Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10507 del 12/05/2011

Cassazione civile sez. I, 12/05/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 12/05/2011), n.10507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – rel. Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.P.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Caio

Mario, n. 13, presso l’avv. Longo Mauro che lo rappresenta e difende

per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro in carica,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Perugia n. 617,

pubblicato il 16 luglio 2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

aprile 2011 dal Relatore Pres. Ugo VITRONE;

udito l’avvocato dello Stato Francesco SCLAFANI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 28 maggio – 16 luglio 2007 la Corte d’Appello di Perugia condannava il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore di D.P.A. a titolo di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo da lui promosso dinanzi al Tribunale di Roma con atto di citazione del 6 giugno 2000 e definito con sentenza del 13 settembre 2005. Osservava la Corte che il processo presupposto aveva avuto una durata complessiva di quattro anni e nove mesi e che il periodo eccede dente suscettibile di indennizzo poteva essere determinato in soli nove mesi tenuto conto del fatto che era stata disposta la chiamata in causa di un terzo ed era stata espletata una consulenza tecnica.

Contro il decreto ricorre per cassazione D.P.A. con tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente si duole che il decreto impugnato abbia determinato la durata del processo presupposto facendo riferimento come termine iniziale, non già alla data di notificazione dell’atto introduttivo bensì a quella della prima udienza e, al termine dell’esposizione del motivo formula un quesito di diritto così concepito: “Dica la Suprema Corte se, anche ai fini della ragionevole durata di un processo, il giudizio debba ritenersi pendente al momento della notificazione dell’atto di citazione”.

La censura è inammissibile per l’assoluta genericità del quesito di diritto il quale si arresta ad un formulazione teorica che non consente al giudice di legittimità di desumere le conseguenze concrete che il suo accoglimento comporterebbe sulla domanda di equa riparazione in assenza di ogni contestazione in ordine all’importo dell’indennizzo liquidato.

Inammissibile è pure il secondo motivo con il quale il ricorrente denuncia il vizio di violazione di legge con riferimento alla determinazione della giusta durata del processo presupposto, calcolata in quattro anni, poichè all’esposizione del motivo non segue alcun quesito di diritto.

Con il terzo motivo si censura la liquidazione globale delle spese giudiziali con la conseguente, effettuata in complessivi Euro 800,00, e in misura ridotta rispetto alla nota spese depositata nel giudizio di merito.

La censura è inammissibile sia per difetto di autosufficienza sia per la sua genericità perchè, da un lato, il ricorrente non trascrive in ricorso la nota spese depositata nella fase di merito, con la conseguente impossibilità per il giudice di legittimità di verificare la fondatezza della censura in esame e, dall’altro, impedisce di accertare in qual misura la liquidazione globale delle spese giudiziali abbia comportato una lesione del diritto della parte vittoriosa alla giusta determinazione della condanna a carico del soccombente in considerazione del fatto che non riceve alcuna tutela dall’ordinamento, per difetto di interresse, la pretesa alla mera regolarità del processo qualora non si deduca e si provi che la sua violazione abbia consumato la lesione di una posizione giuridica tutelata dalla legge.

In conclusione il ricorso non può trovare accoglimento e dev’essere dichiarato inammissibile.

Le spese giudiziali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese giudiziali che liquida in Euro 800,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2011

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