Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10507 del 20/05/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 1 Num. 10507 Anno 2016
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: CRISTIANO MAGDA

Ud. 26/01/2016

SENTENZA

PU

sul ricorso 22518-2014 proposto da:

MES S.R.L., in persona del legale rappresentante pro
tempore, e MESSINA ROCCO, elettivamente domiciliati
in ROMA, VIA BAIAMONTI 4, presso l’avvocato ROSARIA
INTERNULLO, rappresentati e difesi dall’avvocato
GIUSEPPE GIACONIA, giusta procura in calce al
2016

ricorso;
– ricorrenti –

176
contro

FALLIMENTO MESSINA S.R.L.;
– intimato-

Data pubblicazione: 20/05/2016

avverso la sentenza n. 28/2014 della CORTE D’APPELLO
di CALTANISSETTA, depositata il 26/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/01/2016 dal Consigliere Dott. MAGDA
CRISTIANO;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato G. GIACONIA che

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.

si riporta;

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Caltanissetta ha respinto il reclamo proposto da MES s.r.l. e da
Rocco Messina avverso la sentenza del Tribunale di Gela che ha dichiarato il
fallimento della società di fatto da loro costituita con la già fallita Messina s.r.l. e li ha
conseguentemente dichiarati falliti, ai sensi dell’art. 147 I. fall., quali soci
illimitatamente responsabili di detta società.

La corte territoriale ha ritenuto, quanto alla MES, che fosse irrilevante l’assenza di
una deliberazione assembleare autorizzativa della partecipazione della s.r.l. alla
società di fatto, atteso che l’art. 2631 c.c., così come l’art. 2479 c.c., sono norme
dirette a tutelare i soci, e non i terzi, la cui violazione può giustificare sul piano
interno l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore, ma
che non escludono che nei rapporti esterni la società di fatto, che nasce, agisce e
diventa titolare di diritti ed obblighi per effetto della condotta univocamente tenuta
dai soci e dai soggetti cui è stata delegata la gestione, sia esistente. Ha inoltre
escluso che l’art. 147 co. 5 0 I. fall. limiti il fallimento in estensione della società di
fatto all’ipotesi in cui il socio già fallito sia un imprenditore individuale.
Nel merito ha ritenuto pienamente provata l’esistenza della s.d.f. fra i reclamanti e
Messina s.r.l. nonché il suo stato di insolvenza.
La sentenza è stata impugnata da MES s.r.l. e da Rocco Messina con ricorso per
cassazione affidato a quattro motivi e illustrato da memoria.
li Fallimento intimato non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1)Con il primo motivo i ricorrenti contestano che possa configurarsi la partecipazione
di fatto di una società di capitali ad una società di persone.
Osservano al riguardo che l’art. 2361, 2° comma c.c. – nel prevedere che
l’assunzione da parte della s.p.a. della partecipazione in altre imprese, comportante
una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime, deve essere
deliberata dall’assemblea e che di tale partecipazione gli amministratori danno
3

specifica informazione nella nota integrativa al bilancio – costituisce norma
inderogabile, posta a tutela dei soci e dei creditori della s.p.a., che altrimenti
vedrebbero la società assumere, a loro insaputa, lo status di soggetto fallibile per
obbligazioni altrui, pur in assenza di insolvenza, come avviene per il caso di
fallimento in estensione. Identica conclusione varrebbe, poi, anche per le s.r.l. (che,
ai sensi dell’art. 111 duodecies disp. att. c.c. sono annoverate fra le persone

giuridiche che possono partecipare a società di persone), stante il disposto dell’art.
2479, 2 0 comma n. 5 c.c., che riserva alla competenza dei soci la decisione di
compiere operazioni che comportino una sostanziale modificazione dell’oggetto
sociale od una rilevante modificazione dei loro diritti.
2) Col secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 147, 5 0 comma, 1.
fall., che consente l’estensione del fallimento alla società di fatto solo quando il socio
già fallito sia un imprenditore individuale e non anche quando sia una società di
capitali e che costituirebbe noma non suscettibile di interpretazione estensiva od
analogica.
3)1 motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, devono essere respinti.
3.1)Questa Corte, con la recente sentenza n. 1095/016, ha già affrontato,
risolvendola in senso positivo, la questione dell’ammissibilità di una società di fatto
(occulta o comunque irregolare, ai sensi dell’art. 2297 c.c.) fra società di capitali,
allorché la partecipazione sia assunta dall’amministratore in mancanza della previa
deliberazione assembleare e della successiva indicazione nella nota integrativa al
bilancio, richieste dall’art. 2361, 20 comma, c.c.
La pronuncia si fonda sostanzialmente sul rilievo che colui che entra in contatto con
l’ente- società deve poter confidare sulla spendita del nome dello stesso da parte di
coloro che ne hanno la rappresentanza: agli amministratori è infatti conferito un
potere di rappresentanza generale e le limitazioni ai loro poteri non sono opponibili
ai terzi, ai sensi dell’art. 2384 c.c., anche se pubblicate, salvo che si provi che questi
ultimi abbiano agito scientemente in danno della società. Ciò vale anche nell’ipotesi
4

