Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 105 del 04/01/2017

Cassazione civile, sez. II, 04/01/2017, (ud. 20/10/2016, dep.04/01/2017),  n. 105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16036-2012 proposto da:

LAITI COSTRUZIONI SRL – P.I. (OMISSIS) – IN PERSONA DEL LEGALE

RAPP.TE, elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA

29, presso lo studio dell’avvocato BARBARA PICCINI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANILO CERPELLONI;

– ricorrente –

contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1589/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato Piccini Barbara difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Verona, con sentenza del n. 3595 del 20/12/2004, rigettata la domanda avanzata da C.G., con la quale costui aveva chiesto accertarsi l’inadempimento della Laiti Costruzioni s.r.l. e la legittimità del di lui recesso dal contratto preliminare di compravendita stipulato fra le parti, in accoglimento della domanda riconvenzionale, risolse il contratto, con il quale il promittente alienante aveva promesso di vendere alla promissaria acquirente due lotti di terreno edificabili per il prezzo di Lire 670 milioni, dei quali la promissaria, la quale a sua volta si era impegnata a cedere in permuta un immobile, aveva versato Euro 20 milioni a titolo di caparra cofirmataria, oltre a 120 milioni quale acconto, per inadempimento dovuto a colpa del C., che condannò a risarcire il danno, quantificato in Euro 535.345,85.

Con sentenza depositata il 4/7/2011 la Corte di appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta dal C., rigettò la domanda di risarcimento del danno, confermando nel resto la statuizione di primo grado.

Avverso quest’ultima decisione la Laiti Costruzioni s.r.l. propone ricorso per cassazione.

Nel rispetto del perimetro decisorio di legittimità è opportuno, seppure in estrema sintesi, riprendere la vicenda. Il promittente alienante aveva adito il giudice lamentando che la controparte era venuta meno all’obbligo di prestare idonea garanzia per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione al momento del rilascio della concessione edilizia comunale, nonostante i solleciti.

La Laiti, per contro, assunto che l’area da trasferirsi assommava a MC. 3.533 e non 2.033 e che la garanzia avrebbe dovuto essere prestata solo dopo che il C. avesse richiesto ed ottenuto il piano di utilizzo e contestualmente alla stipula della convenzione con il comune, aveva chiesto la risoluzione del contratto per colpa del C. e la condanna del medesimo a risarcire il danno per la mancata edificazione.

Avverso la decisione d’appello propone ricorso per cassazione la Laiti. La controparte non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 2697, 1218, 1223, 1225 e 1256 c.c..

Secondo la prospettazione difensiva la Corte di merito aveva escluso il diritto al risarcimento del danno sul presupposto che lo sfruttamento edificatorio non era certo, violando la regola dell’onere probatorio. Onere che avrebbe dovuto essere assolto dal contraente inadempiente, il quale aveva promesso in vendita lotti di terreno edificabili, garantendo “che tutto il volume sopra descritto (MC. 3.553, secondo la ricorrente) sarà assegnato ai due lotti oggetto della presente compravendita”. A fianco del danno emergente, rappresentato dagli onorari di progettazione, andava riconosciuto il diritto al lucro cessante, derivante dall’impossibilità di realizzare il volume edificatorio promesso. Ciò posto, il Giudice aveva errato nel ritenere che la Laiti non avesse indicato elementi precipui per individuare il danno. Quanto alle conclusioni del CTU, secondo il quale, alla data del rilascio della concessione ad urbanizzare non vi era alcuna certezza che ai due lotti fosse assegnato uno specifico indice edificatorio aggiuntivo, rispetto a quello derivante dall’indice fondiario dell’intiero stacco di terreno di proprietà del C., osserva la ricorrente che quel che rileva e che il promittente alienante, nonostante si fosse obbligato a vendere dei lotti edificabili, garantendo una volumetria di edificazione, era venuto meno alla propria obbligazione. La stima del pregiudizio da reintegrare, poi, soggiunge la ricorrente, secondo l’interpretazione resa in sede di legittimità, deve essere effettuata con giudizio di previsione al momento del sorgere dell’obbligazione, tale da escludere, tuttavia, i guadagni meramente ipotetici perchè improbabili. Probabilità che, nella specie, aveva trovato conferma nel fatto che la s.r.l. GE.SI, società in mano al C., aveva successivamente realizzato e venduto edifici sul terreno che era stato promesso in vendita alla Laiti.

La doglianza è infondata.

In seno al ricorso la Laiti ha riportato uno stralcio della convenzione negoziale dal quale si ricava che la controparte aveva promesso in vendita terreno con qualità di edificabilità per un totale di mc 2033 circa, impegnandosi, inoltre “ad assegnare ai lotti compravenduti un ulteriore volume pari a mc 1500, ricavato dalla superficie adibita a strada”. Tuttavia, deve rilevarsi che la ricorrente non ha allegato di aver tempestivamente dedotto la clausola di garanzia; nè una tale deduzione consta dagli atti consultabili in questa sede. Una tale osservazione pregiudiziale rende irrilevante la doglianza sviluppata nel predetto primo motivo.

Con il secondo motivo la ricorrente denunzia vizio motivazionale sempre a riguardo dell’an e del quantum risarcitorio.

Illogicamente la Corte di merito aveva escluso il diritto al risarcimento, in quanto all’affermazione d’improbabilità di effettiva edificabilità si contrapponeva la contraria conclusione del CTU, ing. Montresor, il quale, nella relazione del 19/2/2002, aveva chiarito che, valendosi del progetto redatto dall’arch. F., la Laiti avrebbe avuto la certezza di realizzare almeno 2033 MC., su un’area di 752,96 MQ.

La censura è fondata.

La sentenza impugnata, invero, afferma che sulla scorta delle risultanze della CTU la domanda di risarcimento del danno per la mancata edificazione era da reputarsi infondata. L’asserto è illogico, in quanto contrastato radicalmente dalla stessa CTU, che la Corte territoriale assume di condividere, e che riporta in stralcio, stante che il consulente del giudice se, per un verso, ritiene non esservi certezza “di poter realizzare il progetto così come redatto”, per altro verso afferma che, in ogni caso, poteva considerarsi certa l’edificabilità nella misura della “volumetria massima derivante dall’indice fondiario, pari a 1 mc/mq”. Pertanto, tale minore attitudine edificatoria, intrinseca alla cosa, a prescindere dalla qualità promessa, salvo la dimostrata inattendibilità della CTU, non avrebbe potuto essere negata.

Con il terzo motivo, denunziante vizio motivazionale su un punto controverso e decisivo, la ricorrente si duole per il negato risarcimento da mancata utilizzazione della ghiaia che sarebbe stata ricavata dallo scavo; nonchè per la mancata utilizzazione dell’immobile promesso in permuta alla controparte.

La presenza della ghiaia era fatto ritenuto certo dal CTU, il quale aveva affermato solo l’incertezza del grado di purezza e dello spessore dello strato ghiaioso. La lettera contenente la superiore affermazione da parte del CTU non era stata prodotta in un primo tempo, nel rispetto dell’art. 184 c.p.c., avanzandosi, invece, richiesta di riconvocazione del CTU, che il Giudice non aveva accolto. Il documento, prodotto in appello, non era stato ritenuto inammissibile dalla Corte lagunare.

Del pari affetta da irragionevole motivazione doveva ritenersi la decisione con la quale era stato escluso il diritto al risarcimento per il mancato uso dell’immobile promesso in permuta. La quantificazione operata dal CTU era logica e condivisibile, frutto della ponderata verificazione della congruità del corrispettivo mensile di 862.500 Lire ricavabile dal bene, avente il valore di circa 230 milioni di Lire e l’omesso utilizzo, al fine di rendere immediatamente disponibile l’immobile promesso in permuta. Nè sarebbe occorsa prova ulteriore, trattandosi di danno in re ipsa.

Per la prima parte il motivo di cui sopra non può essere accolto.

Sul punto la motivazione della Corte di Venezia, ancorata alle risultanze della CTU, deve ritenersi in questa sede incensurabile, poichè esente dai vizi rappresentati, costituisce apprezzamento non sindacabile di circostanze fattuali. Difatti, secondo quanto riportato dalla stessa ricorrente, il CTU, se per una parte aveva ritenuto probabile la presenza di ghiaia nel sottosuolo, per altro verso aveva giudicato incerto il grado di purezza della stessa e l’effettiva altezza dello strato ghiaioso. La conclusione della Corte d’appello appare sintonica con le riportate valutazioni, le quali non consentono di esprimere un ragionevole giudizio in ordine alla effettiva e apprezzabile sfruttabilità economica dei materiali che si sarebbero potuti estrarre per far luogo alla costruzione.

L’elaborazione in punto di sindacato della motivazione (maturata attraverso le decisioni di questa Corte), solida, vasta e pienamente condivisibile, importa che nel caso in cui nel ricorso per cassazione venga prospettato come vizio di motivazione della sentenza una insufficiente spiegazione logica relativa all’apprezzamento operato dal giudice di merito, di un fatto principale della controversia, il ricorrente non può limitarsi a prospettare una possibilità o anche una probabilità di una spiegazione logica alternativa, essendo invece necessario che tale spiegazione logica alternativa del fatto appaia come l’unica possibile (cfr., fra le tante, Sez. 3, n. 3267 del 112/2/2008, Rv. 601665). Difatti, il vizio di contraddittorietà della motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 può consistere o in un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate (tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione), ovvero nella mancanza di un nesso di coerenza tra le varie ragioni di cui si compone la motivazione o nell’attribuzione a taluno degli elementi emersi in causa di un significato fuori del senso comune o del tutto inconciliabile con il suo effettivo contenuto (cfr., Sez. L., n. 8495 del 6/8/1999, n. 529223). In altri termini, non può essere considerato vizio logico della motivazione la maggiore o minore rispondenza della ricostruzione del fatto nei suoi vari aspetti, o un miglior coordinamento dei dati o un loro collegamento più opportuno e più appagante, in quanto tutto ciò rimane all’interno delle possibilità di apprezzamento dei fatti, e, non contrastando con la logica o con le leggi della razionalità, appartiene al convincimento del giudice senza renderlo viziato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr., Sez. 1, n. 8923 del 29/10/1994, Rv. 488311). In definitiva, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, nè porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito (Sez. 6 – 5, ord. n. 91 del 7/1/2014, Rv. 629382).

Per contro, il secondo profilo censuratorio coglie nel segno.

La sentenza ha escluso l’esistenza di danno risarcibile “per la mancata utilizzazione dell’appartamento promesso in permuta non avendo la Leiti provato che uso intendesse farne”. Trattasi, alla luce di quanto poco sopra si è, seppure sinteticamente, ricordato di giustificazione motivazionale apparente ed in contrasto con il bagaglio di comune conoscenza.

Si è condivisamente affermato, ormai con la forza del c.d. diritto vivente, che costituisce danno risarcibile “in re ipsa” la perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, con conseguente impossibilità di ottenere l’utilità da esso ricavabile. Una tale constatazione costituisce una presunzione “iuris tantum”, vincibile solo con l’acquisizione di prova contraria e la liquidazione può essere operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al c.d. danno figurativo, quale il valore locativo del bene usurpato. Ovviamente se tale ragionamento vale in relazione ad immobili usurpati (in tal senso, da ultimo, Sez. 3, n. 16670 del 9/8/2016, Rv. 641485; Sez. 2, n. 20823 del 15/10/2015, Rv. 636674), ben si attaglia anche al caso di specie, nel quale l’ostacolo allo sfruttamento economico deriva dal vincolo negoziale.

In conclusione, in relazione all’accoglimento del secondo e del terzo motivo (quest’ultimo, per quanto di ragione), la sentenza impugnata deve essere casata con rinvio, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il secondo ed il terzo motivo, quest’ultimo per quanto di

ragione, rigetta il primo; cassa e rinvia alla Corte d’appello di Venezia, altra sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2017

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