Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10484 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/04/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 30/04/2010), n.10484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato e presso

di essa domiciliata in Roma, in via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

L.V.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 125/17/06, depositata il 26 ottobre 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14 gennaio 2010 dal Relatore Cons. Dr. Antonio Greco.

La Corte:

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 117/17/06, depositata il 26 ottobre 2006, che, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Faenza, ha riconosciuto a L.V., agente di commercio, il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998, 1999 e 2000.

Il contribuente non ha svolto attività difensiva nella presente sede.

Il ricorso contiene un motivo, rispondente ai requisiti prescritti dall’art. 366-bis cod. proc. civ., con il quale si denuncia violazione della normativa istitutiva dell’IRAP in relazione agli artt. 1742 e 2195 cod. civ. sotto il profilo del presupposto inpositivo costituito dalla sussistenza di autonoma organizzazione, che sarebbe intrinseco all’attività dell’agente di commercio.

La ratio decidendi della sentenza impugnata non è conforme al principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte in sede di composizione del contrasto delineatosi in materia nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio dell’ attività di agente di commercio di cui alla L. 9 maggio 1985, n. 204, art. 1, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (Cass. 26 maggio 2009, n. 12108). Tuttavia, la decisione gravata contiene un inequivoco accertamento di fatto in ordine all’insussistenza, nella specie, di autonoma organizzazione, che non è oggetto di censura e che sembra rendere il dispositivo conforme a diritto.

In conclusione, si ritiene che, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, e art. 380-bis cod. proc. civ., il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto manifestamente infondato”;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso, previa correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, deve essere rigettato;

che non vi è luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

 

 

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