ritenuto
necessario un atto d’interversione idoneo a provare, con il
compimento di idonee attività materiali, il possesso utile “ad
usucapionem” in opposizione al proprietario concedente, atto di cui
ha però escluso che vi fosse prova (Cass. 124.10.2014, n. 21690;
Cass. 15.3.2005, n. 5551; Cass. 13.9.2004, n. 18360; Cass.
22.1.1994, n. 622; Cass. 4.12.1995, n. 12493).
Non poteva rilevare il lungo protrarsi dell’occupazione dell’immobile
sin dal 1957, posto che, per accertare se la relazione di fatto con il
bene costituisca una situazione di possesso ovvero di semplice
detenzione dovuta a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, come
tale inidonea, ai sensi dell’art. 1144 cod. civ., a fondare la domanda
di usucapione, la circostanza che l’attività svolta sul bene abbia
avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, cui
normalmente può attribuirsi il valore di elemento presuntivo per
escludere che vi sia stata tolleranza, è destinata a perdere tale
7

Per contro, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie

efficacia nel caso in cui i rapporti tra le parti siano caratterizzati da
vincoli particolari, quali quelli di parentela o di società, ed il relativo
apprezzamento attiene al fatto ed è demandato al giudice di merito
(Cass. 27.4.2006, n. 9661; Cass. 18.6.2001, n. 8194; Cass.
22.5.1990, n. 4631).
2.3. La ricorrente sostiene di aver utilizzato l’immobile unitamente
al coniuge sin dal 1958 ed ininterrottamente anche dopo la morte

alla successione, i quali, non avendo anteriormente accettato
l’eredità, non avevano composseduto l’immobile; che, pertanto,
anche a ritenere che gli occupanti avessero esercitato il possesso
pieno solo dal momento dell’apertura della successione o al più tardi
a partire dal 1984, l’usucapione era già maturata al momento in cui
gli altri chiamati, con la richiesta di divisione dell’asse, avevano
manifestato la volontà di accettare l’eredità di Rachele Tavian.
La Corte distrettuale ha, però, accertato, sulla base delle risultanze
di causa, che anche gli altri chiamati avessero compiuto atti di
accettazione tacita per effetto delle reiterate richieste di divisione dei
beni ereditari, ritenendo che gli immobili fossero stati composseduti
da tutti ed utilizzati dalla ricorrente e dal coniuge esclusivamente per
mera tolleranza degli altri coeredi.
Tale accertamento non è sindacabile, per le ragioni già dette, sotto i
profili indicati in ricorso, poiché l’indagine circa il perfezionamento di
atti di accettazione tacita dell’eredità è rimessa al giudice di merito
(Cass. 17.11.1999, n. 12753; Cass. 19.10.1988, n. 5688; Cass.
17.10.1978, n. 4639).
In ogni caso, non è decisivo che fosse pervenuta una sola richiesta
di divisione nel 1983, ossia da epoca anteriore al decorso del termine
per l’usucapione, e solo da parte della madre di una dei chiamati,
poiché, avendo la Corte stabilito che detta richiesta valeva come
accettazione tacita dell’eredità con conseguente acquisto de iure del
possesso, ciò era sufficiente per escludere che la ricorrente ed il

8

della proprietaria Rachele Tavian nel disinteresse degli altri chiamati

coniuge avessero, dopo il 1983, posseduto a titolo esclusivo i beni
facenti parte dell’asse ereditario e avessero potuto usucapirli.
Per altro verso, la sentenza ha stabilito che, dopo il decesso di
Rachele Tavian, sopraggiunto 1’11.11.1979, l’immobile era stato
abitato dal figlio Antonio Da Re fino al gennaio 1984 e che anche
dopo tale data, altro coerede, Domenico Da Re, lo aveva utilizzato
come studio professionale per gli anni successivi: tale circostanza di

