Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10492 del 12/05/2011

Cassazione civile sez. I, 12/05/2011, (ud. 01/04/2011, dep. 12/05/2011), n.10492

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

TECNOCAL s.r.l., con domicilio eletto in Roma, via Rodi n. 32, presso

lo Studio dell’Avv. Chiocci Martino Umberto, rappresentato e difeso

dall’Avv. Monacelli Mario come da procura a margine del ricorso in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Firenze

depositato il giorno 11 aprile 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 1 aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Sorrentino Federico che ha concluso per l’accoglimento

del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Tecnocal s.r.l, ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha rigettato la sua domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al Tribunale di Perugia in seguito ad opposizione a decreto ingiuntivo dal 13 gennaio 2003 ed interrotto in seguito a dichiarazione di fallimento del 7 febbraio 2007 dell’opponente.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso con il quale si deduce violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della CEDU per avere la Corte di merito scomputato dalla durata del giudizio, al fine di stabilirne la ragionevolezza, i rinvii conseguente alla mancata comparizione del titolare del legale rappresentante della ricorrente per rendere l’interrogatorio formale nonchè quello conseguente all’astensione dall’attività dei legali delle parti è fondato dal momento che il giudice ha considerato tutto l’intervallo intercorso tra le diverse udienze benchè lo stesso, per la parte eccedente il lasso temporale fissato dall’art. 81 disp. att. c.p.c., non possa essere addebitato alla parte nè a questa possa ascriversi una condotta volutamente dilatoria (Cassazione civile, sez. 1, 21/02/2003, n. 2643).

Infondato invece è il secondo motivo con il quale si addebita alla Corte d’appello di non avere considerato, ai fini del calcolo della durata del procedimento, il tempo intercorrente tra la dichiarazione di fallimento della controparte opponente e quello della dichiarazione di interruzione del giudizio dal momento che, indipendentemente dalla formale presa d’atto dell’evento interruttivo, non può ritenersi sussistente la permanenza dello stato di patema d’animo derivante dalla pendenza del medesimo allorquando ne è del tutto evidente la mancanza di un qualsiasi ulteriore sviluppo rilevante per la parte.

Il terzo motivo che attiene alla regolazione delle spese è assorbito, dovendosi procedere a nuova statuizione sul punto.

In accoglimento del primo motivo il decreto deve dunque essere cassato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto, valutata in undici mesi la durata eccedente quella ragionevole (un anno oltre il termine triennale meno i segmenti temporali conseguenti alla condotta addebitabile alla parte nei limiti di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c.) ed in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che è pari a Euro 1.000 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, il Ministero della Giustizia deve essere condannato al pagamento in favore della ricorrente di Euro 690 a titolo di equo indennizzo.

Le spese eseguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 690, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 775, di cui Euro 280 per diritti, Euro 445 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, e di quelle della fase di legittimità che liquida in complessivi Euro 700, di cui Euro 500 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2011

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