Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10486 del 27/04/2017
Cassazione civile, sez. VI, 27/04/2017, (ud. 23/03/2017, dep.27/04/2017), n. 10486
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11934-2014 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA, C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente del
Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA
74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI, che lo
rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 503/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA
depositata il 13/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 23/03/2017 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.
Fatto
RILEVATO
che:
1. la Corte di appello di Roma, rigettando il gravame svolto da
Poste Italiane s.p.a., confermava la decisione di primo grado, che
aveva accertato l’illegittimità della causale (“casi previsti dal CCNL”)
apposta al contratto di somministrazione e dichiarato la sussistenza,
tra l’attuale intimata e la società, di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, condannando la società al pagamento del risarcimento del
danno pari alle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora fino
all’effettivo ripristino;
2 la Corte romana, per quanto in questa sede rileva, riteneva
formato il giudicato interno – rilevabile d’ufficio, sulla questione
risarcitoria, per non essere stato svolto alcun motivo specifico di
gravame sul capo di condanna al risarcimento del danno – preclusivo
dell’applicazione dello ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32;
3. per la cassazione di tale decisione ricorre la società,
affidando l’impugnazione a due motivi, ulteriormente illustrati con
memoria, cui resiste, con controricorso, il lavoratore;
4. il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
Diritto
CONSIDERATO
che:
5. la dedotta violazione ed erronea applicazione ai fatti di causa del D.Lgs. n. 276 del 2003
riposa su circostanza di fatto – la collocazione temporale
dell’autorizzazione ministeriale a Inwork Italia s.p.a., alla fornitura
di lavoro, prima, e alla somministrazione di lavoro, in seguito –
asseritamente decisiva per l’individuazione del regime applicabile, che
presenta profili di novità in questa sede di legittimità;
6. ove una determinata questione giuridica – implicante un
accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella
sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in
sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di
inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di
allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di
merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo
abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare, ex
artis, la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito
la questione stessa (ex multis, Cass. 5 aprile 2004, n. 6656;
7. per il resto, la dedotta violazione di legge (L. n. 196 del 1997,
art. 1, comma 2, e art. 3, comma 3), è affidata alla tesi secondo cui
il contratto di fornitura non deve contenere l’indicazione dei motivi di
ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo, per essere nel caso
specifico il ricorso al lavoro temporaneo consentito dalla legge o dal
contratto collettivo e che, in ogni caso la mancata, erronea o generica
indicazione dei motivi di ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo
può produrre solo, ed esclusivamente, la costituzione del rapporto alle
dipendenze della società fornitrice;
8. il motivo è manifestamente infondato, come già ritenuto da numerose decisione della Corte di legittimità (fra le altre, da Cass., sez. sesta-L n. 26042/2015);
9. la norma di riferimento è la L. n. 196 del 1997, art. 1,
comma 2, che consente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo
solo nelle seguenti ipotesi: “a) nei casi previsti dai ccnl della
categoria di appartenenza della impresa utilizzatrice, stipulati dai
sindacati comparativamente più rappresentativi; b) nei casi di
temporanea utilizzazione di qualifiche non previste dai normali assetti
produttivi aziendali; c) nei casi di sostituzione dei lavoratori
assenti, fatte salve le ipotesi di cui al comma 4” (che prevede le
situazioni in cui è vietata la fornitura di lavoro temporaneo);
10. la causale indicata nel contratto di fornitura in esame è la seguente: “Casi previsti dal ccnl.”;
11. il contratto, invece di specificare la causale all’interno
delle categorie consentite dalla legge, si limita a parafrasare il testo
della legge, peraltro con riferimento indistinto ai casi previsti dal
ccnl, senza compiere alcuna specificazione;
12. la genericità della causale rende il contratto illegittimo, per violazione della L. n. 196 del 1997, art. 1,
commi 1 e 2, che consente la stipulazione solo per le esigenze di
carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate nel comma 2,
esigenze che il contratto di fornitura non può quindi omettere di
indicare, nè può indicare in maniera generica e non esplicativa,
limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa;
13. neanche può ritenersi che il rilevato onere di
specificazione non fosse richiesto rispetto ad una genericità della
previsione collettiva, posto che solo l’indicazione precisa delle
esigenze sostitutive sottese all’assunzione del lavoratore avrebbero
consentito il riscontro in termini probatori della effettività della
ragione sottesa alla fornitura del lavoro dello stesso nell’ufficio di
adibizione, consentendo di escludere che il lavoro del predetto fosse
funzionale alla diversa esigenza di sopperire ad ordinarie carenze di
organico del CMP di (OMISSIS);
14. quanto alle sanzioni, l’illegittimità del contratto di
fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di
intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, e quindi
l’instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della
prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo, alla stregua
dell’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 (cioè violazioni di legge concernenti
proprio il contratto commerciale di fornitura), le conseguenze previste
dalla L. n. 1369 del 1960,
consistenti nel fatto che “i prestatori di lavoro sono considerati, a
tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente
abbia utilizzato le loro prestazioni”;
15. in tal senso questa Corte si è espressa, in modo univoco e costante, con una pluralità di decisioni, a cominciare da Cass. 23 novembre 2010 n. 23684; Cass. 24 giugno 2011 n. 13960; Cass. 5 luglio 2011 n. 14714
alle cui motivazioni si rinvia per ulteriori approfondimenti), che
hanno anche precisato che alla conversione soggettiva del rapporto si
aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in
lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti
richiesti dal D.Lgs. n. 368 del 2001 ai fini della legittimità del lavoro a tempo determinato tra l’utilizzatore ed il lavoratore (sul punto v. anche: Cass. 6933/2012, Cass. 5.12.2012 n. 21837, Cass. 17.1.2013 n. 1148);
16. l’effetto finale è la conversione del contratto per
prestazioni di lavoro temporaneo in un ordinario contratto di lavoro a
tempo indeterminato tra l’utilizzatore della prestazione, datore di
lavoro effettivo, e il lavoratore e, pertanto, trova applicazione il
disposto di cui alla L. 24 giugno 1997, n. 196, art. 10 e dunque quanto previsto dalla L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1 per
cui il contratto di lavoro col fornitore “interposto” si considera a
tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore “interponente” (v. Cass. 24.6.2011 n. 13960; Cass. 5.12.2012 n. 21837, Cass. 17.1.2013 n.1148 cit.);
17. il secondo motivo è manifestamente fondato, alla luce di Cass., Sez. U. n. 21691 del 2016
(in particolare, punti 48, 49, 50, 51) che ha chiarito il concetto di
“pendenza”, ritenendo “pendenti” anche i giudizi in cui sia stato
proposto appello contro la parte principale della decisione di primo
grado, dalla quale dipende, in quanto legata da un nesso di causalità
imprescindibile, la parte relativa al risarcimento del danno, e
precisato che sino al momento in cui non diviene definitiva la decisione
sulla parte principale rimane sub indice, e quindi pendente, anche la
parte da essa dipendente della sentenza impugnata, ciò impedendo il
passaggio in giudicato anche della parte dipendente, pur in assenza di
impugnazione specifica di quest’ultima;
18. il secondo motivo va, pertanto, accolto, rigettato il
primo, con la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo
accolto e il rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in
diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il
secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per
le spese del giudizio di legittimità.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017