Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10503 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2021, (ud. 28/10/2020, dep. 21/04/2021), n.10503

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 23048 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

E.C., società a responsabilità limitata, in persona del legale

rappresentante pro tempore;

-intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Friuli Venezia-Giulia n. 114/08/2014, depositata in

data 24 febbraio 2014 non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 ottobre 2020 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera

Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 114/08/2014, depositata in data 24 febbraio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia rigettava l’appello dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di E.C., società a responsabilità limitata, in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 167/01/2012 della Commissione tributaria provinciale di Trieste che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d-ter), aveva contestato nei confronti di quest’ultima, esercente attività principale di riciclaggio rifiuti, maggiori ricavi, ai fini Ires, Irap e Iva, per l’anno di imposta 2006, per infedele indicazione da parte della società di una causa di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore e conseguente illegittima mancata compilazione del prospetto dello studio di settore relativo all’attività prevalente (di riciclaggio rifiuti), non allegato alla dichiarazione dei redditi Modello Unico 2007, non potendo valere, ad avviso dell’Amministrazione, come causa di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore la circostanza dichiarata dalla contribuente relativa all’inizi o – in aggiunta all’attività principale – dell’ulteriore attività marginale di estrazione di pietra da costruzione nell’anno 2006, non essendo i ricavi relativi a tale attività risultati superiori al 20% dei ricavi complessivi, quale condizione necessaria a tal fine, in base alla Circ. n. 58/E del 2002 par. 10.4 e al D.M. 20 marzo 2007, art. 3, comma 1, lett. a);

– in punto di diritto, la CTR confermando la decisione di primo grado ha affermato che: 1) la società contribuente aveva già legittimamente eccepito, impugnando l’avviso di accertamento in questione, la inapplicabilità retroattiva all’accertamento in questione (2004) del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d-ter (che legittima la ricostruzione del reddito imponibile in assenza di modello contenente i dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore o in caso di infedele indicazione di una causa di esclusione o non applicazione degli studi di settore) introdotto dal D.L. n. 98 del 2011, come convertito dalla L. n. 111 del 2011, trattandosi di norma tributaria “con valenza limitata al tempo successivo alla sua entrata in vigore”; 2) l’avviso era illegittimo tenuto conto della regolarità della contabilità dell’impresa e della sussistenza della dichiarata causa di esclusione dell’applicazione degli studi di settore in presenza di una nuova attività di produzione; 3) l’Agenzia andava condannata al pagamento delle spese processuali del secondo grado di giudizio;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi; rimane intimata la contribuente; -il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, per avere la CTR erroneamente condannato l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali del grado di appello nonostante la società contribuente non si fosse costituita in sede di gravame;

– il motivo è fondato;

– questa Corte ha affermato il condivisibile principio secondo cui “In tema di contenzioso tributario, la corretta interpretazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15 impone al giudice tributario, ove risulti dimostrata l’attività professionale svolta nel giudizio, di liquidare, nelle spese di lite poste a carico della parte soccombente, anche le voci relative ai “diritti” spettanti al difensore, che rivesta la qualità di procuratore legalmente esercente la professione di avvocato, in quanto il giudice è tenuto, nel liquidare le spese, ad utilizzare i parametri previsti dalla tariffa forense vigente (nella specie, D.M. Giustizia, 5 ottobre 1994, n. 585), tra i quali è specificamente indicata anche la voce in questione” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18894 del 16/09/2011); nella richiamata pronuncia si è precisato che “La rubrica del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15 (“spese del giudizio”) e la collocazione sistematica del comma 2 tra altri due commi concernenti la disciplina delle spese del giudizio tributario, esclude poi ogni dubbio in ordine ad una diversa interpretazione della disposizione in esame volta a restringerne l’ambito applicativo alla mera disciplina del corrispettivo nel rapporto d’opera professionale tra il cliente ed il soggetto incaricato della difesa tecnica (vedi Corte cass. V sei. 18.1.2008 n. 1035: “in tema di contenzioso tributario, la richiesta di condanna della controparte alle spese di lite, come si comprende dalla lettura del D.Lgs.. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15, comma 2, deve essere accompagnata dalla “nota spesa di lite”, in cui le spese processuali devono essere riportate in modo dettagliato in apposita nota che, ai sensi dell’art. disp. att. c.p.c., deve contenere, in modo distinto e specifico, gli onorari e tutti i costi sostenuti.”; vedi anche Corte cass. V sez. 7.3.2002 n. 3355 che ai fini della determinazione del valore della controversia e della conseguente liquidazione delle spese di lite? a favore di ragioniere o perito commerciale/ dichiara che il valore della lite deve essere determinato ai sensi della relativa tariffa professionale, nella specie del D.P.R. 6 marzo 1997, n. 100, art. 47, comma 3, lett. e));