di dissociazione del potere di rappresentanza dal potere gestorio : l’eventuale
rilevanza esterna di tale dissociazione si porrebbe infatti in contrasto con le finalità
perseguite dal legislatore della riforma del diritto societario – di incentivare il
reperimento di capitale di rischio e di credito favorendo la tutela del mercato, la
stabilità dell’agire sociale e la certezza dei traffici — in quanto minerebbe alla base
ogni possibilità dì garantire ai terzi la necessaria sicurezza in ordine alla validità degli

atti compiuti dall’organo che ha formalmente la rappresentanza della società
(Cass.18754/07).
Il rischio delle violazioni commesse dagli amministratori mediante il compimento di
atti eccedenti i poteri loro conferiti è stato perciò interamente trasferito sulla società,
offrendo ai terzi la sicurezza che essa farà fronte in ogni caso agli atti posti in essere,
in suo nome e per suo conto, dall’organo gestori°.
Non può in conseguenza ammettersi che la società di capitali, la quale abbia svolto
attività di impresa operando in società di fatto con altri, possa in seguito sottrarsi alle
eventuali conseguenze negative derivanti dal suo agire (ivi compreso il fallimento per
ripercussione nel caso in cui sia accertata l’insolvenza della società di fatto) proprio
in forza di una violazione di legge perpetrata dai suoi amministratori.
In definitiva, secondo Cass. n. 10951016, la partecipazione acquisita
dall’amministratore senza osservanza dei requisiti legali prescritti è pienamente
valida: l’inadempimento dell’organo gestori° avrebbe rilevanza meramente interna,
giustificando l’adozione dei rimedi rispetto ad esso predisposti (azione sociale di
responsabilità,revoca, denuncia al tribunale), ma non varrebbe a determinare la
nullità dell’acquisto compiuto o l’inefficacia dell’attività imprenditoriale di fatto svolta.
3.2) In questa sede non appare necessario richiamare ulteriormente l’amplissima
motivazione che sorregge la decisione.
Ciò che preme, piuttosto, sottolineare è che, quand’anche si volesse aderire
all’opposta opinione dottrinaria e giurisprudenziale, secondo cui il mancato rispetto
delle prescrizioni di cui all’art. 2361, 20 comma, c.c. comporta l’invalidità o
5

l’inefficacia dell’assunzione della partecipazione o del vincolo associativo, il
fenomeno non resterebbe irrilevante per l’ordinamento, in quanto non varrebbe a
determinare la caducazione retroattiva dell’esistenza dell’ente, attesa la disciplina
peculiare del contratto di società, espressa dall’art. 2332 c.c., ritenuto applicabile
anche alle società di persone.
Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che la declaratoria di nullità del

contratto costitutivo di una società di persone è equiparabile, “quoad effectum”, allo
scioglimento della stessa (Cass. nn. 9124/015, 3166/99, 565/95): trattandosi di un
ente collettivo, per il quale vale il principio di effettività dell’attività di impresa svolta,
ed il cui agire esula dall’orbita meramente negoziale ed assume una sua autonoma
rilevanza, la patologia insanabile che affligge la società si converte in causa di
scioglimento, con conseguente necessità di nomina dei liquidatori, ai sensi del 4°
comma dell’art. 2332 cit.
La società di fatto nulla continua dunque ad esistere sino alla definizione dei rapporti
giuridici pendenti, con la conseguenza che rimangono fermi i diritti acquisiti nei suoi
confronti dai terzi creditori di buona fede e, soprattutto, che rimane ferma la sua
soggezione al fallimento in caso che ne venga accertata l’insolvenza.
3.3) Può aggiungersi, infine, con esclusivo riferimento alle s.r.I., che l’art. 111
duodecies disp. att. c.c. — che detta prescrizioni in tema di bilancio delle società in
nome collettivo e in accomandita per azioni i cui soci illimitatamente responsabili
siano unicamente società di capitali- si limita ad annoverare le s.r.l. fra le società
che possono assumere partecipazioni in società di persone.
Il riferimento contenuto nella norma all’art. 2361, 2° comma, c.c. vale ad individuare
la fattispecie (partecipazione in impresa comportante l’assunzione della
responsabilità illimitata) da cui deriva l’obbligo di redazione del bilancio secondo la
disciplina richiamata, ma non estende le prescrizioni formali di cui all’art. 2361 cit.
alle s.r.l.
Va escluso, poi, che la partecipazione della s.r.l. ad una società di persone rientri
6

nelle operazioni comportanti “una rilevante modificazione dei diritti dei soci’ che, ai
sensi dell’art. 2479,

