Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10504 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. I, 03/06/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 03/06/2020), n.10504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6988-2019 r.g. proposto da:

R.M.A., (cod. fisc.), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Giovanni Enrico Arcieri, con cui elettivamente domicilia in Roma,

Via Merulana n. 272, presso lo studio dell’Avvocato Maria Feoli;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA di Roma;

– intimata –

avverso il provvedimento del Giudice di Pace di Roma, depositato in

data 18.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/1/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il provvedimento impugnato il Giudice di Pace di Roma ha rigettato l’opposizione presentata da R.M.A., cittadino degli (OMISSIS), avverso il decreto di espulsione adottato dal Prefetto di Roma in data 10.9.2018.

Il Giudice di Pace ha ritenuto: che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 prevede la condizione di non espellibilità dello straniero, se quest’ultimo risulta essere convivente con coniuge cittadino italiano; che tale condizione non ricorreva nel caso di specie, non essendo stato contratto matrimonio tra l’odierno ricorrente e la P.M., la quale aveva solo dichiarato di avere una relazione sentimentale ed una convivenza con il cittadino (OMISSIS); che non era applicabile neanche il disposto di cui al D.Lgs. n. 76 del 2016, art. 1, comma 36, in tema di definizione della “convivenza di fatto” e di equiparazione di quest’ultima al matrimonio; che, infatti, non erano stati forniti elementi utili a fondare un giudizio di sussistenza di una convivenza di fatto, in quanto non era stata provata la residenza della P. in (OMISSIS) nè un legittimo titolo per la detenzione del predetto immobile (proprietà ovvero contratto di locazione) e non erano state neanche dimostrate le condizioni della reciproca assistenza morale e materiale tra le parti; che, comunque, non era predicabile un’estensione analogica della disciplina di cui al predetto art. 19 alle convivenze di fatto.

2. Il provvedimento, pubblicato il 18.12.2018, è stato impugnato da R.M.A. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18 per l’illegittimo riconoscimento di legittimazione processuale, in capo alla Questura di Roma.

2. Con il secondo motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 702 ter medesimo codice di rito, per il ritenuto mancato raggiungimento della prova, in merito alla convivenza del ricorrente con la cittadina italiana, fatto non contestato dalla controparte e comunque difetto di istruttoria per omessa escussione della convivente more uxorio.

3. Con il terzo mezzo il ricorrente articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, vizio di violazione della L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 36, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 e 2 bis, nonchè art. 19, comma 2, lett. c, in relazione alla condizione di non espellibilità riferita al rapporto di convivenza more uxorio e comunque omessa valutazione di un elemento decisivo, nell’ambito della scelta nell’adozione del decreto espulsivo.

4. Il quarto mezzo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vizio di violazione di legge per illegittima previsione di un divieto di rientro, in contrasto con l’art. 11 dir. 2008/115/CE, con omessa disapplicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13 e 14, nella parte contrastante con la normativa soprannazionale.

5. il ricorso è infondato.

5.1 Occorre esaminare, per ragioni di pregiudizialità logica, il terzo motivo.

5.1.1 Deve essere, infatti, esaminata per prima la doglianza sollevata nel terzo motivo perchè il suo scrutinio è pregiudiziale all’esame della censura mossa alla decisione istruttoria di non assumere la testimonianza della sopra indicata testimone.

5.1.2 Sul punto, giova preliminarmente ricordare che, secondo il disposto normativo di cui all’art. 19, comma 2, lett. c, del t. un. imm., rubricato “Divieti di espulsione e di respingimento. Disposizioni in materia di categorie vulnerabili”, non è consentita l’espulsione, salvo che nei casi previsti dall’art. 13, comma 1, nei confronti “… c) degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana…”.

5.1.2.1 Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha sempre affermato il principio (cui anche questo Collegio intende uniformarsi) secondo il quale la convivenza “more uxorio” dello straniero con un cittadino, ancorchè giustificata dal tempo necessario affinchè uno o entrambi i conviventi ottengano la sentenza di scioglimento del matrimonio dal proprio coniuge, non rientra tra le ipotesi tassative di divieto di espulsione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 le quali, essendo previste in deroga alla regola generale dell’obbligo di espulsione nelle fattispecie contemplate dall’art. 13 D.Lgs. cit., non sono suscettibili di interpretazione analogica o estensiva; nè, manifestamente, contrasta con principi costituzionali la previsione (contenuta nell’art. 19 cit.) del divieto di espulsione solo per lo straniero coniugato con un cittadino italiano e per lo straniero convivente con cittadini che siano con lo stesso in rapporto di parentela entro il secondo grado, atteso che essa risponde all’esigenza di tutelare da un lato l’unità della famiglia, dall’altro il vincolo parentale e riguarda persone che si trovano in una situazione di certezza di rapporti giuridici, che è invece assente nella convivenza “more uxorio” (cfr., da ultimo: Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 8889 del 29/03/2019; v. anche: Cass. 23 luglio 2004, n. 13810). Ed invero, è stato affermato espressamente nell’arresto da ultimo ricordato, che “Questa Corte, infatti, in merito all’espulsione amministrativa dello straniero prevista dal menzionato D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13 ha più volte affermato che il relativo provvedimento costituisce un atto vincolato che il Prefetto e tenuto ad adottare tutte le volte in cui ricorra una delle tre fattispecie indicate dalla norma e, quindi, per quel che interessa allorchè lo straniero si sia trattenuto nel territorio dello Stato senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto ovvero in cui permesso sia scaduto da più di 60 giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo (comma 2 sub b).