dell’eredità da parte di questi ultimi (quali chiamati nel possesso dei
beni del de cuius al momento dell’apertura della successione), non
poteva che impedire l’usucapione dell’intero, mancando l’esercizio
del possesso dell’immobile in forma esclusiva.
Difatti, il coerede che dopo la morte del “de cuius” sia rimasto nel
possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire
la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo
del possesso ma a tal fine, egli, che già possiede “animo proprio” ed
a titolo di comproprietà, è però tenuto ad estendere tale possesso in
termini di esclusività, il che avviene quando egli goda del bene in
modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da
evidenziare una inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non
più “utí condominus”, non essendo sufficiente che gli altri
partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune (Cass.
25.3.2009, n. 7221).
Tale volontà non può desumersi dal fatto che egli abbia utilizzato e
amministrato il bene ereditario, sussistendo al riguardo una
presunzione “iuris tantum” che abbia agito nella qualità e che abbia
operato nell’interesse anche degli altri, ma ha l’onere di provare che
il rapporto materiale con il bene si è verificato in modo da escludere,
con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità
di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene ereditario
(Cass. 12.4.2002, n. 5226; Cass. 7.7.1999, n. 7075; Cass.
26.11.1997, n. 11842).

9

fatto, oltre a poter integrare un’accettazione pura e semplice

Di conseguenza l’accertata insussistenza di atti di estensione del
possesso all’intero era di ostacolo alla maturazione dell’acquisto,
avendo la sentenza stabilito che il bene era stato utilizzato con
modalità compatibili con il paritario possesso e la contitolarità degli
altri eredi che avevano parimenti accettato l’eredità di Rachele
Ta via n.
3.

Il secondo motivo è inammissibile anzitutto perché non si

La Corte ha ritenuto incontestato e comunque provato dalla
documentazione in atti, richiamata più nel dettaglio nel
controricorso, che gli attori avessero iniziato a detenere l’immobile
per spontanea concessione della proprietaria e che non avessero
posseduto in forma esclusiva neppure dopo l’apertura della
successione di Rachele Tavian.
Solo da tale momento la Corte d’appello ha asserito che Gino De Re
avesse acquistato il possesso quale erede accettante, e
limitatamente alla quota ereditaria, mentre ha escluso che questi (ed
in seguito la ricorrente) avesse esteso il possesso all’intero sì da
usucapire le altre quote.
La sentenza non asserisce, in definitiva, che l’usucapione non era
maturata a causa dell’interruzione del possesso, ma sostiene che al contrario – il possesso non era stato esercitato in modo esclusivo
e che non erano stati compiuti atti di estensione del possesso nei
confronti dei compossessori.
Di conseguenza, mancando un possesso esclusivo, non veniva in
rilievo la durata dell’interruzione del possesso e, quindi,
correttamente la sentenza ha omesso di prenderla in considerazione.
In ogni caso, poiché la sentenza è stata pubblicata in data
15.11.2012, non è ammissibile il sindacato di insufficienza della
motivazione ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., nel testo
modificato dall’art. 54, comma primo, lettera b), d.l. 83/2012,
convertito con I. 134 /2012.

lo

confronta la reale ratio decidendi della pronuncia.

La disposizione censura l’omesso esame di un fatto materiale,
principale o secondario, risultante dagli atti ed avente carattere
decisivo, ossia un vizio della sentenza che non ha attinenza
all’insufficienza o all’illogicità della motivazione, contemplata dalla
precedente formulazione della disposizione, introdotta dall’art. 2,
d.lgs 40/2006.
Per contro, il sindacato sulla motivazione è attualmente consentito

4 c.p.c e nelle sole ipotesi di motivazione carente dal punto di vista
grafico e materiale, di motivazione apparente o contraddittorietà
insuperabile che non consenta di individuare l’iter logico della
pronuncia.

