Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1050 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, (ud. 20/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11747-2015 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che la rappresenta e difende per legge;

– ricorrente –

contro

S.G., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA DEL RISORGIMENTO 36, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

CAPITELLA, che li rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1797/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/07/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

P.G. ed altri convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la Repubblica italiana in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo il risarcimento del danno per ritardata attuazione della direttiva 82/76/CEE con riferimento al conseguito diploma di specializzazione. Il Tribunale adito rigettò la domanda accogliendo l’eccezione di prescrizione. Proposero appello gli originari attori e la Corte d’appello di Roma rigettò l’appello. Proposto ricorso per cassazione dagli originari attori, questa Corte con sentenza di data 10 marzo 2010, n. 5842 accolse il terzo motivo con cui si denunciava violazione di diritto, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla corte territoriale.

Per quanto qui rileva osservò questa Corte, con riferimento alla censura relativa all’individuazione del dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione, che la censura doveva ritenersi assorbita dalla cassazione della sentenza in punto di natura dell’azione indennitaria esperibile, che non poteva essere identificata con l’azione basata sull’art. 2043 cod. civ., ma con quella per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, con applicazione della prescrizione decennale. Aggiunse quanto segue: “tenuto conto di ciò, la data di attuazione della direttiva comunitaria nell’ordinamento interno è irrilevante, giacchè il fondamento della risarcibilità del danno postula solo che quest’ultimo si sia verificato dopo la scadenza del termine ultimo prescritto dalla norma comunitaria per il recepimento della direttiva nell’ordinamento interno; data che era, per le direttive nn. 362 e 362/195 del Consiglio il 20 dicembre 1976, e per la direttiva 82/76/CEE il 31 dicembre 1982, secondo quanto ribadito nell’allegato 3, parte B, della direttiva 5 aprile 1993 n. 93/16/CEE. Nella concreta fattispecie di causa, il danno di cui si discute, maturato con il conseguimento di un diploma di specializzazione non conforme alle prescrizioni comunitarie, era posteriore a quelle date, sicchè è con esclusivo riferimento alla data del danno che deve essere riconsiderata la questione del dies a quo di decorrenza della prescrizione”.

Riassunto il giudizio con sentenza di data 18 marzo 2014 la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello, condannò la Repubblica italiana in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri al pagamento delle somme indicate in dispositivo.

Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che, dovendo in applicazione dei principi enunciati da Cass. n. 10813 del 2011 considerarsi decorrente la prescrizione decennale dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11 tutti gli appellanti avevano interrotto la prescrizione con la citazione notificata in data 3 aprile 2000. Aggiunse, con riferimento al risarcimento per la perdita di chance per avere conseguito un diploma escluso dal regime di reciproco ed automatico riconoscimento in ambito comunitario e per la ridotta valutazione del diploma in ambito nazionale rispetto a coloro che si erano specializzati dopo il 1991, che si trattava di danno certamente sussistente, da liquidarsi in via equitativa, “poichè può dirsi notorio che, durante tutto l’arco della carriera dei medici odierni appellanti, si siano svolti concorsi o colloqui o si siano comunque verificate altre potenziali occasioni di lavoro sia in ambito comunitario che interno, rispetto ai quali essi non hanno potuto partecipare o hanno partecipato in condizioni sin dall’inizio di minor punteggio”.

Ha proposto ricorso per cassazione la Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla base di tre motivi. Resistono con unico controricorso P.G. ed altri. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis. 1 cod. proc. civ.. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 384 cod. proc. civ. e art. 2935 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la ricorrente, in relazione all’intimato Augusto Dolci, che la sentenza di legittimità che ha disposto il rinvio ha stabilito che dies a quo di decorrenza della prescrizione è la data di conseguimento del diploma e che la corte territoriale ha violato il detto principio di diritto. Aggiunge che, poichè il Dolci ha conseguito il diploma in epoca successiva alla scadenza del termine per il recepimento delle direttive (31 dicembre 1982), e cioè in data 28 luglio 1986, da tale data decorreva il termine di prescrizione e che in relazione alla data della citazione (3 aprile 2000) il diritto è prescritto.

Il motivo è infondato. Non vi è violazione del principio di diritto enunciato in sede di legittimità perchè con riferimento alla censura relativa all’individuazione del dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione vi è stata dichiarazione di assorbimento del motivo. Per il resto la decisione impugnata è conforme al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il diritto al risarcimento del danno da tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, si prescrive, per coloro i quali avrebbero potuto fruire del compenso nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1983 e la conclusione dell’anno accademico 1990-1991, nel termine decennale decorrente dalla data di entrata in vigore (27 ottobre 1999) della L.19 ottobre 1999, n. 370, il cui art. 11 ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore di quanti, tra costoro, risultavano beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo (fra le tante da ultimo Cass. 15 novembre 2016, n. 23199 e 20 marzo 2014, n. 6606).

Con il secondo motivo del ricorso si denuncia violazione dell’art. 382 c.p.c., comma 3, art. 2043 cod. civ., artt. 5 e 189 Trattato istitutivo della Comunità Europea, art. 117 Cost., nonchè degli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che con riferimento a G.V. ed altri intimati non ricorreva la materia rientrante nell’elenco di cui all’art. 5, n. 2 e art. 7, n. 2 della direttiva.

