Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10496 del 30/04/2010
Cassazione civile sez. trib., 30/04/2010, (ud. 17/02/2010, dep. 30/04/2010), n.10496
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 23951/2008 proposto da:
G.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA
GIULIANA 32, presso lo studio dell’avvocato FISCHIONI Giuseppe, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERRAJOLI LUIGI,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope
legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 55/2007 della Commissione Tributaria Regionale
di MILANO del 16.4.07, depositata il 14/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
17/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Giuseppe Fischioni che si riporta
agli scritti.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. RAFFAELE CENICCOLA che
concorda con la relazione scritta.
Fatto
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:
“Con sentenza del 14/9/2007 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia respingeva il gravame interposto dall’Agenzia delle entrate di Lecco nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Lecco di rigetto dell’opposizione spiegata dalla contribuente sig. G.C. in relazione ad avviso di rettifica e liquidazione emesso a titolo di imposta di registro, ipotecaria e catastale, interessi e sanzioni con riferimento a cessione di terreni edificabili siti in (OMISSIS).
Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello la G. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Con il 1^ motivo la ricorrente denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Con il 2^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 bis, L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il ricorso dovrà essere ritenuto inammissibile in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366 bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
L’art. 366 bis c.p.c., dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.
Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.
Cass., 17/7/2007, n. 15949).
Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).
Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), il quesito recato dal 2^ motivo di ricorso risulta formulato in termini generici e privi di riferibilità alla fattispecie concreta in questione, tali da non consentire, in base alla sua sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr. Cass., 23/6/2008, n. 17064).
L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).
La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.
Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).
Quanto 1^ motivo, con il quale viene denunziato vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso invero non reca, secondo quanto più volte affermato in giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., 18/7/2007, n. 16002), una autonoma ed immediatamente individuabile parte specificamente destinata la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.), inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione nella specie altresì carente di autosufficienza.
I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;
atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;
rilevato che la ricorrente ha presentato memoria;
considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;
rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione, non infirmate dalle osservazioni dal ricorrente esposte nella memoria, sostanziantesi nella dedotta idoneità dei formulati quesiti di diritto;
ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;
considerato che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010