3. Il quarto motivo è inammissibile.
In primo luogo la censura, pur sostenendo che l’effettuazione di
lavori di straordinaria amministrazione da parte della ricorrente e del
coniuge dovesse apprezzarsi come atto di estensione del possesso
all’intero immobile, non specifica di quale tipologia di lavori si
trattasse ed in quale data siano stati realizzati, né spiega perché essi
dovessero comportare necessariamente l’imposizione di una signoria
sull’intero, incorrendo in un evidente difetto di autosufficienza del
ricorso.
In ogni caso, come detto, la sentenza è stata depositata in data
15.11.2012 e pertanto ricade nel testo dell’art. 360, comma primo,
n.5 c. p.c. come modificato dall’art. 54, comma primo, lettera b) del
d.l. 83/2012, convertito con I. 7.8.2012, n. 134, essendo quindi
precluso il sindacato sulla sufficienza della motivazione.

5. Il quinto motivo è infondato.
La Corte ha espressamente statuito sulla domanda di usucapione dei
beni siti in Orsago, asserendo che il possesso degli immobili e delle
suppellettili era stato contestato e che anche gli altri eredi avevano
usato e prelevato i beni mobili ricadenti nell’asse.
In ogni caso, la sentenza ha accertato che l’eredità era stata
accettata anche dagli altri eredi e che comunque alcuni di essi erano
11

ai sensi dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma primo, n.

rimasti nel possesso degli immobili, e ciò era sufficiente ad escludere
che la Pistrelli ed il coniuge potessero considerarsi possessori
esclusivi delle altre consistenze e delle relative dotazioni.
Difatti, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non
basta la mancanza di un’espressa statuizione dei giudice, ma è
necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento
che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non

pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una
specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione
implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda
non espressamente esaminato risulti incompatibile con
l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 6.12.2017, n.
29191; Cass. 13.10.2017, n. 24155; Cass. 4.10.2011, n. 20311).

6. Il sesto motivo censura la violazione dell’art. 101 c.p.c e dell’art.
111 Cost., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c.,
asserendo che la sentenza di secondo grado non abbia neppure
preso in considerazione le tesi difensive articolate nell’atto di
gravame, proponendo una personale lettura dei fatti di causa,
sganciata dalle risultanze processuali ed appiattita sulle tesi del
giudice di primo grado.
Il motivo è inammissibile, poiché si risolve in una censura del tutto
generica, prospettando vizi non individuati in modo specifico e con il
necessario richiamo ai contenuti della decisione, alle risultanze di
causa e alle vicende processuali, indicazioni indispensabili anche
quando la sentenza d’appello sia censurata per vizi che attengano
alla violazione dell’obbligo di motivazione, di imparzialità del giudice
o nel caso in cui la motivazione sia formulata solo per relationem alla
pronuncia di primo grado (Cass. s.u., 20.3.2017, n. 7074).
Nella fattispecie, la Corte distrettuale, senza alcun acritico
appiattimento sulla decisione del tribunale, ha mostrato di aver
valutato in modo autonomo le vicende processuali, ha chiarito, per i
motivi già detti, le ragioni per cui ha ritenuto di escludere che la

si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della

ricorrente avesse usucapito i beni ereditari, evidenziando, in modo
ragionato, l’adesione a quanto statuito dal primo giudice, il che rende
la censura infondata anche nel merito.
In ogni caso, anche quando la motivazione si limiti a riprodurre il
contenuto di un atto di parte o di altri atti processuali o di
provvedimenti giudiziari, senza niente aggiungervi, la sentenza non
può reputarsi nulla, se le ragioni della decisione siano attribuibili

risultanze processuali e risultino in modo chiaro, univoco ed
esaustivo (Cass. s.u., 16.1.2015, n. 642).
7.

Il ricorso è quindi respinto anche agli effetti delle spese

processuali, che si liquidano come da dispositivo.
Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a
versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater
all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali, che si liquidano in C 200,00 per esborsi ed in C 5500,00
per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario spese
generali in misura del 15%.
Si dà atto che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione,
ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228,
che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115.
Così decisopin Roma, 28.2.2018.
IL GIUDIC ST ORE
/

dott. GiupeW9I1ttpato

dott.

1_3

all’organo giudicante, siano frutto di un riesame critico delle

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

2018

Roma,Q 3 MAG.

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