Rispetto a tale regola fa normativa contenuta nell’art. 19 comporta, dunque, altrettante deroghe che non consistono comunque di disporre l’espulsione dello straniero, che il legislatore ha introdotto fra le “disposizioni di carattere umanitario”; e che dunque non sono suscettibili di interpretazione analogica oppure estensiva nè applicabili al di fuori delle ipotesi tassative previste dalla norma. E fra di esse, come riconosce la stessa ricorrente, non rientra la convivenza more uxorio neppure ove giustificata dal tempo necessario affinchè l’uno o entrambi i conviventi ottengano la sentenza di scioglimento de matrimonio dal proprio coniuge, posto che la sola convivenza che ha rilievo per la norma è quella in essa sia congiunta alla parentela entro il quarto grado con cittadini di nazionalità italiana. E che, per converso, la mera convivenza fra soggetti non legati dal vincolo di parentela assume la medesima valenza solo quando essa si trasformi in un rapporto di coniugio con un cittadino italiano: la previsione del divieto di espulsione solo per lo straniero coniugato con un cittadino italiano e per lo straniero convivente con cittadini che siano con lo stesso in rapporto di parentela entro il quarto grado risponde, infatti, come ha rilevato la Corte Costituzionale, all’esigenza di tutelare, da un lato l’unità della famiglia, dall’altro il vincolo parentale e riguarda persone che si trovano in una situazione di certezza di rapporti giuridici; che è invece assente nella convivenza more uxorio.

Ragion per cui la stessa Consulta ha ripetutamente dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del menzionato art. 19 nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero convivente “more uxorio” con un cittadino Italiano (Corte Costit. 481/2000; 313/2000)” (cfr. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3622 del 24/02/2004).

5.1.2.2 Da questo consolidato e condivisibile principio giurisprudenziale, questo Collegio non ha ragione di discostarsi, anche alla luce della novità normativa rappresentata dalla L. 20 maggio 2016, n. 76, art. 1, comma 36 (“Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”), che ha fornito, ora, la definizione di convivenza secondo la seguente espressione normativa: “Ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.

La norma da ultimo citata non deroga espressamente al regime di non espellibilità, come previsto dal sopra ricordato art. 19, comma 2, lett. c t. un. imm., e non dispone nella materia in esame alcuna previsione che preveda un regime di equiparazione tra rapporto di “convivenza di fatto” e rapporto coniugale formalmente contratto, come invece disposto espressamente per altri istituti di carattere patrimoniale, richiamati nei commi dal 37 e 67 dell’art. 1 sopra citato.

5.1.2.3 Ne consegue che risulta attuale e condivisibile il principio secondo cui la tassatività delle ipotesi di divieto di espulsione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 come tali previste in deroga alla regola generale dell’obbligo di espulsione nelle fattispecie contemplate dall’art. 13 D.Lgs. cit., non consenta di interpretare analogicamente ovvero estensivamente tale divieto anche in relazione alla convivenza di fatto, nel senso sopra chiarito.

5.1.3 Il rigetto del terzo motivo assorbe l’esame della doglianza articolata nel secondo motivo, in ordine al contestato rigetto della richiesta istruttoria dell’assunzione della testimonianza dell’asserita convivente, posto che la questione, dedotta nel mezzo di prova da ultimo ricordato, non assume alcun rilievo decisivo ai fini del decidere.

5.2 Ma rigetto del terzo motivo rende inammissibile anche la prima censura per carenza di interesse del ricorrente.

5.2.1 E’ pur vero che la giurisprudenza espressa da questa Corte ha costantemente affermato che nei giudizi di opposizione al provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero, la legittimazione passiva appartiene in via esclusiva, personale e permanente al Prefetto, in quanto autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto contro il Questore (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 28869 del 29/12/2005; Sez. 6, Ordinanza n. 16178 del 30/07/2015; Sez. 1, Sentenza n. 28869 del 29/12/2005). Tuttavia, la contestazione del ricorrente – in ordine alle informazioni fornite dalla questura in relazione alla convivenza con la cittadina italiana – perde rilievo (e dunque non sussiste interesse ad impugnare), se si considera che, come già affermato per il secondo motivo, la questione della convivenza non rileva, in alcun modo, in relazione alla contestata causa ostativa alla espulsione, per come disposta dall’art. 19, comma 2, lett. c t.u. imm., così rendendo non rilevanti le contestazioni in ordine alla legittimazione della questura – ad interloquire sull’oggetto del giudizio di opposizione all’espulsione.

5.3 Anche il quarto motivo non è fondato, posto che l’art. 11 della dir. 2008/115/CE lascia ampi margini di discrezionalità al legislatore nazionale per normare ulteriori ipotesi di divieto di ingresso, rispetto a quelle specificatamente previste nel comma 1, così potendosi escludere qualsiasi ipotesi di contrasto tra la normativa unionista e quella nazionale dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13 e 14, nei termini prospettati dal ricorrente.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

PQM

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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