Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10487 del 12/05/2011

Cassazione civile sez. I, 12/05/2011, (ud. 08/03/2011, dep. 12/05/2011), n.10487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 22673/2009 proposto da:

P.T., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via G.

Bettolo 17, presso lo studio dell’avv. Roberto De Nardo,

rappresentato e difeso dall’avv. BAVA Andrea del foro di Genova, come

da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE;

– resistente –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Genova emesso il 17.4.09,

depositato il 22.6.09;

udita la relazione svolta alla Pubblica udienza del 9.3.2011 dal

Consigliere Dr. Magda Cristiano;

udito il P.M., nella persona del Sostituto P.G. Dr. APICE Umberto,

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Genova, con decreto del 22.6.09, ha accolto parzialmente la domanda di equo indennizzo proposta da P. T., ai sensi della L. n. 89 del 2001, per l’eccessiva durata di un procedimento pensionistico da lui promosso dinanzi alla Corte dei Conti nel 1979 e dichiarato estinto, per irrituale deposito dell’istanza di prosecuzione, con sentenza del 23.1.07.

La Corte, determinata in 24 anni e sei mesi la durata irragionevole del processo presupposto, ritenuta di non particolare rilevanza la “posta in gioco” e rilevato che il P. aveva presentato solo nel luglio 2000 istanza per sollecitare la decisione, ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagargli la complessiva somma di Euro 15.500,100 (Euro 500,00 per ogni anno di ritardo sino al 2000 ed Euro 1000,00 per ogni anno successivo) oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo ed alle spese del procedimento.

Il P. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento, affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Il P., con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè vizio di motivazione del provvedimento impugnato e lamenta che la Corte genovese, dopo aver ritenuto ragionevole, in linea di principio, una durata del giudizio di due anni, vi abbia aggiunto un ulteriore anno, dovuto al trasferimento del processo dalla sede centrale della Corte dei Conti, in Roma, a quella ligure. Rileva in proposito che le conseguenze delle scelte organizzative del legislatore non possono essere poste a carico del cittadino.

2) Col secondo ed il terzo motivo il ricorrente si duole della misura non congrua del danno liquidato in suo favore. Deduce, da un lato, la contraddittorietà della motivazione assunta sul punto dalla Corte territoriale, che gli ha imputato di non aver adottato strumenti sollecitatori in realtà non previsti nel processo pensionistico ed ha desunto la scarsa rilevanza della posta in gioco dalla circostanza che nel giudizio si dibatteva del diritto al pagamento di una sola delle voci che compongono la pensione, senza tener conto che, trattandosi di voce non corrisposta per un trentennio, la questione aveva comunque notevole rilevanza economica; dall’altro, denuncia violazione di legge, essendosi il giudice sensibilmente discostato dai parametri adottati in casi simili dalla CEDU. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati e devono essere respinti.

Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, l’ambito della vantazione equitativa affidato al giudice del merito è segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni della Corte di Strasburgo in relazione a casi simili a quelli portati all’attenzione del giudice nazionale.

Tuttavia, la stessa Corte (in una serie di sentenze rese dalla Grande Camera il 29.3.2006 sui ricorsi nn. 64699/01, 64705/01, 64886/01, 64890/01, 64897/01), ha riconosciuto che gli importi concessi dal giudice nazionale possono essere inferiori a quelli da essa tendenzialmente fissati (ed oscillanti fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno), purchè non irragionevoli, a condizione che “le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”: pertanto, qualora non emergano particolari elementi in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza che la liquidazione sia satisfattiva dell’effettivo pregiudizio subito e non indebitamente lucrativa, alla stregua delle quantificazioni operate per la lesione di diritti diversi da quello in esame, consente al giudice italiano di riconoscere importi inferiori a quelli concessi dalla Corte Edu (Cass. nn. 21840/09, 16086/09).

Nelle sentenze appena citate la Corte Europea ha peraltro ammesso che “in alcuni casi la durata del procedimento può causare solo un minimo danno non patrimoniale” e che “è certo che l’entità della posta in gioco può avere un effetto riduttivo dell’entità dell’indennizzo, sebbene non totalmente esclusivo dello stesso”.

L’indirizzo così inaugurato è stato ribadito e rafforzato dal giudice di Strasburgo, che, in due recenti decisioni (Volta et autres c. Italia del 16.3.010 e Falco et autres c. Italia del 6.5.010) ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo del danno non patrimoniale da eccessiva durata dei processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessivamente di importo notevolmente inferiore a quello di Euro 1.000,00 per anno normalmente riconosciute.

Nei caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto, con motivazione congrua, e dunque non sindacabile nella presente sede di legittimità, integrante autonoma ratio decidendi, che la “posta in gioco” del processo pensionistico instaurato dal P. fosse di non particolare rilevanza, in quanto non era controverso il diritto alla pensione del ricorrente, ma unicamente la spettanza di un’indennità, peraltro di scarsa entità economica.

Alla luce di tale specifica circostanza di fatto, e tenuto conto della giurisprudenza della Corte Edu citata, deve escludersi che, nel riconoscere al P. un indennizzo complessivo di Euro 15.500, il giudice del merito abbia violato l’art. 6, par. 1 della Convenzione Europea.

Ne consegue il difetto di interesse del ricorrente a dolersi dell’errata determinazione del periodo di irragionevole durata del procedimento: infatti, attesa la congruità dell’indennizzo globalmente considerato, l’eventuale accoglimento di tale censura, illustrata con il primo motivo, non potrebbe condurre alla riforma della decisione impugnata.

Poichè il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese, non v’è luogo alla liquidazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2011

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