Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10499 del 20/05/2016


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Civile Sent. Sez. U Num. 10499 Anno 2016
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: DIDONE ANTONIO

Data pubblicazione: 20/05/2016

SENTENZA
sul ricorso 250-2014 proposto da:
DE GREGORIO GIACOMO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE SANTA TERESA 23, presso lo studio dell’avvocato
PAOLO GRIMALDI, rappresentato e difeso dall’avvocato
GIANCARLO GRECO, per delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro

E.S.A. ENTE SVILUPPO AGRICOLO DELLA REGIONE SICILIANA,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
ASSESSORATO REGIONALE AGRICOLTURA E FORESTE DELLA
REGIONE SICILIANA, in persona dell’Assessore Regionale
pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

che li rappresenta e difende ope legis;
IMPREPAR – IMPREGILO PARTECIPAZIONI S.P.A., in persona
dell’Amministratore Delegato pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA G.B. VICO 31, presso lo studio
dell’avvocato ENRICO SCOCCINI, rappresentata e difesa
dagli avvocati CESARE MONTANTE e GIUSEPPE SANTILANO, per
delega a margine del controricorso;
– controricorrenti
nonchè contro

GENERAL CANTIERI S.R.L.;
– intimata –

avverso le sentenza nn. 21/2011 depositata 1’1/03/2011 e
la n. 170/2013 depositata

il 06/11/2013,

entrambe del

TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO
DIDONE;
uditi gli avvocati Giancarlo GRECO, Giuseppe SANTILANO e
Francesco MELONCELLI per l’Avvocatura Generale dello
Stato;
udito il P.M. in persona del

Sostituto Procuratore

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso

incidentale condizionato.

Ragioni di fatto e di diritto della decisione
1.- Il Tribunale regionale delle acque pubbliche di Palermo con sentenza del
15 maggio 2000 ha condannato l’Ente di sviluppo agricolo della Regione
(ESA) e la S.p.A. Impregilo a corrispondere a CAMMARATA Rosa per
l’avvenuta occupazione espropriativa di un terreno di sua proprietà ubicato
nella contrada Ficazza di Ragusa (in catasto all’art. 9757, fg. 231, part. 6)
ed appreso in forza di decreto assessoriale 1236/1993 per i lavori di

di L. 36.810.600, oltre a L. 18.964.850 per il periodo di occupazione senza
titolo, L. 33.100.000 per spese riguardanti il ripristino della porzione del
fondo non interessata dalle attrezzature e L. 1.848.151 a titolo di indennità
per l’occupazione temporanea.
L’impugnazione della CAMMARATA è stata accolta solo in parte dal Tribunale
Superiore delle acque pubbliche che, con sentenza del 25 maggio 2004, ha
condannato PESA e l’Impregilo al pagamento anche della rivalutazione
monetaria e degli interessi sulle somme determinate dal Tribunale regionale.
Ha respinto gli altri motivi di appello osservando: a) che la prima procedura
abiativa aveva avuto inizio con l’approvazione in data 29 dicembre 1992 da
parte del CTAR del progetto esecutivo dei lavori che conteneva i termini di
inizio ed ultimazione dei lavori entro il 27 settembre 1994; ed era
proseguita con l’emissione del decreto assessoriale 1236/1994 che
autorizzava l’occupazione d’urgenza del fondo: tuttavia non seguiti né dal
decreto di esproprio, né da quello di asservimento; b) che il procedimento
era stato rinnovato con provvedimento 3 febbraio 1995 del CTAR e
successivo decreto assessoriale 287/1996 che prorogava l’occupazione ed il
termine delle procedure espropriative fino al luglio di quell’anno; allo
scadere del quale si era pertanto verificata la c.d. occupazione
appropriativa; c) che tutti i successivi provvedimenti di proroga dovevano
considerarsi inefficaci in quanto preordinati ad eludere i termini fissati per il
compimento dei lavori e delle espropriazioni; per cui alla proprietaria
potevano

essere

restituiti

soltanto

i

terreni

non

acquisiti

dall’amministrazione sia pure attraverso tale illegittima ablazione.
La CAMMARATA ha proposto ricorso per cassazione che è stato accolto con
sentenza delle Sez. U, n. 10024 del 2007.

1

sistemazione delle acque del serbatoio di S. Rosalia, la complessiva somma

La Corte ha rilevato che il venir meno dell’efficacia della dichiarazione di p.u.
escludeva “in radice che la potestà espropriativa potesse esplicare la
funzione sua propria, e dar luogo alla occupazione espropriativa: rendendo
totalmente abusiva (c.d. usurpativa) la perdurante detenzione dell’immobile
CAMMARATA e del tutto irrilevante la non consentita trasformazione del
fondo da parte dei controricorrenti. Le quali, conclusivamente, hanno

permanente di cui agli artt. 2043, 2058 cod. civ., perciò consentendo alla
proprietaria dell’immobile, continuata a restare tale di avvalersi di tutti i
mezzi previsti a tutela del diritto reale leso dal perdurare dell’occupazione
dell’immobile, ivi compresa l’azione per ottenerne la restituzione”.
Pronunciando in sede di rinvio, il TSAP, con sentenza non definitiva n.
21/2011 ha accolto l’appello e, esclusa l’applicabilità dell’art. 2058, comma
2, c.c., con separata ordinanza ha disposto una consulenza tecnica al fine di
accertare la sussistenza del pregiudizio di cui all’art. 2933, comma 2, c.c.,
come asserito da Imprepar-Impregilo. Quindi, con sentenza n. 170/2013, ha
rigettato l’appello, ritenendo sussistente il pregiudizio per la produzione e la
distribuzione della ricchezza nazionale dall’esecuzione dell’obbligo di non
fare e, quanto alle somme spettanti a titolo di risarcimento del danno, ha
condiviso gli accertamenti operati dal TRAP.
Contro le sentenze rese in sede di rinvio Giacomo De Gregario – in qualità di
erede universale di Cammarata Rosa – ha proposto ricorso per cassazione
affidato a nove motivi.
Resistono con controricorso l’E.S.A. e la s.p.a. Imprepar-Impregilo
Partecipazioni. Quest’ultima ha anche proposto ricorso incidentale
condizionato affidato a un solo motivo, con il quale lamenta la mancata
applicazione deell’art. 2058 c.c.
Nel termine di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il ricorrente e la s.p.a.
Imprepar-Impregilo Partecipazioni hanno depositato memoria.
2.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione alla sentenza non
definitiva, la violazione degli artt. 384 cod. proc. civ. e 2909 c.c.,
lamentando che sia stato violato il principio di diritto enunciato dalle Sezioni
unite, circa la natura usurpativa dell’occupazione e la persistenza del diritto
della proprietaria di ottenerne la restituzione;

2

prodotto soltanto le conseguenze proprie dell’illecito comune di carattere

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione ad entrambe le
sentenze impugnate, la violazione degli artt. 394 cod. proc. civ. e 111 Cost.
lamentando la tardiva deduzione dell’applicabilità dell’art. 2933 c.c. da parte
della convenuta IMPREPAR.
Con il terzo motivo il ricorrente eccepisce la questione di legittimità
costituzionale per contrasto con la disciplina CEDU e con l’art. 117 Cost.
delle norme applicate dal TSAP (artt. 2058 e 2933 c.c.).

degli artt. 2933 e 2058 c.c. lamentando che erroneamente sia stato ritenuto
sussistente il pregiudizio all’economia nazionale basandosi su dati
abnormemente errati e erroneamente valutati. L’assunto del c.t.u., fatto
proprio dalla sentenza impugnata, circa l’incidenza sul PIL nella misura dello
0,5% sarebbe «campato in aria>> mentre l’opera in questione avrebbe
rilevanza soltanto locale.
Con il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 112 e 394 cod. proc.
civ. in relazione alla errata determinazione del danno conseguente alla
diminuzione del valore della parte residua del fondo.
Deduce che a) erroneamente si sarebbe tenuto conto della compensatio lucri
cum damno, applicata senza richiesta delle parti e nonostante la dichiarata
inapplicabilità dell’art. 41 I. n. 2359/1865, trattandosi di risarcimento del
danno; b) è inapplicabile la compensati() lucri cum damno in materia di
risarcimento del danno da espropriazione usurpativa; c) sarebbe inesistente
il vantaggio per il fondo. Mancherebbe la prova e il ctu l’avrebbe escluso.
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 cod.
proc. civ. in relazione all’omessa indicazione di valori di danno (“danni
diversi” per suolo ocupato erroneamente e altro utilizzato per stradella),
mancando qualsiasi pronuncia sulla domanda espressamente riproposta in
appello e ritenuta assorbita dalla Cassazione.
Con il settimo motivo denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. lamentando
l’erronea rideterminazione (mq. 10.863 anziché mq. 19.963) dell’area
impegnata dall’opera nonostante il giudicato formatosi sull’accertamento
operato dal primo giudice.
Con l’ottavo motivo deduce la litispendenza in ordine alla delibera ai sensi
dell’art. 42 bis DPR n. 327/2001 impugnata dinanzi al TSAP.

3

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione

Con il nono motivo deduce che le spese devono gravare sull’ESA e su
IMPREPAR.
3.- Il primo e il secondo motivo di ricorso sono fondati mentre è infondato
l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato.
A seguito dell’annullamento della precedente sentenza da parte della Corte
di cassazione il giudizio di rinvio si connota per il suo carattere chiuso,
sicché alle parti è inibita ogni ulteriore attività assertiva e probatoria, non

giudice di rinvio è vincolato non solo in ordine ai principi di diritto affermati
dalla sentenza di legittimità, ma anche ai presupposti di fatto che il principio
di diritto enunciato presuppone come pacifici o come già accertati
definitivamente (Sez. U, Sentenza n. 1007 del 28/01/2002). In altri termini,
il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di
annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate
specificamente in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio,
costituiscono il presupposto logico – giuridico della sentenza stessa,
formando oggetto di giudicato implicito ed interno. Il loro riesame verrebbe
infatti a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in
contrasto col principio della loro intangibilita’ . Pertanto deve escludersi che
il giudice di rinvio possa sindacare la improponibilità della domanda, pur
essendo la stessa rilevabile d’ufficio in qualunque stato e grado del
processo.
4.- Secondo la giurisprudenza di legittimita`, la norma del secondo comma
dell’art. 2933 cod. civ., secondo cui non può essere ordinata la distruzione
della cosa e l’avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni, se
la distruzione della cosa stessa è di pregiudizio all’economia nazionale,
stabilendo una eccezione al principio generale della eseguibilità forzata degli
obblighi di non fare, sancito dal primo comma della medesima norma, deve
essere interpretata restrittivamente, cioè nel senso che essa è applicabile
soltanto nell’ipotesi in cui la distruzione della cosa arrechi pregiudizio al
sistema produttivo dell’intero Paese e non anche quando il pregiudizio
riguardi unicamente interessi individuali e locali (Sez. 2, Sentenza n. 562 del
30/01/1985; conff.: 6611/82, mass n 424249; 5746/81, mass n 416448;
5783/79, mass n 402422; 2696/79, mass n 399015; 3731/77, mass n
387399; 2149/64, mass n 303159).
4

direttamente dipendente dalla pronuncia resa dalla Corte di cassazione, e il

In materia di espropriazione per pubblica utilità, la necessità di interpretare
il diritto interno in conformità con il principio enunciato dalla Corte europea
dei diritti dell’uomo, secondo cui l’espropriazione deve sempre avvenire in
“buona e debita forma”, comporta che l’illecito spossessamento del privato
da parte della P.A. e l’irreversibile trasformazione del suo terreno per la
costruzione di un’opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata
dichiarazione di pubblica utilità, all’acquisto dell’area da parte

salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del
danno per equivalente (Sez. U, Sentenza n. 735 del 19/01/2015, Rv.
634017).
Siffatto principio, pur affermato recentemente, costituisce estensione a tutte
le ipotesi di trasformazione del fondo senza esproprio (anche alla c.d.
occupazione espropriativa) degli stessi principi gia‘ affermati dalla
giurisprudenza di legittimita‘ in tema di occupazione usurpativa.
Nella concreta fattispecie – come evidenziato nella parte narrativa – la
sentenza che ha cassato il provvedimento del TSAP, dopo avere qualificato
l’occupazione del fondo dell’attrice come “usurpativa”, ha affermato che era
totalmente abusiva la perdurante detenzione dell’immobile “e del tutto
irrilevante la non consentita trasformazione del fondo”. Le trasformazioni ha concluso la sentenza – “hanno prodotto soltanto le conseguenze proprie
dell’illecito comune di carattere permanente di cui agli artt. 2043, 2058 cod.
civ., perciò consentendo alla proprietaria dell’immobile, continuata a restare
tale di avvalersi di tutti i mezzi previsti a tutela del diritto reale leso dal
perdurare dell’occupazione dell’immobile, ivi compresa l’azione per
ottenerne la restituzione”.
5.- Ciò posto, quanto al ricorso incidentale e alla predetta norma di cui
all’art. 2058 c.c., va ribadito quanto già da tempo ha evidenziato la
giurisprudenza di legittimità (alla quale la Corte intende dare continuità),
secondo la quale la tutela riservata ai diritti reali non consente l’applicabilità
dell’art. 2058 c.c. nel caso di azioni volte, appunto, a far valere uno di tali
diritti, atteso il carattere assoluto degli stessi (Cass., Sez. un. 10 maggio
1995, n. 5113; Cass., 29 ottobre 1997, n. 10694; Cass., 1 agosto 2003, n.
11744; Cass., 16 gennaio 2007, n. 866) salvo che sia la stessa parte
danneggiata a chiedere la condanna per equivalente.
5

dell’Amministrazione, sicché il privato ha diritto a chiederne la restituzione,

Piu’ di recente si è rilevato (Sez. 1, Sentenza n. 14609 del 2012) che non
possono ritenersi applicabili i limiti inerenti alla regolamentazione del
risarcimento del danno alla tutela reale, che, oltre a trovare la propria
disciplina specifica negli artt. 948 e 949 cod. civ., “esige la rimozione del
fatto lesivo” (Cass., 4 novembre 1993, n. 10932) e si è richiamato il vivace
dibattito culturale che la dottrina negli ultimi tempi ha dedicato al tema della

modalità – del risarcimento del danno, ovvero come tutela del tutto
autonoma e da esso distinta; ritenendosi preferibile la prima soluzione,
maggiormente condivisa, anche sulla scorta degli argomenti fondati sulla
collocazione della norma, sulla sua portata letterale e su una nozione di
danno ampia, cioè non riferibile al solo nocumento di natura patrimoniale,
ma anche all’alterazione, sul piano fenomenico, come conseguenza dell’atto
illecito, dell’integrità e della consistenza del bene. Se dunque, la disciplina
complessivamente dettata dall’art. 2058 c.c.. si appartiene alla materia del
risarcimento del danno, erroneamente essa è applicata quando vanga
esercitata, come nel caso, la tutela restitutoria (Sez. 1, Sentenza n. 14609
del 2012).
Talché, sul punto, il TSAP, con la sentenza non definitiva, ha correttamente
escluso l’applicabilità della predetta norma.
6.- Quanto, infine, all’applicabilità’ dell’art. 2933 c.c., ribadito che la
giurisprudenza formatasi in relazione alla norma testé richiamata è
costantemente orientata nel ritenere che la stessa debba essere interpretata
in senso restrittivo, riferendosi alle cose insostituibili ovvero di eccezionale
importanza per l’economia nazionale, con conseguente inapplicabilità
qualora il pregiudizio riguardi interessi individuali e locali (Cass., 17 febbraio
2004, n. 3004; Cass., 25 maggio 2012, n. 8358), appare evidente che il
carattere “chiuso” del giudizio di rinvio, a prescindere dalla rilevabilità
d’ufficio della questione (sulla quale soltanto insiste parte resistente anche
nella memoria), impediva l’allegazione di quelle nuove circostanze, per il cui
accertamento si è resa necessaria una consulenza tecnica, che, secondo la
ricorrente incidentale erano tali da integrare la fattispecie disciplinata dalla
disposizione in esame. Circostanze, invece, che avrebbero dovuto essere sin
dall”inizio del giudizio di merito essere introdotte nel thema decidendum,
mentre il principio di diritto affermato dalla sentenza della Cassazione n.
6

collocazione o meno della reintegrazione in forma specifica nell’area – come

10024/2007 ne preescindeva totalmente perche’ estranee al dibattito
fattuale come ricostruito dalle sentenze di merito e nonostante che sin
dall’introduzione del giudizio l’attrice avesse reclamato la tutela restitutoria.
7.- Accolti i primi due motivi del ricorso, vanno ritenute assorbite le
rimanenti censure.
Le sentenze impugnate devono essere cassate con rinvio al Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche per nuovo esame e per il regolamento delle

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e ilsecondo motivo del ricorso principale, assorbiti
gli altri; rigetta il ricorso incidentale condizionato; cassa le sentenze
impugnate e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese al
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 aprile 2016

Il consigliere es ns re

spese.

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