Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10500 del 12/05/2011

Cassazione civile sez. I, 12/05/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 12/05/2011), n.10500

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – rel. Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Z.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA APPIA NUOVA 96, presso l’avvocato ROLFO

PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato CALANDRA GIROLAMO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositato il

30/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2011 dal Presidente Dott. LUIGI ANTONIO ROVELLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI NICOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO

Con ricorso depositato il 4 Aprile 2008, Z.G. adiva la Corte d’appello di Palermo chiedendo che, relativamente a un giudizio da essa instaurato in data 30 Novembre 2000 dinanzi al TAR di Palermo, diretto ad ottenere il riconoscimento dall’A.U.S.L. n. 6 e dall’Azienda ospedaliera universitaria (OMISSIS) delle differenze retributive ed accessori per i periodi nei quali avrebbe dovuto essere inquadrata nella qualifica di biologo collaboratore anzichè di tecnico di laboratorio, giudizio dal TAR dichiarato inammissibile con sentenza depositata il 2 luglio 2007, fosse accertata la violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, con conseguente condanna del Ministero dell’Economia, in applicazione della L. n. 89 del 2001, al pagamento di una somma pari a Euro 6.000,00, quale equa riparazione del danno non patrimoniale.

Si è costituito il Ministero dell’Economia chiedendo il rigetto o, in subordine, per il caso di accoglimento, il riconoscimento dell’indennizzo nei limiti consentiti dall’ordinamento.

La Corte palermitana, con sentenza depositata il 30 Ottobre 2008, rigetta il ricorso compensando le spese.

Argomentava la Corte territoriale che il procedimento davanti al TAR si è concluso con una pronunzia di inammissibilità per essere stata la domanda, relativa a pretese inerenti a rapporti di pubblico impiego per un periodo anteriore al 30 Giugno 1998, proposta dopo il termine del 15 Settembre 2000, termine qualifica come “a pena di decadenza” D.Lgs. n. 165 del 2001. Nè attribuiva rilievo di questione rilevante, alla querelle interpretativa se detto termine fosse il contenuto meramente processuale o sostanziale rilevante che “sia nel caso che si considerasse il predetto termine a contenuto meramente processuale … di decadenza sostanziale di pretesa è stata consapevolmente azionata dopo la scadenza del termine in questione, dinanzi al giudice che difettava della relativa giurisdizione”.

Avverso detta decisione la parte rimasta soccombente proponeva tempestivamente ricorso per cassazione affi… tre motivi.

L’Amministrazione intimata non si costituiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo parte ricorrente lamenta non essere conforme a quanto stabilito dalla L. n. 89 nel 2001, art. 2 (oltre che dell’art. 111 Cost.) negare a una parte del processo l’indennizzo per il danno non patrimoniale subito a causa dell’irragionevole durata del processo, solo perchè rimasta soccombente, quando vi è la prova che essa al momento della proposizione del giudizio non era consapevole della sua infondatezza, nè animata da intento delatorio, avendo invece specifico interesse a ottenere una decisione sulla propria pretesa in tempi rapidi. Con il secondo motivo, deducendosi violazione delle stesse disposizioni di legge, sotto altri profili, si deduce si possa essere negato l’indennizzo in una situazione normativa in cui l’esito del giudizio proposto davanti al giudice amministrativo avrebbe dovuto essere di difetto di giurisdizione, ma con possibilità di prosecuzione davanti al giudice ordinario, mentre essi si è poi definito nel senso dell’inammissibilità per decadenza salva seguenti di sopravvenuta decisione della Corte Costituzionale.

Con il terzo motivo, ancora deducendosi vizio di legittimità con riferimento alle norme sopra richiamate si ripropone la medesima questione rilevante che, sul combinato disposto dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 la stessa parte rimasta soccombente dinanzi il TAR aveva proposto argomentata questione di legittimità costituzionale.

Tali motivi che, per la loro connessione, devono essere congiuntamente esaminati, appaiono fondati e devono essere accolti alla stregua dei rilievi che seguono.

Come affermato da numerose sentenze di questa Suprema Corte (v. Cass. S.U. 23 Ottobre 2008 n. 256161; Cass. 8 Marzo 2006 n. 10485) non rileva, ai fini della motivazione del diritto all’indennizzo per la non ragionevole durata del processo, il fatto in sè della soccombenza, salvo che in presenza di un’originaria consapevolezza dell’inconsistenza delle proprie istanze, dato che in questi casi difetta la stessa condizione soggettiva di incertezza e viene mero il presupposto stesso del verificarsi di uno stato di disagio e sofferenza (tanto più quando la parte oltre che consapevole del proprio torto avesse interesse a rinviare nel tempo la decisone sfavorevole). Nella specie la parte ha azionato una propria pretesa verso la P.A., derivante da rapporti di pubblico impiego, dopo il termine del 15 Settembre 2000, previsto dal D.Lgs. n. 80 del 1998 come azioni ancora attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e relative a questioni attinenti al periodo di rapporto di lavoro anteriore al 30 Giugno 1998. Nel periodo in cui l’azione fu proposta (30 Novembre 2000) era, in effetti, già palese che il Giudice adito difettasse di giurisdizione ma, a differenza di quanto ritenuto, con valenza di ratio decidendi dalla Corte palermitana, non era affatto indifferente la questione se la proposizione della domanda dopo la scadenza del termine del 30 Settembre 2000 fosse di rilevanza solo processuale ovvero producesse effetti di diritto sostanziale, determinanti la decadenza del diritto azionato. Nel primo caso alla pronunzia di difetto di giurisdizione ad opera del giudice adito sarebbe seguita (a seguito delle note sentenze della Cassazione e, poi, della Corte Costituzionale) la traslatio iudicii” davanti al giudice ordinario, con piena salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda affetta da un vizio sanabile con efficacia ex tunc. Questa fu la questione dibattuta nel giudizio davanti al giudice amministrativo e il cui esito fu determinato dapprima dalla disposizione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 (che, autenticamente interpretando sul punto la corrispondente disposizione del D.Lgs. n. 80 del 1998, attribuì espressamente natura sostanziale e non processuale alla determinazione normativa del termine del 15 Settembre 2000); e successivamente, dopo che si dibattè (anche nella controversia iniziata dall’odierna ricorrente, davanti al TAR Palermitano) sulla legittimità costituzionale del predetto art. 69, della pronuncia della Corte Costituzionale (Ord. n.213 e 382 del 2005 e Ord. n.197 del 2006) che hanno definitivamente sanato la natura del suddetto termine come termine di decadenza sostanziale.

L’esito sfavorevole all’odierna ricorrente del giudizio davanti al TAR di Palermo, determinato nel senso dell’esclusione di ogni tutela di diritto sostanziale alla propria pretesa, dall’evoluzione normativa e giurisprudenziale in ordine al regime transitorio nella disciplina del passaggio del pubblico impiego dall’A.G.A. all’A.G.O., non può in alcun modo costituire ragione per escludere per la parte rimasta soccombente di per sè, la tutela predisposta della L. n. 89 del 2001, art. 2, in ipotesi di irragionevole durata del processo.

Devesi pertanto cassare la sentenza impugnata e rinviare anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Palermo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo parte ricorrente lamenta non essere conforme a quanto stabilito dalla L. n. 89 nel 2001, art. 2 (oltre che dell’art. 111 Cost.) negare a una parte del processo l’indennizzo per il danno non patrimoniale subito a causa dell’irragionevole durata del processo, solo perchè rimasta soccombente, quando vi è la prova che essa al momento della proposizione del giudizio non era consapevole della sua infondatezza, nè animata da intento delatorio, avendo invece specifico interesse a ottenere una decisione sulla propria pretesa in tempi rapidi. Con il secondo motivo, deducendosi violazione delle stesse disposizioni di legge, sotto altri profili, si deduce si possa essere negato l’indennizzo in una situazione normativa in cui l’esito del giudizio proposto davanti al giudice amministrativo avrebbe dovuto essere di difetto di giurisdizione, ma con possibilità di prosecuzione davanti al giudice ordinario, mentre essi si è poi definito nel senso dell’inammissibilità per decadenza salva seguenti di sopravvenuta decisione della Corte Costituzionale.

