Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10491 del 27/04/2017
Cassazione civile, sez. VI, 27/04/2017, (ud. 23/03/2017, dep.27/04/2017), n. 10491
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25957/2015 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. – C.F. (OMISSIS), in persona del Responsabile
della Funzione Risorse Umane, Organizzazione e Servizi,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 40, presso
lo studio dell’avvocato DAMIANO LIPANI che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, V. PANAMA 74,
presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI, che lo
rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A. – C.F. (OMISSIS), in persona del Responsabile
della Funzione Risorse Umane, Organizzazione e Servizi,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 40, presso
lo studio dell’avvocato DAMIANO LIPANI che la rappresenta e difende;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 575/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 24/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 23/03/2017 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
1. la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello
proposto dall’attuale intimata nei confronti di Poste Italiane s.p.a.
avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva ritenuto la
risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso, dichiarava la
nullità del termine finale di durata apposto al contratto stipulato tra
le parti, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1,
per il periodo 1/2/2002 – 30/4/2002 e, accertata la sussistenza di un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, condannava la società al
pagamento dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32,
comma 5 – commisurata in cinque mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali
dalla data della sentenza;
2. il termine era stato apposto per “esigenze tecniche
organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a
processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale
riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da
innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o
sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè
all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23
ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”;
3. per la cassazione di tale decisione propone ricorso Poste Italiane affidato a quattro motivi;
4. l’intimato resiste con controricorso e propone ricorso
incidentale condizionato, ulteriormente illustrati con memoria, cui ha
resistito Poste Italiane;
5. il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
6. il primo motivo, con il quale il ricorrente si duole che il
giudice del gravame abbia rigettato l’eccezione di definitivo
scioglimento del rapporto per tacito mutuo consenso dei contraenti senza
tener conto che il comportamento inerte delle parti evidenziava il
disinteresse al suo ripristino, è manifestamente infondato alla stregua
di plurime decisioni di questa Corte che ha più volte affermato che “nel
giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai
scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per
mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di
tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime
di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v, Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 289-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonchè più di recente, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932);
7. la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del
contratto a termine, quindi, “è di per sè insufficiente a ritenere
sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. Cass. 15/11/2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887),
mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione,
“l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine
ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre, Cass. 1-2-2010 n. 2279);
8. la Corte d’Appello ha rilevato che la società non aveva
dedotto alcuna circostanza significativa rispetto al mero decorso del
tempo e tale statuizione risulta aderente all’indirizzo prevalente
consolidato, basato sulla necessaria valutazione dei comportamenti e
delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara
manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione
del rapporto e resiste alle censure della società ricorrente che, in
sostanza, si incentrano genericamente sulla proposizione di una diversa
lettura della inerzia prolungata;
9. il secondo motivo, con il quale si lamenta nullità della sentenza per violazione del diritto alla prova, è inammissibile;
10. nel caso in cui venga impugnata, con ricorso per
cassazione, una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più
ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per
giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse
abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso
abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le
censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di
impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in
toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente
l’una o l’altro sorreggano;
11. è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non
abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata,
sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il
singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza,
divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le
altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (Cass. Sez. U, n. 16602 del 08/08/2005; successive conformi, ex multis: Cass. n. 21431 del 12/10/2007; Cass. Sez. U, n. 10374 del 08/05/2007);
12. nel caso in esame la nullità della apposizione del termine,
al contratto de quo, è stata fondata e sulla ritenuta genericità della
clausola appositiva del termine e sulla mancata prova da parte di Poste
Italiane in ordine alla ricorrenza delle ragioni che avevano motivato
l’assunzione a tempo determinato e la prima ratio decidendi, che investe
l’interpretazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, art. 4, comma 2, art. 12 preleggi, artt. 1362 c.c. e segg., non risulta incisa dai motivi di ricorso e, dunque, vale da sola a sorreggere la impugnata sentenza;
13. il terzo mezzo – incentrato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 c.c.,
in relazione alla erronea individuazione della sanzione di conversione
del rapporto di lavoro a termine in lavoro a tempo indeterminato, – è
infondato per essere la decisione impugnata conforme alla giurisprudenza
di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 21.5.08 n. 12985 e numerose altre successive tra cui, da ultimo, Cass. 22124/2016 Cass. ord., n. 24201 del 2015),
secondo cui in caso di insussistenza delle ragioni giustificatrici del
termine e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la
mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di
nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina
contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione del D.Lgs. n. 368
del 2001, art. 1, nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE
(recepita con il richiamato decreto) e nel sistema generale dei profili
sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato da Corte Cost. n. 210/92 e n. 283/05,
all’illegittimità del termine e alla nullità della clausola di
apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla
sola clausola;
14. il quarto motivo, con il quale si criticano le ragioni che
hanno indotto la Corte di merito a determinare in cinque mensilità la
indennità di cui all’art. 32 cit., individuandole nella durata
dell’assunzione a termine e nei numeri di contratti a termine stipulati,
nelle dimensioni della società datrice di lavoro, facendo corretta
applicazione dei criteri di cui della L. 15 luglio 1966, n. 604, citato art. 8,
involgente valutazioni di merito insindacabili in questa sede finendo,
pur sotto il profilo di una denunciata violazione di legge, con il
sollecitare questa Corte ad un inammissibile giudizio di merito;
15. la L. n. 604 del 1966, art. 8,
fa riferimento, ai fini della determinazione dell’indennità, alle
condizioni delle parti e ciò non significa che il lavoratore debba
dimostrare anche gli altri elementi dalla stessa dedotti, quali la
mancata instaurazione di altri rapporti, la mancata percezione di
ulteriori somme a titolo retributivo, il tentativo di reperimento di
altre occupazioni, per essere richiesta una valutazione complessiva
della situazione dedotta in giudizio, che peraltro, tenga conto – come
ha fatto la Corte – anche del numero dei dipendenti occupati dal datore
di lavoro e delle dimensioni dell’azienda, secondo quanto disposto dal
citato art. 8;
16. l’apprezzamento di tutti gli anzidetti elementi, essendo
rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, è sottratta al
sindacato di legittimità (cfr., per l’applicazione di tale principio con
riguardo all’indennità di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8, Cass. 5 gennaio 2001, n. 107; Cass. 14 giugno 2006, n. 13732; Cass. 5 maggio 2006, n. 11107 e con riguardo proprio all’indennità della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, Cass. 16 ottobre 2014, n. 21932);
17. i mezzi d’impugnazione svolti con il ricorso incidentale
sono già stati tutti esaminati, fra le altre, da Cass. sez. sesta-L,
ordinanza 15 giugno 2015, n. 12358, alla cui ampia e condivisa
motivazione si rinvia, riaffermando, in sintesi, in questa sede, che la
disposizione di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 7, non
incide, con efficacia retroattiva, su diritti di natura retributiva e
previdenziale già acquisiti dal lavoratore, essendo destinata ad operare
in relazione a situazioni processuali ancora sub indice, per le quali
deve quindi essere esclusa l’avvenuta formazione del giudicato, onde
risultano manifestamente infondate le eccezioni di incostituzionalità
svolte al riguardo (cfr. Cass. 6735/2014 appena citata);
18. Neanche possono ravvisarsi dubbi di costituzionalità con riferimento alla L. n. 92 del 2012, art. 1,
comma 13, poichè esso: – costituisce una disposizione di carattere
generale, che non favorisce selettivamente lo Stato o altro ente
pubblico (o in mano pubblica), perchè le controversie su cui essa è
destinata ad incidere non hanno specificamente ad oggetto i rapporti di
lavoro precario alle dipendenze di soggetti pubblici, ma tutti i
rapporti di lavoro subordinato a termine; – ha enucleato una delle
possibili opzioni ermeneutiche dell’originario testo normativo, già
accolta dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr, Corte Costituzionale, n. 303/2011,
secondo cui “un’interpretazione costituzionalmente orientata della
novella, però, induce a ritenere che il danno forfetizzato
dall’indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto
“intermedio”, quello, cioè, che corre dalla scadenza del telinine fino
alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione
del rapporto”) e dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis,
Cass., nn. 3056/2012;
9023/2012); – ha superato una situazione di oggettiva incertezza
derivante dal suo ambiguo tenore, evidenziata dai diversi indirizzi
interpretativi tra una parte della giurisprudenza di merito e quella di
legittimità testè ricordata; – non ha inciso su situazioni giuridiche,
di natura retributiva e previdenziale, definitivamente acquisite, non
ravvisabili in mancanza di una consolidata giurisprudenza dei giudici
nazionali che le abbia riconosciute; – non ha inteso realizzare una
illecita ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia,
allo scopo d’influenzare la risoluzione di controversie, posto che, in
realtà, ha fatto propria una soluzione già adottata dalla ricordata
giurisprudenza costituzionale e di legittimità; non è dato ravvisarvi
profili di irragionevolezza, posto che, nell’esercizio del potere
discrezionale in via di principio spettante al legislatore, la finalità
di superare un conclamato contrasto di giurisprudenza, destinato
peraltro a riproporsi in un gran numero di giudizi, essendo diretta a
perseguire un obiettivo d’indubbio interesse generale qual è la certezza
del diritto, configurabile come ragione idonea a giustificare
l’intervento di interpretazione autentica (così Cass. 6735/2014 richiamata da Cass. n. 12358/2015 cit.);
19. quanto alla denunciata violazione delle norme dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE questa Corte (cfr.: Cass. 2 aprile 2014 n. 7685,
alla cui ampia motivazione si rinvia) ha già avuto modo di affermare
che la dedotta riduzione del risarcimento non costituisce un effetto
necessario ed ineludibile della normativa all’esame, ben potendo darsi
il caso che l’indennità omnicomprensiva sia in concreto di ammontare
maggiore della somma che, applicando le regole generali civilistiche,
verrebbe ad essere liquidata, come, ad esempio, potrebbe verificarsi
laddove l’aliunde perceptum coprisse per intero l’ammontare delle
retribuzioni astrattamente dovute a far tempo dalla costituzione in mora
ovvero se comunque l’importo coacervato di tali retribuzioni fosse
inferiore all’indennità liquidabile;
20. del pari questa Corte ha già ribadito, in plurime
decisioni, che le statuizioni della sentenza Carratù non autorizzano le
conclusioni che la ricorrente incidentale ne vorrebbe trarre (v., fra le
tante, Cass. 12358/2015 cit.);
21. in conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati;
22. l’esito del giudizio consiglia la compensazione delle spese di lite.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e l’incidentale; spese compensate. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1-quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a
carico della parte ricorrente e incidentale, dell’ulteriore importo, a
titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex
art. 13, comma 1-bis.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017