20 comma n. 5 c.c., sono riservate alla competenza

dell’assemblea: la modifica derivante dall’acquisto della partecipazione consiste
infatti nell’assunzione da parte della s.r.l. della responsabilità illimitata per le
obbligazioni della partecipata, mentre non muta la posizione dei soci, che continuano
ad essere vincolati nei limiti del conferimento.

competenza dell’assemblea dei soci, che comportano

L’operazione di acquisto potrebbe piuttosto rientrare fra quelle, sempre riservate alla
“una sostanziale

modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo”, ma in questo
caso occorrerebbe accertare che la partecipazione in una società personale sia così
eterogenea rispetto ai fini sociali da modificare in concreto l’oggetto.
Al di là di tale ipotesi, nella specie non dedotta dai ricorrenti, l’acquisto resta dunque
un atto gestori° riservato agli amministratori, efficace sino al limite dell’agire
intenzionale dannoso dei terzi, di cui all’ad. 2475-ter c.c.
Va, in conclusione, ribadito che, accertata l’esistenza di una società di fatto
insolvente della quale uno o più soci illimitatamente responsabili siano costituiti da
società di capitali, il fallimento di queste ultime costituisce una conseguenza “ex
lega” prevista dall’art. 147, comma 1, I.fall., senza necessità dell’accertamento della
loro specifica insolvenza(Cass. n. 1095/016 cit.).
3.4) Quanto alla questione sollevata col secondo motivo, appare opportuno
premettere che, nell’ipotesi contemplata dal 5° comma dell’ad. 147 I. fall., l’indagine
del giudice deve essere indirizzata all’accertamento sia dell’esistenza di una società
occulta (o di fatto) cui sia riferibile l’attività dell’imprenditore già dichiarato fallito, sia
della sua insolvenza, posto che il fallimento di tale società costituisce presupposto
logico e giuridico della dichiarazione di fallimento, per ripercussione, dei soci
illimitatamente responsabili. Va escluso, in sostanza, che il fallimento di questi ultimi
possa essere dichiarato in forza di un accertamento meramente incidentale della
ricorrenza fra gli stessi e il fallito di una c.d. supersocietà di fatto, non solo perché la
7

sentenza dichiarativa ha natura costitutiva ed efficacia ex nunc (onde non si vede
come il fallimento dei soci possa conseguire ad una dichiarazione di fallimento
meramente virtuale, od implicita, della società) ma anche perché all’insolvenza del
socio già dichiarato fallito potrebbe non corrispondere l’insolvenza della s.d.f. (cui gli
altri soci potrebbero, in tesi, conferire le liquidità necessarie al pagamento dei debiti).

necessarie onde evitare il rischio che l’art. 147, 5° comma I. fall. venga utilizzato .
0
per aggirare le disposizioni dettate dagli artt. 2476, 7 comma, e 2497 c.c. ed evitare
l’esercizio di un’azione di responsabilità dai profili assai più complessi e dagli esiti
incerti.
Come è stato correttamente rilevato in dottrina, la norma non si presta, infatti,
all’estensione al dominus (società o persona fisica) dell’insolvenza del gruppo di
società organizzate verticalmente e da questi utilizzate in via strumentale, ma
piuttosto all’estensione ad un gruppo orizzontale di società, non soggetto ad attività
di direzione e coordinamento, che partecipano, eventualmente anche insieme a
persone fisiche, e controllano una società di persone (la c.d. supersocietà di fatto).
La prova della sussistenza di tale società deve poi essere fornita in via rigorosa, in
primo luogo attraverso la dimostrazione del comune intento sociale perseguito, che
deve essere conforme, e non contrario, all’interesse dei soci.
Il fatto che le singole società perseguano invece l’interesse delle persone fisiche che
ne hanno il controllo (anche solo di fatto) costituisce, piuttosto, prova contraria
all’esistenza della supersocietà di fatto e, viceversa, prova a favore dell’esistenza di
una holding di fatto, nei cui confronti il curatore potrà eventualmente agire in
responsabilità e che potrà eventualmente essere dichiarata autonomamente fallita,
ove ne sia accertata l’insolvenza a richiesta di un creditore.
3.5) Ciò precisato, il collegio condivide l’orientamento, maggioritario in dottrina,
secondo cui un’interpretazione dell’art. 147, 5° comma I. fall. che conducesse
all’affermazione dell’ applicabilità della norma al solo caso (di fallimento

