Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10486 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. I, 03/06/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 03/06/2020), n.10486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCOTTI Giuseppe Umberto L.C. – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28913/2018 proposto da:

A.L., elettivamente domiciliata in Roma Viale Angelico N 38

presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

28/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/10/2019 da Dott. LIBERATI GIOVANNI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Campobasso ha respinto la domanda della ricorrente, nata a (OMISSIS), in (OMISSIS), di riconoscimento dello status di rifugiata, in subordine della protezione sussidiaria e, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria, confermando le conclusioni della Commissione territoriale di Salerno, sezione di Campobasso.

Il Tribunale, nel disattendere tali richieste, ha ritenuto che quanto narrato dalla ricorrente, circa la necessità di allontanarsi dal paese di origine a causa delle minacce di morte ricevute dal suo datore di lavoro, per essersi rifiutata di avere rapporti sessuali con lui, non integri alcune delle ipotesi di riconoscimento della protezione internazionale, trattandosi di motivi puramente personali.

Ha quindi escluso il riconoscimento dello status di rifugiata, perchè la ricorrente aveva rappresentato il timore per la propria incolumità in modo generico.

Ha poi escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto la zona della (OMISSIS) di provenienza della ricorrente non rientra tra quelle in cui la presenza del gruppo terroristico (OMISSIS) ha fatto assurgere il conflitto locale a livello di guerra civile, non essendo neppure stati evidenziati specifici episodi di conflitto armato in tale zona.

Ha infine escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, perchè i timori di persecuzione politica personale in caso di ritorno in patria sono del tutto astratti e congetturali, la ricorrente non ha particolari legami con il territorio italiano e non ha manifestato patologie che debbano essere necessariamente curate in Italia.

2. La ricorrente chiede la cassazione del decreto del Tribunale di Campobasso sulla base di cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo lamenta la apparenza della motivazione del decreto impugnato, in quanto la stessa sarebbe inidonea a illustrare le ragioni per le quali le allegazioni della ricorrente sono state ritenute infondate.

2.2. In secondo luogo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, costituito dalla condizione di pericolosità e dalla situazione di violenza generalizzata esistente in (OMISSIS), non essendo state consultate e valutate da parte del Tribunale le fonti informative disponibili, dalle quali poteva ricavarsi che la (OMISSIS) è riconosciuta unanimemente come un paese instabile che non garantisce il rispetto della legalità ed è afflitto da condizioni di violenza generalizzata, in quanto i gruppi terroristici ivi esistenti hanno la possibilità di operare su tutto il territorio nazionale.

2.3. Con il terzo motivo ha lamentato l’omesso esame delle dichiarazioni rese dalla ricorrente alla Commissione territoriale e anche di quanto allegato ai fini della valutazione della condizione personale della ricorrente medesima, non essendo stata adeguatamente approfondita la situazione generale del paese di provenienza della ricorrente e l’effettiva esistenza di una situazione di mancanza di tutela da parte delle pubbliche autorità quale prospettata dalla ricorrente, che aveva dichiarato di sentirsi insicura nel proprio paese di origine e priva di protezione da parte delle autorità locali. Il Tribunale avrebbe, poi, anche omesso di valutare il livello di integrazione sociale in Italia e la condizione generalizzata di pericolo esistente in (OMISSIS), che avrebbe consentito di riconoscere alla ricorrente la protezione sussidiaria.

2.4. Con il quarto motivo lamenta il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 l’omesso esame delle fonti informative e l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost., non essendo stata considerata la grave situazione di pericolo per la sicurezza individuale esistente all’interno della (OMISSIS), quale emergente dalle informazioni reperibili nel sito internet della associazione umanitaria Amnesty International.

2.5. Infine, con un quinto motivo, lamenta il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, ai sensi dell’art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 posto che nel corso della audizione la ricorrente aveva fornito numerosi dettagli circa la propria domanda, dai quali ricavare la inadeguatezza delle condizioni di vita nel paese di origine della ricorrente medesima.

3. Il Ministero dell’Interno non si è costituito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Osserva il Collegio che i motivi proposti sono manifestamente infondati, perchè si risolvono in generiche deduzioni di fatto, volte a sollecitare un inammissibile riesame del merito della vicenda.