– nella specie, la CTR non si è attenuta al suddetto principio nel condannare l’Agenzia alla rifusione delle spese processuali del grado di appello, pur avendo dato atto, nella parte in fatto della sentenza, del mancato svolgimento da parte della società appellata di alcuna attività difensiva in sede gravame e, dunque, della sua mancata costituzione in giudizio;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d-ter per avere la CTR erroneamente confermato la illegittimità dell’atto impositivo sul presupposto che l’art. 39, comma 2, lett. d-ter cit. – che disciplina l’accertamento induttivo “puro” del reddito di impresa in base a c.d. presunzioni c.d. super semplici allorquando viene rilevata “l’omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonchè l’indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti” – trovasse applicazione esclusivamente in relazione ad annualità successive alla sua entrata in vigore (2011), in considerazione della natura di c.d. norma sostanziale della stessa, ancorchè, per giurisprudenza costante di legittimità, fosse indiscusso il carattere di norma procedimentale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 (e dunque anche della lett. d)ter del comma 2);

– il motivo è fondato;

– il D.L. n. 98 del 2011, art. 23, comma 28, lett. c), convertito in L. n. 111 del 2011 ha introdotto nell’art. 39, comma 2, il comma d-ter) che – nella formulazione originaria- ha previsto la possibilità di procedere all’accertamento induttivo “puro” sulla base delle presunzioni c.d. super semplici “quando viene rilevata l’omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonchè l’indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti. La presente disposizione si applica a condizione che siano irrogabili le sanzioni di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, comma 2-bis”;

– pertanto, la possibilità di utilizzare metodi di accertamento di tipo induttivo “puro” è stata condizionata alla circostanza che le irregolarità compiute dal contribuente siano tali da rendere applicabili le ulteriori sanzioni introdotte con la legge finanziaria 2007 (che ha introdotto il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, comma 2-bis), vale a dire che il maggior reddito d’impresa ovvero di arte o professione accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore, sia superiore al 10 per cento del reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato; in particolare (come anche chiarito con la Circ. n. 31/E del 2007 in merito alla disapplicazione della L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 4-bis) per superare la preclusione in sede di accertamento, non è necessario che sia intervenuta l’effettiva irrogazione della sanzione, ma, piuttosto, che risultino verificati i presupposti oggettivi posti a base della norma sanzionatoria;

– Il D.L. n. 16 del 2012, art. 8 ha poi così modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d-ter “in caso di omessa presentazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore o di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti, nonchè di infedele compilazione dei predetti modelli che comporti una differenza superiore al quindici per cento, o comunque ad Euro cinquantamila, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore sulla base dei dati corretti e quelli stimati sulla base dei dati indicati in dichiarazione”;

– avendo questa Corte già affermato, in termini generali, “che le norme di natura sostanziale continuano a essere contenute, agli specifici fini, nel T.U.I.R., mentre le norme procedimentali, che costituiscono lo strumento normativo attraverso il quale si dispiega l’attività accertatrice, continuano a loro volta a essere contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973” (Cass. n. 13776 del 2013), chiara è la natura di norma procedimentale della disposizione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d-ter, con conseguente applicabilità della stessa anche ad accertamenti relativi ad annualità precedenti alla sua entrata in vigore (2011), trattandosi di regolamentazione di una ipotesi di accertamento induttivo “puro” allorquando i contribuenti omettano o dichiarino infedelmente i dati previsti nei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, ovvero indichino cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti, sempre che emerga altresì una certa differenza (superiore al dieci per cento, in base alla formulazione originaria, ovvero al quindici per cento, o comunque ad Euro cinquantamila, in base alla novella del 2012) tra il maggior reddito accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore e quello dichiarato; in particolare, tale differenza costituisce non già un presupposto impositivo ma una condizione di procedibilità dell’accertamento induttivo medesimo;

