Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10497 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/04/2010, (ud. 17/02/2010, dep. 30/04/2010), n.10497

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 23981/2008 proposto da:

HABITAT ZANGRILLI SRL in liquidazione, in persona del suo liquidatore

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA FESTO AVIENO 92, presso lo studio dell’avvocato CICIANI

Giancarlo, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 491/2007 della Commissione Tributaria

Regionale di ROMA – Sezione Staccata di LATINA del 4.7.07, depositata

l’11/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. RAFFAELE CENICCOLA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione, che emendata da errori materiali di seguito si riproduce:

“Con sentenza dell’11/7/2007 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio respingeva il gravame interposto dall’Agenzia delle entrate di Frosinone nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone di accoglimento dell’opposizione spiegata in relazione ad avviso di rettifica e liquidazione emesso a titolo di imposta di registro per l’anno d’imposta 2001.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello la società Habitat Zangrilli s.r.l., in liq. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Con il 1^ motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione deL D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, comma 2, artt. 21, 51 e 52, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2^ motivo denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 3^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 11, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso dovrà essere ritenuto inammissibile.

L’art. 366 bis c.p.c., dispone invero che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti alla stregua del sopra richiamato schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), i quesiti recati dai motivi di ricorso con i quali si denunzia vizio di violazione di norme di diritto risultano formulati in modo inidoneo alla relativa funzione, tale da non consentire invero, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 84 63), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645;

Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr.

Cass., 23/6/2008, n. 17064).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza sottacersi che nella specie i motivi risultano altresì formulati in violazione del principio di autosufficienza.

Quanto al motivo con il quale viene denunziato vizio di motivazione, va osservato che il medesimo non reca, in una parte, autonomamente ed immediatamente individuabile, ad essa specificamente destinata (v.

Cass., 18/7/2007, n. 16002), la chiara indicazione formulata secondo lo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (secondo cui essa deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.) delle ragioni del denunziato vizio di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come nella specie altresì carente di autosufficienza.

I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori della parte costituita;

rilevato che la ricorrente ha presentato memoria;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione, non infirmate dalle osservazioni dal ricorrente esposte nella memoria, sostanziantesi nella dedotta idoneità dei formulati quesiti di diritto, con l’ulteriore osservazione che come questa Corte ha già avuto modo di affermare, nel prevedere che il valore dichiarato, ai fini dell’imposta di registro per gli atti che hanno ad oggetto aziende o diritti reali su di esse, “è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda … al netto delle passività …”, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 4, non pone invero deroghe al criterio generale dell’accertamento del valore secondo il parametro del “valore venale in comune commercio”, previsto dal comma 2 dello stesso articolo, (v. Cass. n. 10341 del 2007; Cass. n. 12385 del 2002); con la conseguenza che, lungi dal ricavarsi dalla somma algebrica delle attività e delle passività aziendali la base imponibile va definita in funzione della ricognizione dal “valore venale in comune commercio” del complesso aziendale, che non è necessariamente espresso dalla sommatoria delle sue componenti positive e di cui, come prospettato dall’Ufficio, ben può costituire significativo indice sintomatico il valore dei debiti aziendali che il cessionario si sia esplicitamente accollato in aggiunta al corrispettivo versato (v. Cass. n. 18150 del 2004), valore dal quale vanno poi dedotte le passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa (v. Cass., 30/7/2008, n. 20691);

ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;

considerato che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

 

 

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