5. Quanto al primo motivo, il Tribunale, sia pure succintamente, ha indicato le ragioni per le quali la prospettazione della ricorrente, sia in ordine al pericolo per la sua incolumità in caso di ritorno in patria, sia a proposito dei conflitti armati ivi esistenti, è stata ritenuta infondata, evidenziando, in particolare, la natura personale delle ragioni (costituite dalle molestie a sfondo sessuale subite dal suo datore di lavoro) che, secondo la stessa prospettazione della ricorrente, la avevano indotta ad allontanarsi dalla (OMISSIS), e l’insussistenza di una situazione di conflitto armato nell’area dalla quale la stessa proviene.

Giova al riguardo ricordare che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) (Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonchè norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta) definisce rifugiato il cittadino straniero che, per il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trovi fuori del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole, avvalersi della protezione di tale Paese, oppure, se apolide, che si trovi fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni suindicate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, ferme le cause di esclusione dell’art. 10.

Analoga definizione si rinviene nel D.Lgs. n. 25 del 2008, che contiene l’attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

Il rifugiato politico, poi, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 29 luglio 1951, ratificata in Italia con la L. 24 luglio 1954, n. 722, ed ai sensi della direttiva 2005/85/CE, attuata con il D.Lgs. n. 25 del 2008, è colui che non può o non vuole far ritorno nel Paese in cui aveva in precedenza la dimora abituale per il fondato timore di una persecuzione personale e diretta. Pertanto, la situazione socio-politica e normativa del Paese di provenienza rileva solo se si correla alla specifica posizione del richiedente e, più nello specifico, al fondato timore di una persecuzione personale e diretta, per l’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze e stili di vita, e quindi alla sua personale esposizione al rischio di specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità psico-fisica.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, identifica il danno grave nelle ipotesi a) di condanna a morte o esecuzione della pena di morte, b) di tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel Paese d’origine, c) di minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno o internazionale secondo cui non sussistono i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato (Cass., Sez. 1, n. 11103/2019, Rv. 653465-01, con ampi riferimenti alla giurisprudenza Eurounitaria).

Nel caso in esame il Tribunale, sia pure con motivazione succinta, ha ritenuto che il timore di persecuzione, peraltro genericamente dedotto, non rientri in alcuno dei casi che consentono il riconoscimento dello status di rifugiato, trattandosi di motivi esclusivamente personali, disgiunti dall’appartenenza a un’etnia, associazione, credo politico o religioso, o dalle tendenze e stili di vita della ricorrente, e quest’ultima si è limitata a dolersi sul punto della insufficienza della motivazione che, però, risulta idonea a dar conto della mancanza dei presupposti per il riconoscimento di detto status, tenendo conto del consolidato principio secondo cui i rapporti tra privati sono estranei al sistema di protezione internazionale (come chiarito ex plurimis da Cass., Sez. 6-1, n. 11110/2019, Rv. 653482-01).

6. Il secondo motivo è inammissibile a causa della sua genericità, in quanto consiste nella generica doglianza in ordine alla insufficiente considerazione delle fonti informative, dalle quali emergerebbe, secondo la prospettazione della ricorrente, la situazione di generale pericolosità delle condizioni di vita in (OMISSIS), senza alcuna illustrazione nè di tali fonti, nè di quanto dalle stesse emergerebbe, a fronte della indicazione nel decreto impugnato della assenza di una situazione di conflitto indiscriminato nella zona di provenienza della ricorrente e delle fonti dalle quali tale convincimento è stato tratto (indicate nel provvedimento negativo della Commissione territoriale).

7. Il terzo motivo risulta anch’esso inammissibile a causa della sua genericità, consistendo nella asserzione dell’insufficiente valutazione delle fonti informative e delle dichiarazioni rese dalla ricorrente in occasione della sua audizione innanzi alla Commissione territoriale, disgiunta dalla indicazione di tali fonti e del contenuto di dette dichiarazioni, senza ulteriori specificazioni, a fronte di quanto, sia pur succintamente, evidenziato nella motivazione del provvedimento impugnato, circa l’insussistenza di una situazione di conflitto generalizzato o, comunque, di pericolo, nella zona da cui proviene la ricorrente.

8. Il quarto motivo è volto a conseguire un riesame sul piano del merito della vicenda, giacchè attraverso la censura di violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e dell’art. 10 Cost. la ricorrente tende, in realtà, a conseguire una nuova valutazione in ordine alla sussistenza di una condizione generalizzata di pericolo in (OMISSIS) (tra l’altro limitandosi a riportare resoconti sulla situazione generale di tale Paese, senza alcuna analisi della situazione della ricorrente e del suo Stato di origine), esclusa dal Tribunale con motivazione adeguata, non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità.

9. Infine con il quinto motivo si prospetta, anche a questo proposito genericamente, la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, attraverso un generico riferimento alle condizioni di vita esistenti in (OMISSIS), di per sè insufficiente a consentire di ritenere sussistenti i presupposti per il riconoscimento di tale forma di protezione e che implica, in ogni caso, una rivisitazione sul piano del merito degli elementi considerati dal Tribunale, non consentita in sede di legittimità.

Va al riguardo ricordato che la protezione umanitaria, prevista in generale dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, richiesta al questore o all’autorità giudiziaria, in entrambi i casi al di fuori del sistema della protezione internazionale, è un istituto di salvaguardia introdotto dalla L. n. 40 del 1998 e poi trasfuso nel predetto decreto legislativo. La successiva entrata in vigore della protezione sussidiaria ad opera del D.Lgs. n. 251 del 2007, in parte ne ha assorbito l’ambito operativo, ma l’istituto mantiene una sua autonomia come misura atipica di protezione umanitaria, il cui fondamento risiede nel principio di non refoulement del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 per ragioni umanitarie nuove o diverse da quelle già oggetto del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale. Il D.L. n. 113 del 2018 ha eliminato la clausola inerente ai presupposti per il rilascio della protezione umanitaria, salvo che ricorrano i motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, altresì espungendo, ovunque necessario, le parole “umanitaria” e “protezione umanitaria”. Le uniche ipotesi eccezionalmente riconoscibili ai fini della tutela sono a) il permesso di soggiorno in casi speciali, per motivi di protezione sociale dell’art. 18, per le vittime di violenza domestica di cui all’art. 18-bis ed il permesso di soggiorno per particolare sfruttamento lavorativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12 quater; b) il permesso di soggiorno per cure mediche di cui all’art. 19, comma 2, lett. d-bis; c) il permesso di soggiorno per protezione speciale, rilasciato dal questore nei limiti D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e 1.1.; il permesso di soggiorno per contingente ed eccezionale calamità naturale di cui all’art. 20-bis; il permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile di cui all’art. 42-bis, quest’ultimo di durata biennale. Secondo la giurisprudenza, si tratta di un catalogo aperto di ipotesi ricomprendenti i seri motivi umanitari, gli obblighi costituzionali e gli obblighi internazionali. In particolare, secondo Cass., Sez. 1, n. 4455/2018, Rv. 647298, sono ricomprese in tale tipo di tutela la salute, l’instabilità politica e sociale nel Paese d’origine, la povertà e l’integrazione sociale. L’inserimento sociale nel Paese, peraltro prospettato genericamente nel ricorso, non è, però, da solo sufficiente per giustificare il rilascio del permesso umanitario, essendo necessaria un’effettiva valutazione comparativa della situazione oggettiva del Paese d’origine e soggettiva del richiedente, alla luce delle peculiarità della vicenda personale.

Ciò premesso in via generale, osserva il Collegio che non sono stati allegati elementi sufficienti a ritenere compromesso o leso il diritto alla salute nè sono ravvisabili condizioni di vulnerabilità, a seguito della comparazione del sistema del Paese d’origine con quello ospitante. Infine, il Tribunale ha accertato, sia pure con motivazione stringata, non ricorrere il requisito dell’integrazione sul territorio dello Stato, mancando un vincolo familiare e stabile attività lavorativa.

10. Sussistono, infine, i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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