– ne consegue l’enunciazione del seguente principio di diritto: “il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d-ter, introdotta dal D.L. n. 98 del 2011, art. 23, comma 28, lett. c), convertito nella L. n. 111 del 2011 – nella formulazione originaria, applicabile ratione temporis alla fattispecie- ha natura procedimentale poichè regola l’attività accertatrice dell’Amministrazione, sicchè l’accertamento induttivo cd. puro può essere legittimamente esperito anche per annualità anteriori alla data di entrata in vigore della norma quando siano rilevate “l’omessa o infedele indicazione dei dati” previsti nei modelli ai fini dell’applicazione degli studi di settore, ovvero “l’indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti” sempre che siano irrogabili le sanzioni di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, comma 2-bis, ipotesi ricorrente allorquando il maggior reddito d’impresa ovvero di arte o professione accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore, sia superiore al 10 per cento del reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato “;

– nel caso di specie, la CTR non si è attenuta al suddetto principio di diritto, affermando la inapplicabilità retroattiva dell’art. 39, comma 2, lett. d-ter cit., trattandosi “di norma tributaria con valenza limitata al tempo successivo alla sua entrata in vigore”;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d) e d-ter, L. n. 146 del 1998, art. 10, D.M. 20 marzo 1973, per avere la CTR erroneamente confermato l’illegittimità dell’atto impositivo sussistendo, nella specie, la regolarità della contabilità di impresa e una causa di esclusione dell’applicazione degli studi di settore “in presenza di nuova attività di produzione”, ancorchè: A) da un lato – trattandosi, nella specie, di un accertamento induttivo D.P.R. n. 600 del 73, ex art. 39, comma 2, lett. d-ter e non già ex art. 39, comma 2, lett. d) – fosse irrilevante di per sè la regolarità della tenuta della contabilità; B) dall’altro, in ossequio al D.L. n. 331 del 1993, art. 62-bis, L. n. 146 del 1998, art. 10 e al D.M. 20 marzo 2007, la causa di inapplicabilità degli studi di settore, nel caso di esercizio di due o più attività di impresa, non rientranti nel medesimo studio di settore, per i quali non è stata tenuta l’annotazione separata, operasse soltanto nel caso in cui il rapporto tra i ricavi derivanti da quella iniziata o cessata e quelli complessivi fosse superiore al 20%, condizione, nella specie, pacificamente insussistente;

– il motivo, sotto entrambi i profili prospettati, è fondato per le ragioni di seguito indicate, in parte diverse da quelle dedotte a fondamento della censura medesima;

– emerge dalla stessa sentenza impugnata che, nella specie, l’accertamento è stato condotto dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d-ter, per infedele indicazione da parte della società contribuente di una causa di esclusione dagli studi di settore con conseguente illegittima mancata presentazione -in allegato al M. Unico 2007- del modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione dello studio di settore relativo all’attività prevalente (di riciclaggio rifiuti), non potendo valere, ad avviso dell’Amministrazione, come causa di “esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore la circostanza dichiarata dalla contribuente relativa all’inizio – in aggiunta all’attività principale- dell’ulteriore

attività marginale di cava nell’anno 2006, essendo, a tal fine, necessario che, nel caso di esercizio di due o più attività di impresa, non rientranti nel medesimo studio di settore, i ricavi derivanti dall’attività iniziata o cessata risultassero superiori al 20% dei ricavi complessivi;

– la L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 4, contenente disciplina delle modalità di utilizzazione degli studi di settore nell’accertamento, stabilisce invece che “Le citate disposizioni non si applicano, altresì, ai contribuenti che hanno iniziato o cessato l’attività nel periodo d’imposta ovvero che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attività.”. Ora, la L. del 1998, art. 10 citato, nel contemplare un sistema automatico di accertamento da applicare ai contribuenti che dichiarino redditi inferiori alla media del settore, delimita il proprio ambito di applicazione, prevedendo con il comma 4, a favore del contribuente, una deroga al primo, nel senso che gli accertamenti in base agli studi di settore non possono essere effettuati nei confronti di quei contribuenti che, nell’anno d’imposta in esame, abbiano iniziato o cessato l’attività, trattandosi di situazioni estremamente peculiari ed “anomale” in senso lato, come tali incompatibili con un sistema di determinazione del reddito di tipo automatico presuntivo. Il comma 4 risponde dunque ad una finalità di tutela del contribuente che versi in situazioni, specifiche, di “debolezza” (Cass. Sez. 5, n. 8066 del 2013); trattasi evidentemente di ipotesi in cui “l’attività che il contribuente inizi o cessi nel periodo d’imposta” costituisca attività esclusivamente espletata o cessata dal medesimo nel periodo in contestazione;

