Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10499 del 28/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/04/2017, (ud. 01/12/2016, dep.28/04/2017),  n. 10499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15784/2014 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO

VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato LUISA GOBBI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO LEARDINI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA già AURORA ASSICURAZIONI SPA, in persona

del suo procuratore speciale Dott. G.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo studio

dell’avvocato ENRICO CAROLI, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARIA DE CONO giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2258/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 19/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avvocato LUISA GOBBI;

udito l’Avvocato LETIZIA CAROLI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.S. agì innanzi il Tribunale di Rimini per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, sofferti in conseguenza del sinistro stradale occorso in (OMISSIS) a causa della condotta di guida di G.B. il quale, immettendosi nel flusso della circolazione veicolare senza osservare la dovuta precedenza, investiva il ciclomotore su cui viaggiava l’attore.

Convenne pertanto in giudizio G.B. e G.F., rispettivamente conducente e proprietario del veicolo asseritamente danneggiante, nonchè la compagnia assicuratrice dello stesso per la R.C.A., la S.p.A. Aurora Assicurazioni, la quale resistette attivamente alla pretesa.

L’adito Tribunale, ravvisata integrale responsabilità della parte convenuta per l’accaduto, accoglieva per quanto di ragione le domande risarcitorie, respingendo la pretesa ascritta in via autonoma a titolo di danno esistenziale.

Per quanto ancora controverso in questa sede, la Corte di Appello di Bologna, con la sentenza n. 2258/2013 del 19 dicembre 2013, rigettava l’appello proposto dall’attore afferente il mancato ristoro del cd. danno esistenziale e la misura della liquidazione del danno morale e del danno da capacità lavorativa specifica.

Per la cassazione di questa pronuncia ricorre, affidandosi a otto motivi, C.S.; resiste con controricorso la S.p.A. Unipolsai Assicurazioni S.p.A. (già Aurora Assicurazioni S.p.A.). Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

Ambedue le parti costituite hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione del principio dell’integralità ed effettività del risarcimento, in specie per il mancato riconoscimento del pregiudizio (di natura non patrimoniale) dinamico – relazionale, da intendersi non già come lo stravolgimento della vita familiare, ma nel più ampio significato di alterazione degli assetti relazionali del soggetto leso, di peggioramento delle sue condizioni di vita quotidiane.

La censura, corredata da una argomentata disquisizione in punto di diritto sugli orientamenti di questa Corte in tema di cd. danno esistenziale, è inammissibile, per aver il ricorrente omesso di allegare (riproducendo in ricorso i passaggi testuali degli atti dei gradi di merito) i concreti riverberi negativi di carattere dinamico relazionale sofferti in conseguenza del sinistro, cioè a dire di specificare in cosa sia consistito il peggioramento delle condizioni di vita non considerato dalla Corte territoriale.

2. Il secondo motivo denuncia un vizio di motivazione in merito alla liquidazione del danno cd. morale come mera frazione (nella misura del 5 nello specifico) del danno biologico: meramente richiamando il criterio dell’equità pura, la Corte di Appello, a dire del ricorrente, non avrebbe offerto motivazione adeguata del criterio risarcitorio adottato.

La doglianza è infondata.

A partire dai fondamentali arresti delle Sezioni Unite del giorno 11 novembre 2008 (n. 26972 e successive), non vi è più autonomo spazio per un danno cosiddetto morale, ma soltanto per il danno non patrimoniale, complessivamente ed unitariamente inteso, costituito dalle componenti biologica (cioè la lesione della salute), dinamico-relazionale esistenziale) e morale (cioè la sofferenza interiore): sicchè ciascuna di queste componenti non può essere più oggetto di atomistico apprezzamento estimativo a fini risarcitorio ma deve essere parte di una valutazione globale (Cass. 24/09/2014, n. 20111; Cass. 20/11/2012, n. 20292).

Nel caso di specie, la corte territoriale ha dichiaratamente fatto applicazione delle cc.dd. tabelle di Milano, di recente assurte a parametro della valutazione del danno non patrimoniale nella accezione sopra precisata (Cass. 07/06/2011, n. 12408; Cass. 22/11/2011, n. 28290), considerando una (ben più che) adeguata personalizzazione per le pregiudizievoli incidenze in precedenza separatamente ascritte a danno morale.

Siffatta globale valutazione non è validamente contestabile con la deduzione di un difetto di motivazione sulla inadeguata considerazione di una voce di danno sprovvista di autonomia, potendo invece la parte dolersi (sub specie di violazione del principio di diritto dell’integralità del risarcimento) unicamente della erronea esclusione (se ravvisabile) dal totale determinato in base alle tabelle milanesi delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come “danno biologico”.

In difetto di tanto, come è avvenuto nella fattispecie, la censura si infrange contro il carattere tendenzialmente onnicomprensivo delle previsioni liquidatorie delle tabelle.

3. Con il terzo motivo, per violazione di legge in relazione all’art. 2059 c.c., si censura la liquidazione (operata in primo grado e confermata in appello) del danno non patrimoniale con adozione delle cc.dd. tabelle milanesi riferite all’epoca dell’illecito anzichè di quelle esistenti al momento della pronuncia della sentenza.

Il motivo è inammissibile.

In applicazione del principio di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ed altresì di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass., 19 aprile 2012 n. 6118; Cass., 27 maggio 2010 n. 12992; Cass., 20 ottobre 2006 n. 22540).

Nella specie, disattendendo siffatto onere ed in presenza di specifica eccezione sul punto della resistente, il ricorrente ha totalmente mancato di riportare il contenuto dell’atto di appello nella parte in cui avrebbe sollevato censure in ordine alla corretta individuazione delle tabelle di liquidazione ratione temporis applicabili, nè la deduzione di uno specifico motivo di impugnazione sul punto si inferisce dalla (peraltro puntuale) motivazione della sentenza qui impugnata.

4. La liquidazione del danno patrimoniale da menomazione della capacità lavorativa specifica compiuta nella impugnata sentenza è contestata dal ricorrente sotto tre distinti profili, tutti afferenti l’osservanza dei principi di effettività ed integralità del risarcimento:

– con il quarto motivo di ricorso, per l’erroneità del quantum risarcitorio sia in ordine al reddito assunto quale montante di capitalizzazione (individuato nell’imponibile per l’anno del sinistro, 1999, senza tener conto che all’epoca il danneggiato aveva intrapreso da alcuni mesi la professione di avvocato, notoriamente caratterizzata da un progressivo incremento dei guadagni nel corso della carriera) sia per l’adozione del coefficiente previsto dal R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403 (elaborato con riferimento ad una età media della popolazione notevolmente inferiore a quella attuale);

– con il quinto motivo, per l’applicazione del coefficiente di capitalizzazione anticipata di cui al citato R.D. n. 1403 del 1922, senza alcun correttivo idoneo a tener conto dell’innalzamento della durata media della vita della popolazione;

– con il sesto motivo, per la erronea individuazione, quale base reddituale del danno patrimoniale futuro, del reddito (come risultante dalle dichiarazioni fiscali) considerato al netto (anzichè al lordo) delle deduzioni e detrazioni fiscali.

4.1. E’ fondato il quarto motivo, con assorbimento degli altri due.

Il danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro e di guadagno è un danno permanente, nella sua efficacia lesiva proiettato in futuro, essendo destinato a riprodursi anno per anno, per tutta la vita lavorativa della vittima: in quanto pregiudizio futuro, esso deve essere valutato su base prognostica anche a mezzo di presunzioni semplici, salva la determinazione equitativa, in assenza di prova certa del suo ammontare (ex plurimis, Cass. 23/09/2014, n. 2003; Cass. 14/11/2013, n. 25634).

A tale regola (espressione, in ultima analisi, del principio di integralità del risarcimento sancito dall’art. 1223 c.c.) non si conforma il criterio di quantificazione adoperato nel caso.

Il Tribunale di Rimini, con statuizione confermata dalla Corte di Appello di Bologna, ha liquidato il danno patrimoniale da incapacità di lavoro patito da C.S. determinando la quota di reddito perduto sulla scorta dell’imponibile fiscalmente dichiarato dal danneggiato per l’esercizio della professione di avvocato nell’anno del sinistro (1999) e poi moltiplicando questa quota per il coefficiente di capitalizzazione tratto dalla tabella allegata al R.D. n. 1403 del 1922 (recante “Approvazione delle nuove tariffe per la costituzione delle rendite vitalizie della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali”).

Sebbene il metodo seguito (moltiplicare il reddito annuo perduto dalla vittima per un numero corrispondente al cd. montante di anticipazione) appaia in astratto appropriato per la stima di un danno futuro, il risultato è fallace, per la inadeguatezza di ambedue i parametri posti a base del computo.

Per un verso, infatti, la quota di reddito perduto non può essere ancorata a quello percepito nell’anno del sinistro, in ragione del fatto (pacifico) che il danneggiato aveva soltanto da pochi mesi intrapreso la professione di avvocato, notoriamente caratterizzata, secondo l’id quod plerumque accidit e pur con variabili incidenze legate a contingenze economiche generali e particolari, dal progressivo incremento reddituale nel corso della vita lavorativa, per effetto di una crescente acquisizione di clientela.

D’altro canto, come ripetutamente affermato da questa Corte, i coefficienti di capitalizzazione approvati con il R.D. n. 1403 del 1922, non assicurano l’integrale ristoro del danno permanente da incapacità di guadagno, nè la loro adozione è consentita neppure in via equitativa ex art. 1226 c.c.. (da ultimo, con diffusa ed esaustiva motivazione, Cass. 14/10/2015, n. 20615).

I suddetti coefficienti, infatti, sono stati elaborati sulla base delle tavole di mortalità ricavate dal censimento della popolazione italiana del 1911 (con riguardo cioè ad una speranza di vita inferiore di oltre un terzo a quella attuale) e di un saggio di produttività del denaro (indicante la misura del risarcimento che viene detratta per tenere conto della anticipata capitalizzazione rispetto all’epoca futura in cui il danno si sarebbe effettivamente verificato) del 4,50%, superiore (e non di poco) ai rendimenti traibili oggigiorno dall’impiego di capitale: per effetto dell’innalzamento della durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi di interesse, dunque, l’applicazione dei criteri ex R.D. n. 1403 del 1922, determinerebbe una impropria ed ingiustificata decurtazione dell’importo risarcitorio.

4.2. La sentenza della Corte di Appello va pertanto cassata in parte qua, rimettendo al giudice del rinvio il compito di liquidare il danno futuro da incapacità di lavoro in maniera conforme alla regola dell’integralità ex art. 1223 c.c.:

– da un lato, in virtù degli elementi assertivi ed asseverativi offerti dal danneggiato e degli indici presuntivi tratti dalla comune esperienza, con l’individuare la quota di reddito perduta dal soggetto leso in ragione delle peculiarità dell’attività lavorativa svolta, cioè a dire considerando (con apprezzamento prognostico che tenga altresì conto delle possibili variabili legate a contingenze economiche generali e particolari) la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativo (ad esempio, i cc.dd. studi di settore) o altrimenti stimata in via equitativa;

– dall’altro, applicando coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, dacchè aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati dalla dottrina per la specifica materia del risarcimento del danno aquiliano.

4.3. L’accoglimento del quarto motivo di ricorso, nei termini anzidetti, esime dal vaglio dei motivi sesto e settimo, anch’essi riferiti (ma per aspetti dipendenti dalla accolta doglianza) alla misura del pregiudizio da incapacità lavorativa specifica.

5. Con il settimo motivo, si denuncia il mancato riconoscimento del danno da perdita di chances relative alla progressione della carriera di avvocato.

La doglianza (formulata peraltro per la eventualità del rigetto delle censure mosse alla liquidazione del danno patrimoniale) è inammissibile, poichè prospetta una questione nuova, non sollevata nei precedenti gradi di giudizio.

Richiamate, al proposito, le argomentazioni in punto di diritto esplicate sopra sub 3, basti osservare come, anche in ordine a questo motivo, parte ricorrente abbia omesso di riprodurre in ricorso i passaggi testuali degli atti dei gradi di merito (e soprattutto di quelli di primo grado) nei quali avrebbe analiticamente allegato le circostanze fattuali concretanti la chance perduta, la quale integra un’entità patrimoniale a sè stante, distinta e diversa dal danno da incapacità lavorativa specifica, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, talchè la parte che ne assuma la lesione ha l’onere di allegare e provare, pur in via presuntiva, la concreta realizzazione dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla altrui condotta illecita (sulla nozione di chance, vedi, tra le tante, Cass. 25/08/2014, n. 18207; Cass. 12/08/2008, n. 21544; Cass. 28/01/2005, n. 1752).

6. Dalla cassazione con rinvio conseguente all’accoglimento del quarto motivo discende infine l’assorbimento dell’ottavo motivo di ricorso, denunciante una asserita erroneità, per violazione del principio della soccombenza, del capo di sentenza (dipendente da quello cassato) afferente il regolamento delle spese di lite.

7. In definitiva e per riepilogare: rigettato il primo e secondo motivo, dichiarati inammissibili il terzo e il settimo motivo, la Corte, in accoglimento del quarto motivo, assorbiti il quinto, il sesto e l’ottavo, cassa in parte qua la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bologna, cui demanda anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del Magistrato assistente di studio, Dott. R.R..

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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