Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10493 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. I, 03/06/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 03/06/2020), n.10493

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCOTTI Giuseppe Umberto L.C. – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29379/2018 proposto da:

N.S., elettivamente domiciliato in Cassino, via E. De

Nicola 116, presso l’avvocato Monica Mignanelli;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

31/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/10/2019 da Dott. LIBERATI GIOVANNI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Campobasso ha respinto la domanda del ricorrente, N.S., nato in (OMISSIS), di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria o umanitaria, confermando le conclusioni della Commissione territoriale di Salerno, Sezione di Campobasso, che aveva riconosciuto al richiedente solamente la protezione umanitaria, in considerazione delle sue condizioni di salute.

Il Tribunale ha ritenuto poco credibile il racconto del ricorrente, di aver ricevuto minacce da una setta a causa del suo rifiuto di uccidere un professore universitario e di avere quindi per tale ragione lasciato la (OMISSIS), per la genericità e la contraddittorietà dei fatti riferiti, privi di adeguati riferimenti cronologici e di una plausibile concatenazione logica, escludendo la sussistenza di motivi di persecuzione, con la conseguente insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Ha poi escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non essendo stata correlata la generica gravità della situazione politica del paese alla specifica posizione del richiedente, evidenziando che nel territorio di provenienza del ricorrente ((OMISSIS)) non vi è in atto una indiscriminata violenza terroristica, in quanto il gruppo terroristico (OMISSIS) opera nel nord del paese, in particolare negli stati di (OMISSIS), per i quali l’UNHCR aveva dato indicazioni di non rimpatrio.

E’ stata esclusa anche la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo stati allegati elementi tali da far ritenere particolarmente vulnerabile il richiedente nel caso di rimpatrio.

2. Il ricorrente chiede la cassazione del decreto del Tribunale di Campobasso sulla base di sette motivi.

2.1. Con il primo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, con la conseguente nullità del decreto di espulsione, a causa della mancata traduzione in lingua inglese del decreto di espulsione e della mancanza di motivazione sul punto nel decreto del Tribunale, nel quale non vi era alcuna attestazione di conoscenza da parte dello straniero della lingua italiana, con la conseguente nullità del decreto impugnato.

2.2. In secondo luogo, si denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e art. 13, commi 4 e 4 bis, e la mancanza di motivazione, per l’errata considerazione del proprio racconto, giudicato inverosimile e poco credibile da parte del Tribunale, benchè fosse sufficientemente articolato e preciso, identico sia innanzi alla Commissione territoriale sia in giudizio, e il ricorrente avesse fatto ogni sforzo per circostanziare la domanda e fornire tutti gli elementi a essa pertinenti in suo possesso.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per l’omessa valutazione della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, e, in subordine, di quella umanitaria, nonostante quanto riferito circa la situazione del proprio paese di origine, che il Tribunale aveva omesso di verificare.

2.4. Con il quarto motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5, 6 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per la mancata verifica da parte del Tribunale della effettiva esistenza in (OMISSIS) di sette o associazioni segrete quale quella descritta dal ricorrente, per sottrarsi alle cui persecuzioni il ricorrente era fuggito all’estero.

2.5. Mediante un quinto motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per il mancato esame della ricorrenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria, omettendo anche di tenere conto del fatto che era stato costretto a fuggire dalla Libia dove si era rifugiato, dopo avervi vissuto e lavorato per cinque anni.

2.6. Con un sesto motivo si lamenta l’omessa valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e, in subordine, umanitaria, nonostante le allegazioni del richiedente e la produzione dei documenti relativi al proprio stato di salute.

2.7. Infine, con un settimo motivo, lamenta la violazione della Convenzione di Ginevra e del Protocollo di New York sull’accertamento dello status di rifugiato e il relativo onere probatorio.

3. Il Ministero dell’Interno non si è costituito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Osserva il Collegio che i motivi proposti sono manifestamente infondati, perchè si risolvono in generiche deduzioni di fatto volte a sollecitare un inammissibile riesame del merito della vicenda.

5. Il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata la mancata traduzione del decreto di espulsione, è inammissibile, sia perchè tale eventuale vizio deve essere fatto valere mediante l’opposizione tardiva avverso il provvedimento di espulsione, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8 (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 4226 del 19/02/2020, Rv. 657238 01), e non mediante il ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che non ha funzione di controllo della legittimità degli atti del procedimento amministrativo di espulsione, ma di verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una delle forme di protezione internazionale; sia perchè tale questione non era stata prospettata al Tribunale con il ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale e non può, dunque, essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità.

La doglianza in ordine alla mancata traduzione del provvedimento di rigetto oggetto del ricorso è manifestamente infondata, in quanto il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5 non va interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale e inoltre il richiedente partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 23760 del 24/09/2019, Rv. 655336 – 01).

6. Gli altri motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, stante la sovrapponibilità del loro contenuto, sono tutti inammissibili a causa della loro genericità, consistendo tutti nel richiamo alle disposizioni di legge applicabili alle richieste di riconoscimento delle varie forme di protezione internazionale e a decisioni adottate dalla giurisprudenza di legittimità in tale materia, disgiunti dalla individuazione di vizi del provvedimento impugnato, di confronto critico con la struttura argomentativa dello stesso, di analisi della situazione dello stato della (OMISSIS) da cui proviene il ricorrente ((OMISSIS)), nonchè della situazione personale di quest’ultimo, cosicchè essi sono del tutto inidonei a censurare il provvedimento impugnato e a illustrare l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento di una delle forme di protezione umanitaria richieste dal ricorrente, e cioè il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica (che consente, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, lett. e), il riconoscimento dello status di rifugiato); il pericolo di danno grave nelle ipotesi a) di condanna a morte o esecuzione della pena di morte, b) di tortura o altra forma di pena o trattamento umano o degradante ai danni del richiedente nel Paese d’origine, c) di minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno o internazionale secondo cui non sussistono i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato (che consente il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1); i motivi di carattere umanitario idonei a consentire il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo stata allegata una specifica situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente.

Ne consegue, in definitiva, l’inammissibilità di detti motivi di ricorso a causa della loro genericità.

7. Sussistono, infine, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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