Il motivo è inammissibile. I motivi di ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che abbiano già formato oggetto del thema decidendum nel giudizio di merito, essendo consentito dedurre nuovi tesi giuridiche e nuovi profili di difesa solo quando esse si fondano su elementi di fatto già dedotti dinanzi al giudice di merito e per i quali non sia perciò necessario procedere ad un nuovo accertamento (Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; 5 giugno 2003, n. 8993).

Va affermato in particolare, richiamando sul punto Cass. 31 marzo 2015, n. 6472, che “- indipendentemente dalla circostanza che non prospetta una mera quaestio iuris, tale non essendo quella della valutazione di corrispondenza di un corso denominato in un certo modo nell’ordinamento interno a quello indicato negli elenchi della disciplina comunitaria, atteso che detta valutazione non poteva essere affrontata solo tramite un mero confronto di denominazione, il che evidenzierebbe che si tratta di questione nuova inammissibile in sede di legittimità – è prospettato in modo del tutto assertivo, non svolgendosi alcuna attività argomentativa tendente a dimostrare perchè i due corsi frequentati dai medici, con le loro denominazioni, non fossero corrispondenti ad alcuno di quelli indicati negli elenchi, di modo che si vorrebbe demandare a questa Corte di ricercare in che modo l’assunto del motivo potrebbe trovare giustificazione”.

Ed invero, come riconosciuto da Cass. n. 23199/2016, allorquando nell’ordinamento italiano un medico specializzatosi, nella situazione di inadempimento statuale alle direttive in materia di medici specializzandi 75/362, 75/363 e 82/76, in un corso di specializzazione non indicato fra quelli indicati come comuni a tutti gli stati membri nell’art. 5 della direttiva 75/363 ed assunto però come equivalente ad un corso di specializzazione comune solo a due o più altri stati membri e come tale indicato nell’art. 7 della direttiva, avesse fatto valere il diritto al risarcimento del danno per il detto inadempimento, il giudice italiano era tenuto a verificare in concreto se quella equivalenza vi fosse, in quanto il diritto comunitario di cui alle dette direttive, ove fosse stato tempestivamente adempiuto dallo Stato Italiano, avrebbe dovuto attribuire al medico che avesse conseguito la specializzazione per il corso non indicato, il diritto di esigere l’adeguata remunerazione, nel presupposto dell’equivalenza del corso ad uno di quelli indicati come comuni soltanto a due o più stati membri, sebbene solo dopo verifica in concreto dell’equivalenza stessa. L’attività di contestazione della sussistenza dell’equivalenza non si connota soltanto come attività di difesa in iure, cioè supponente soltanto la rilevazione della mancanza di indicazione della denominazione del corso fra quelli indicati dall’art. 7, ma suppone anche un’attività di difesa e, dunque, di contestazione, in fatto delle modalità di svolgimento del corso, diretta ad evidenziare l’insussistenza dell’invocata equivalenza e postulante i necessari accertamenti. Trattasi di elementi di fatto di cui non risulta la deduzione nei precedenti gradi di merito.

In secondo luogo va osservato che, in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di Cassazione vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logiche – giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur eventualmente non specificamente esaminate in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia di annullamento, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe infatti a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di Cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità (fra le tante Cass. n. 20981 del 2015, 26241 del 2009, n. 16954 del 2003, n. 8889 del 2003). In ordine alla questione di cui al motivo di ricorso deve pertanto ritenersi intervenuto il giudicato implicito interno.

Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 384 cod. proc. civ., art. 2697 cod. civ. e art. 115 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la ricorrente che, avendo la Corte di cassazione, con la sentenza che ha disposto il rinvio, affermato che “un’applicazione retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione della direttiva è da ritenere sufficiente a garantire l’adeguatezza del risarcimento del danno subito, a meno che i beneficiari non abbiano dimostrato l’esistenza di danni ulteriori da essi eventualmente subiti per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi pecuniari garantiti dalla direttiva”, risulta violato il detto principio di diritto. Aggiunge che era onere degli appellanti dimostrare l’esistenza di danni ulteriori e che la Corte d’appello non poteva quindi riconoscere che il danno da perdita di chance era certamente sussistente e liquidarlo in via equitativa. Osserva inoltre che, dovendo gli attori fornire la prova della perdita di occasioni di lavoro o della partecipazione a concorsi con maggior punteggio, il giudice di appello aveva invertito l’onere della prova e che non era stata provata in concreto la perdita di occasioni lavorative o la partecipazione a concorsi. Aggiunge che l’ambito di applicazione dell’istituto del fatto notorio esula dalle vicende delle singole specializzazioni mediche, non potendo tali vicende, verificatesi peraltro in un arco di tempo amplissimo, rientrare nelle cognizioni generali diffuse a livello sociale e che comunque, essendo la regola del notorio un’eccezionale deroga all’onere della prova, essa non può trovare applicazione quando sia agevole per l’interessato produrre prova documentale del fatto allegato (peraltro nessuno degli interessanti aveva avuto cura di precisare se operasse o meno nella sanità pubblica).

Il motivo è fondato. Va premesso che alla luce della giurisprudenza comunitaria spetta all’ordinamento giuridico di interno di ciascuno Stato membro fissare i criteri che consentono di determinare l’entità del risarcimento, fermo restando che essi non possono essere meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi fondati sul diritto interno e che non possono in nessun caso essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile il risarcimento. Come affermato da Cass. n. 1917 del 2012 e 5533 del 2012, cui si rinvia per lo sviluppo argomentativo, con la L. n. 370 del 1999, art. 11 lo Stato italiano, in coerenza ai criteri dettati dalla Corte di giustizia, ha compiuto una aestimatio del danno da ritardata attuazione della direttiva comunitaria in grado di contemplare le sue diverse componenti, e dunque tanto il danno da mancata percezione della remunerazione adeguata da parte dello specializzando, quanto il pregiudizio relativo all’inidoneità del diploma di specializzazione al riconoscimento negli altri stati membri, e al suo minor valore sul piano interno ai fini dei concorsi per l’accesso ai profili professionali. E’ stato inoltre affermato che il parametro di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11 è di per sè sufficiente a coprire tutta l’area dei pregiudizi causalmente collegabili al tardivo adempimento del legislatore italiano all’obbligo di trasposizione della normativa comunitaria, salva la rigorosa prova, da parte del danneggiato, di circostanze diverse da quelle normali, tempestivamente e analiticamente dedotte in giudizio prima della maturazione delle preclusioni assertive o di merito e di quelle istruttorie (Cass. n. 14376 del 2015).

La decisione impugnata fa riferimento, ai fini della liquidazione del danno in via equitativa, genericamente all’esclusione del diploma dal reciproco riconoscimento in ambito comunitario ed alla sua ridotta valutazione in ambito comunitario. Come evidenziato da Cass. n. 5533 del 2012, “una sottrazione al criterio di aestimatio di cui al citato art. 11 si potrebbe ipotizzare per casi nei quali il medico, dopo avere conseguito di diploma di specializzazione seguendo un corso in situazione di inattuazione delle direttive, non avesse perduto la generica chance che avrebbe avuto se il diploma fosse stato conforme alle direttive Europee e, quindi, quella ricollegata alla mera idoneità del diploma, o meglio alle mere potenzialità del diploma, bensì avesse subito un vero e proprio danno emergente per non avere potuto effettivamente ed in concreto utilizzare il diploma per conseguire un beneficio, che, invece, sarebbe stato certamente acquisitole se il diploma fosse stato raggiunto all’esito di un corso rispettoso delle direttive (si pensi alla dimostrazione di avere perso un’occasione di lavoro in altro paese comunitario, per la non conformità del diploma alle direttive, che, com’è noto, prevedevano taluni standards proprio per garantire il riconoscimento del diploma in tutti i paesi comunitari)”. Uno specifico danno emergente, nei termini indicati, non risulta accertato dal giudice di merito. L’inidoneità del diploma di specializzazione al riconoscimento negli altri stati membri, e il suo minor valore sul piano interno ai fini dei concorsi per l’accesso ai profili professionali, costituiscono pertanto componenti del danno risarcibile ma, in mancanza di prova di uno specifico danno emergente, rientrano nella liquidazione cui ha provveduto la L. n. 370 del 1999, art. 11.

In tali sensi è il principio di diritto enunciato dalla sentenza di questa Corte che ha disposto il rinvio, in base al quale “poichè un’applicazione retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione della direttiva è da ritenere sufficiente a garantire l’adeguatezza del risarcimento del danno subito, a meno che i beneficiari non abbiano dimostrato l’esistenza di danni ulteriori da essi eventualmente subiti per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi pecuniari garantiti dalla direttiva, il giudice del rinvio, nel riesaminare le domande di risarcimento, potrà utilizzare, se ciò occorra per la liquidazione del danno da mancata percezione dell’adeguata retribuzione, i criteri indicati per casi simili dalla L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11”.

Contrariamente al principio di diritto enunciato da questa Corte, disponendo il rinvio al giudice di merito, la Corte d’appello non ha dato rilievo ad uno specifico danno ulteriore, ma alla generica perdita di chance.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda per le due voci di danno ulteriori rispetto alla mancata adeguata retribuzione. Permangono le ragioni di compensazione delle spese per i gradi di merito secondo quanto disposto nel giudizio di appello. Il consolidarsi della giurisprudenza determinante ai fini della risoluzione della controversia in ordine al terzo motivo nel corso del giudizio di rinvio, unitamente alla circostanza dell’accoglimento solo parziale del ricorso, costituiscono ragione di compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il terzo motivo e per il resto rigetta il ricorso; cassa la decisione impugnata nei limiti del motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda in relazione alle due voci di danno ulteriori rispetto alla mancata adeguata retribuzione; dispone la compensazione delle spese processuali relativamente ai gradi di merito ed al giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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