3.4) La censura offre anche lo spunto per alcune precisazioni, che si rendono

dell’imprenditore individuale) in essa espressamente considerato, risulterebbe in
contrasto col principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.: invero, una volta
ammessa la configurabilità di una società di fatto partecipata da società di capitali e
la conseguente sua fallibilità ai sensi del 10 comma dell’art. 147 I. fall., non v’è
0
alcuna ragione che, nell’ipotesi disciplinata dal ridetto 5 comma – in cui l’esistenza

uno solo dei soci – possa giustificarne un differenziato trattamento normativo,
ammettendone o escludendone la fallibilità a seconda che il socio già fallito sia un
imprenditore individuale o collettivo.
Non può infatti concepirsi diversità di trattamento fra due fattispecie che presentano
identità di ratto.
Va escluso, d’altro canto, che il carattere eccezionale della disposizione (che,
secondo quanto si legge nella relazione ministeriale di accompagnamento al d. Igs.
di riforma della legge fallimentare, ha recepito l’orientamento giurisprudenziale in
tema di fallibilità della c.d. società occulta) ne impedisca un’applicazione più ampia di
quella consentita dalla sua formulazione letterale: è stato infatti correttamente
rilevato che il divieto di applicazione analogica delle leggi eccezionali, sancito
dall’art. 14 disp. prel. c.c., non comporta anche il divieto di una loro interpretazione
estensiva, volta ad individuare tutte le ipotesi in esse disciplinate e che ne sono fuori
solo in apparenza, perché non esplicitamente menzionate.
Va allora considerato che, anteriormente all’entrata in vigore, nel 2003, del d. Igs. di
riforma del diritto societario, la giurisprudenza negava la possibilità della
partecipazione di società di capitali in società di persone (per tutte: Cass. n. 5636/88)
e che il dibattito intorno alla configurabilità di una società di fatto o occulta fra società
di capitali, ed alla conseguente fallibilità di queste ultime quali soci illimitatamente
responsabili, si è sviluppato solo dopo la riforma della legge fallimentare: appare
dunque evidente che il legislatore della riforma ha codificato l’orientamento
giurisprudenziale che ammetteva il fallimento delle società occulte tenendo conto

della società emerga in data successiva al fallimento autonomamente dichiarato di

che esso si era formato sul presupposto (dato per scontato) che le società in
questione potessero essere costituite solo fra persone fisiche.
Tali considerazioni appaiono sufficienti ad attribuire al riferimento all’imprenditore
individuale contenuto nell’ad. 147, 5° comma I. fall. valenza meramente indicativa
dello “stato dell’arte” dell’epoca in cui la norma è stata concepita, che non può

contesto nel quale essa deve attualmente trovare applicazione, ne adegui la portata
in senso evolutivo, includendovi fattispecie non ancora prospettabili alla data della
sua emanazione.
Ciò che, del resto, trova indiretta conferma nell’ordinanza n. 151016 della Corte
Costituzionale che, nel dichiarare inammissibile la q.l.c. dell’art. 147, 5

0 comma cit.,

ha fra l’altro evidenziato come i giudici rimettenti abbiano omesso di verificare
previamente la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente adeguata della
disposizione censurata.
4) Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentando violazione dell’ad. 2697 c.c.,
sostengono che le circostanze di fatto sulle quali la corte del merito ha fondato il
proprio convincimento risulterebbero indicative non già dell’affectio societatís, ma

dell’affectio familiaris di Rocco Messina nei confronti della madre e della moglie
(amministratrici uniche, rispettivamente, di Messina s.r.l. e di MES s.r.I.), che
l’avrebbero indotto a svolgere attività esecutive per conto delle due società,
compatibilmente con i suoi impegni di lavoro.

essere di ostacolo ad una sua interpretazione estensiva che, tenuto conto del mutato

Il motivo, che sembra contestare il solo accertamento concernente la qualità del
Messina di socio della s.d.f., è inammissibile, in quanto si limita ad affermare l’errata
valutazione da parte della corte del merito del complesso degli elementi probatori
acquisiti, senza però specificare quali di essi siano stati in concreto travisati, né
indicare le ragioni che avrebbero dovuto condurre ad una loro diversa
interpretazione.
5) Parimenti inammissibile, infine, è l’ultimo motivo del ricorso, con il quale si

9

contesta che il curatore abbia fornito la prova dell’insolvenza della MES e di Rocco
Messina.
Come già rilevato dalla corte territoriale i ricorrenti sono infatti privi di interesse al
predetto accertamento, atteso che il loro fallimento è stato dichiarato per
ripercussione del fallimento della società di fatto da essi costituita con Messina s.r.I.,

l’insolvenza.
Il ricorso va, in conclusione, interamente rigettato.
Non v’è luogo alla liquidazione delle spese in favore del fallimento intimato, che non
ha svolto attività difensiva.

La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 11512002, introdotto dall’art. 1, 17°
comma, della I. n. 228 del 24.12.2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
Roma, 26 gennaio 2016.

vgfc_

di cui sono soci illimitatamente responsabili e della quale non pongono in dubbio

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA