Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10505 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 21/04/2021), n.10505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1353/2014 R.G. proposto da:

Ferrramenta V. srl, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Fattori Giuseppe, con

domicilio eletto in Roma, via Crescenzio n. 19 presso lo studio

dell’avv. Lenti Lucilla;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 88/50/13, depositata il 17 maggio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 gennaio

2021 dal Consigliere Manzon Enrico.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza n. 88/50/13, depositata il 17 maggio 2013, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lecco che aveva accolto i ricorsi della Ferramenta V. srl contro gli avvisi di accertamento per II.DD. ed IVA 2004/2005.

La CTR osservava in particolare che le pretese creditorie erariali si fondavano non sull’inesistenza delle fatture (operazioni) in contestazione, bensì e dunque diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, sulla simulazione dei contratti di leasing ai quali dette fatture erano riferite, con particolare riguardo ai canoni, trattandosi di un’operazione “infragruppo” sostanzialmente elusiva (aumento fittizio dei costi e dell’IVA a credito per la società contribuente). Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo tre motivi, poi illustrati con una memoria. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112, c.p.c., poichè la CTR, decidendo oltre la delimitazione dell’oggetto processuale, quale in particolare fissato dagli atti impositivi impugnati, aveva diversamente considerato le fattispecie contrattuali in esame, affermandone non la inesistenza, bensì la simulazione.

La censura è infondata.

Emerge dal ricorso e dalla stessa sentenza impugnata che le pretese fiscali de quibus si fondano sulla contestazione di un’operazione tra la società contribuente e la V. srl, essendo entrambe partecipate dalle medesime persone fisiche, consistita nella cessione di un leasing immobiliare dalla prima alla seconda e successiva sublocazione dell’immobile oggetto di tale contratto ad un canone maggiorato.

Negli atti impositivi impugnati si è contestata la fittizietà di tale operazione e quindi recuperati a tassazione i costi per i canoni di sub-locazione e l’IVA detratta.

Questo è l’oggetto fattuale della controversia, essendo evidente che il “fatto costitutivo” delle pretese erariali è l’inesistenza giuridica “sostanziale” delle operazioni fatturate.

Orbene, la CTR ha qualificato tale fattispecie come un’ipotesi di contratto simulato, derivandone l’inefficacia nei confronti dell’Ente impositore e quindi affermando la fondatezza delle sue pretese creditorie.

Nessuna modifica al petitum ed alla causa petendi è dunque ravvisabile nel giudizio di merito del giudice tributario d’appello e quindi il denunziato vizio risulta del tutto insussistente (cfr. Cass., n. 9002 del 11/04/2018, Rv. 648147 – 01).

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la ricorrente lamenta la sussistenza del vizio motivazionale, poichè la CTR non ha puntualmente riscontrato le sue allegazioni difensive sulle contestazioni dell’agenzia fiscale, limitandosi a riprendere le argomentazioni di quest’ultima.

La censura è inammissibile e comunque infondata.

La sentenza impugnata è stata depositata il 17 maggio 2013 e quindi risulta sicuramente applicabile la versione attualmente vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Inammissibilmente quindi il mezzo è stato articolato secondo la versione previgente di tale disposizione processuale.

Ma il mezzo stesso risulta comunque inammissibile anche in relazione alla applicabile vigente versione del parametro processuale collidendo all’evidenza con il principio di diritto che “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti” (Cass., n. 6519 del 06/03/2019, Rv. 653222 – 01).

Peraltro non sussiste affatto alcun “omesso esame di fatto decisivo controverso”, posto che il giudice tributario d’appello ha direttamente e chiaramente affrontato il thema decidendum (inesistenza giuridica, a causa della simulazione, della sublocazione generatrice di costi indeducibili/IVA indetraibile), con una motivazione che va senz’altro considerata al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Cass., Sez. U, 8053/2014).

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -la ricorrente si duole dell’omessa pronuncia sul suo motivo di appello incidentale riguardante l’illegittimità dell’avviso di accertamento per l’anno 2004, in quanto emesso oltre i termini decadenziali di legge. La censura è parzialmente infondata.

In primo luogo deve ribadirsi che “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo” (Cass. n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290 – 01)

Il che è evidentemente avvenuto nel caso di specie, posto che la CTR lombarda si è pronunciata sul meritum causae, così appunto implicitamente ritenendo l’infondatezza dell’eccezione de qua.

Peraltro va anche ribadito che “Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (Cass. n. 2313 del 01/02/2010; ex pluribus conf. Cass. n. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 9693 del 19/04/2018).

Risulta -in linea generale- infatti senz’altro infondata l’eccezione in oggetto, essendo altresì pacifico in giurisprudenza che “In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011″ (Cass. n. 11171 del 30/05/2016). La stessa di contro è tuttavia fondata in relazione alli IRAP, essendo anche pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che ” In tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poichè le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali” (Cass. n. 10483 del 03/05/2018).

In conclusione, il ricorso può essere accolto limitatamente al terzo motivo con riguardo all’IRAP, potendosi peraltro emettere pronuncia di merito di accoglimento parziale del relativo ricorso introduttivo della società contribuente, rigettandosi le restanti censure.

In considerazione della soccombenza largamente prevalente della società contribuente, alla stessa vanno attribuite le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, nella misura di quattro quinti, compensandosi il residuo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso; accoglie il terzo motivo limitatamente all’IRAP anno 2004 e, decidendo nel merito, in questi limiti accoglie il relativo ricorso introduttivo della lite; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nella misura di quattro quinti che liquida in Euro 4.000 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13. comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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