Con il terzo motivo, ancora deducendosi vizio di legittimità con riferimento alle norme sopra richiamate si ripropone la medesima questione rilevante che, sul combinato disposto dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 la stessa parte rimasta soccombente dinanzi il TAR aveva proposto argomentata questione di legittimità costituzionale.

Tali motivi che, per la loro connessione, devono essere congiuntamente esaminati, appaiono fondati e devono essere accolti alla stregua dei rilievi che seguono.

Come affermato da numerose sentenze di questa Suprema Corte (v. Cass. S.U. 23 Ottobre 2008 n. 256161; Cass. 8 Marzo 2006 n. 10485) non rileva, ai fini della motivazione del diritto all’indennizzo per la non ragionevole durata del processo, il fatto in sè della soccombenza, salvo che in presenza di un’originaria consapevolezza dell’inconsistenza delle proprie istanze, dato che in questi casi difetta la stessa condizione soggettiva di incertezza e viene mero il presupposto stesso del verificarsi di uno stato di disagio e sofferenza (tanto più quando la parte oltre che consapevole del proprio torto avesse interesse a rinviare nel tempo la decisone sfavorevole). Nella specie la parte ha azionato una propria pretesa verso la P.A., derivante da rapporti di pubblico impiego, dopo il termine del 15 Settembre 2000, previsto dal D.Lgs. n. 80 del 1998 come azioni ancora attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e relative a questioni attinenti al periodo di rapporto di lavoro anteriore al 30 Giugno 1998. Nel periodo in cui l’azione fu proposta (30 Novembre 2000) era, in effetti, già palese che il Giudice adito difettasse di giurisdizione ma, a differenza di quanto ritenuto, con valenza di ratio decidendi dalla Corte palermitana, non era affatto indifferente la questione se la proposizione della domanda dopo la scadenza del termine del 30 Settembre 2000 fosse di rilevanza solo processuale ovvero producesse effetti di diritto sostanziale, determinanti la decadenza del diritto azionato. Nel primo caso alla pronunzia di difetto di giurisdizione ad opera del giudice adito sarebbe seguita (a seguito delle note sentenze della Cassazione e, poi, della Corte Costituzionale) la traslatio iudicii” davanti al giudice ordinario, con piena salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda affetta da un vizio sanabile con efficacia ex tunc. Questa fu la questione dibattuta nel giudizio davanti al giudice amministrativo e il cui esito fu determinato dapprima dalla disposizione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 (che, autenticamente interpretando sul punto la corrispondente disposizione del D.Lgs. n. 80 del 1998, attribuì espressamente natura sostanziale e non processuale alla determinazione normativa del termine del 15 Settembre 2000); e successivamente, dopo che si dibattè (anche nella controversia iniziata dall’odierna ricorrente, davanti al TAR Palermitano) sulla legittimità costituzionale del predetto art. 69, della pronuncia della Corte Costituzionale (Ord. n.213 e 382 del 2005 e Ord. n.197 del 2006) che hanno definitivamente sanato la natura del suddetto termine come termine di decadenza sostanziale.

L’esito sfavorevole all’odierna ricorrente del giudizio davanti al TAR di Palermo, determinato nel senso dell’esclusione di ogni tutela di diritto sostanziale alla propria pretesa, dall’evoluzione normativa e giurisprudenziale in ordine al regime transitorio nella disciplina del passaggio del pubblico impiego dall’A.G.A. all’A.G.O., non può in alcun modo costituire ragione per escludere per la parte rimasta soccombente di per sè, la tutela predisposta della L. n. 89 del 2001, art. 2, in ipotesi di irragionevole durata del processo.

Devesi pertanto cassare la sentenza impugnata e rinviare anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Palermo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra Sezione della Corte di Appello di Palermo.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2011

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