– accanto alle cause di esclusione dagli studi di settore che costituiscono il frutto di valutazioni più generali valide per qualsiasi tipo di studio, con conseguente la non applicabilità nei confronti del contribuente sia degli studi di settore che dei parametri, sussistono cause di inapplicabilità degli studi di settore consistenti in circostanze che riguardano tipicamente gli studi di settore e che possono in teoria essere divergenti a seconda della macroarea di attività considerata. Si tratta di quelle condizioni ostative aventi la propria ragion d’essere in peculiarità che caratterizzano la singola attività concretamente svolta ponendola al di fuori del modello assunto a riferimento durante la costruzione dello studio di settore;

– i decreti di approvazione degli studi di settore relativi alle attività economiche nei settori del commercio, delle manifatture e dei servizi, hanno previsto che gli stessi non si applicano, tra l’altro, “nel caso di esercizio di due o più attività d’impresa non rientranti nel medesimo studio di settore ed in assenza giustificata di separata contabilizzazione (c.d. imprese multiattività), se l’importo complessivo dei ricavi dichiarati relativi alle attività non prevalenti (non rientranti tra quelle prese in considerazione dallo studio di settore) supera il 20 per cento dell’ammontare totale dei ricavi dichiarati”;

– si precisa tuttavia che il decreto dirigenziale 24 dicembre 1999, pubblicato sulla G.U. 29 dicembre 1999, n. 304, introducendo l’obbligo dell’annotazione separata di tutti gli elementi rilevanti ai fini della applicazione degli studi di settore, per ciascun punto di produzione e/o di vendita, ovvero per ciascuna attività esercitata, ha rimosso, in linea di principio, le cause di inapplicabilità stabilite dai decreti ministeriali di approvazione degli studi stessi; infatti, l’introduzione dell’obbligo di annotazione separata fa venir meno le condizioni di inapplicabilità a seguito della rilevazione separata degli elementi, strutturali e contabili, sui quali si basa l’applicazione degli studi di settore relativamente ai diversi punti di produzione o di vendita ovvero alle diverse attività esercitate; tale prescrizione sussiste solo se per tutte le attività esercitate è possibile applicare gli studi di settore. In presenza di una o più attività, anche marginali in termini di ricavi, non “soggette” a studi di settore, tale obbligo non sussiste (v. D.M. del Ministerodell’economia e delle finanze del 30 marzo 2002 -Approvazione di criteri per l’applicazione degli studi di settore ai contribuenti che esercitano due o più attività d’impresa ovvero una o più attività in diverse unità di produzione o di vendita – Tali criteri si applicano a partire dall’anno 2001, limitatamente alle attività indicate nella tabella di cui all’allegato 1.A nel cui elenco sono ricomprese espressamente le “attività di estrazione di pietre da costruzione”- art. 3, comma 1 “I criteri indicati nell’art. 1 non si applicano nei confronti dei contribuenti che: c) esercitano due o più attività d’impresa non rientranti nel medesimo studio di settore, nel caso in cui l’importo dei ricavi conseguiti nel periodo d’imposta, relativo alle attività non prevalenti, sia non superiore al 20 per cento dell’ammontare complessivo dei ricavi conseguiti nello stesso periodo);

– premesso il ricostruito quadro normativo in materia, nel caso di specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, in quanto, a fronte dell’accertamento dell’Ufficio D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, lett. d-ter, per infedele indicazione da parte della società contribuente della causa di esclusione o inapplicabilità dagli studi di settore, relativa “all’inizio della marginale – in aggiunta alla principale di riciclaggio dei rifiuti- attività (di cava)nell’anno 2006”, con conseguente contestata omessa presentazione dello studio di settore relativo all’attività prevalente (di riciclaggio di rifiuti) si è limitata ad affermare l’illegittimità dell’avviso tenuto conto, da un lato, della regolarità della contabilità – come tale irrilevante, avendo l’Ufficio condotto l’accertamento non già ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d) – in base al quale rilevano di per sè la gravità, numerosità e irregolarità formale delle scritture contabili tali da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica – ma ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d-ter – e, dall’altro della “sussistenza della causa di esclusione dell’applicazione degli studi di settore in presenza di una nuova attività di produzione”, senza verificare se, trattandosi pacificamente di una attività (di cava) marginale, in aggiunta alla principale (di riciclaggio dei rifiuti) e dunque, in quanto tale, alla luce del quadro normativo sopra delineato, non soggetta allo studio di settore, sussistesse, stante l’obbligatorietà della annotazione separata nel 2006, in relazione all’altra attività principale, l’obbligo di presentazione del corrispondente studio di settore;

– in conclusione il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia, in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia, in diversa composizione;

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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