Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10483 del 21/04/2021
Cassazione civile sez. III, 21/04/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 21/04/2021), n.10483
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28143/2019 proposto da:
V.E.R.M., rappresentato e difeso dall’avvocato
RACHELINA MARTELLI, giusta procura speciale allegata al
ricorso,elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANGELO BROFFERIO 6,
presso lo studio dell’avvocato VITTORIO VASTA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, per la QUESTURA PROVINCIA CHIETI,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1380/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,
depositata il 10/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
02/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
Fatto
RILEVATO
che:
1. V.E.R.M., proveniente dalla Repubblica Domenicana, ricorre affidandosi a due motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila che aveva confermato la pronuncia di rigetto del Tribunale della domanda proposta per ottenere la concessione del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, in ragione del diniego opposto in sede amministrativa dalla Questura di Chieti.
1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente ha dedotto di voler mantenere l’unità familiare con la madre e che la propria domanda era stata erroneamente valutata, in quanto era stata fatta prevalere una apodittica valutazione di pericolosità – desunta da una condanna inflittagli in sede penale, sia pur a seguito di applicazione dell’art. 444 c.p.p. – sul diritto di mantenere l’unità familiare. Lamenta, altresì, che era stato ignorato il percorso di integrazione da lui intrapreso.
2. Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5: lamenta che la Corte territoriale aveva erroneamente valutato la sua pericolosità che, a seguito delle modifiche introdotte con il D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 4, comma 3 e art. 5, comma 5 (cui è stato anche aggiunto il comma 5 bis), superando il precedente automatismo espulsivo, imponeva un giudizio di pericolosità effettuato sul caso concreto, volto ad accertare che il richiedente costituisse effettivamente un pericolo per l’ordine e la sicurezza dello Stato, tale da ritenere recessiva la valutazione degli elementi riconducibili all’unità familiare.
1.1. Contesta, al riguardo, che dalla sentenza di condanna potessero essere desunti indici di pericolosità tali da escludere la concessione del permesso di soggiorno, non essendo stato considerato che la contenuta entità della pena inflitta rispecchiava una condotta non grave; e che mancava del tutto la valutazione del forte legame affettivo esistente con la madre, la lunga durata del soggiorno in Italia e l’assenza di altri parenti nel paese di origine.
1.2. Il motivo è inammissibile.
1.3. Deve premettersi che, come rilevato dallo stesso ricorrente, non è più esistente un collegamento automatico fra sentenza di condanna e rigetto del permesso di soggiorno: questa Corte, infatti, ha affermato il principio, ormai consolidato, secondo il quale, “per effetto delle modifiche introdotte, con il D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 4, comma 3 e art. 5, comma 5 (cui è stato anche aggiunto il comma 5 bis), in caso di richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare non è più prevista l’applicabilità del meccanismo di automatismo espulsivo, in precedenza vigente, che scattava in virtù della sola condanna del richiedente per i reati identificati dalla norma, sulla base di una valutazione di pericolosità sociale effettuata “ex ante” in via legislativa, occorrendo, invece, per il diniego, la formulazione di un giudizio di pericolosità sociale effettuato in concreto, il quale induca a concludere che lo straniero rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi di valutazione contenuti del D.Lgs. n. 286 del 1998, novellato art. 5, comma 5 (la natura e la durata dei vincoli familiari, l’esistenza di legami familiari e sociali con il paese d’origine e, per lo straniero già presente nel territorio nazionale, la durata del soggiorno pregresso). Ne consegue che è onere dell’autorità amministrativa e, successivamente, dell’autorità giudiziaria, al fine di non incorrere nel vizio di motivazione, di esplicitare le ragioni della pericolosità sociale, alla luce dei parametri normativi sopra evidenziati” (cfr. Cass. 8795/2011; Cass. 17070/2018).
1.4. Ma tanto premesso, si osserva, che la valutazione di pericolosità e la comparazione con gli altri elementi dedotti a sostegno dell’unità familiare, rappresentano un giudizio di merito, insindacabile in questa sede, ove sia fondato su argomentazioni congrue e logiche.
1.5. Nel caso in esame, la Corte territoriale, lungi dal violare la norma che con la censura si assume inosservata – la quale è stata correttamente interpretata in combinato disposto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3 – ha espresso, da una parte, una valutazione di persistente pericolosità del ricorrente, desumibile dalla natura dei reati contestati (induzione e sfruttamento della prostituzione) e, dall’altra, l’assenza di prove sufficienti ed idonee a dimostrare la sua integrazione: il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale è congruo, logico ed al di sopra della sufficienza costituzionale. (cfr. pag. 2 e 3 cpv. 8 e 9 della sentenza impugnata).
1.6 A fronte di ciò, la censura risulta generica e maschera una non
consentita richiesta di rivalutazione di merito delle emergenze istruttorie già compiutamente esaminate (cfr. al riguardo Cass. 18721/2018; Cass. 31546/2019).
2. Con il secondo motivo, sempre ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente lamenta “motivazione apparente e contraddittoria”.
2.1. Anche tale censura è inammissibile.
2.2. In primo luogo essa non è coerente con la rubrica indicata con la quale viene denunciato il vizio di violazione di legge, mediante il richiamo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; inoltre, anche nella parte argomentativa, la censura non coglie nel segno in quanto, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 134 del 2012, non è più consentito censurare la motivazione se non per illogicità o per totale mancanza di essa.
2.3. Nel caso in esame, le critiche prospettate, lungi dal denunciare una sostanziale assenza di motivazione, si dolgono, nel merito, del percorso argomentativo seguito, con affermazioni apodittiche e meramente assertive (cfr. 4 u. cpv. e 5 primo cpv. del ricorso), volte a trasformare impropriamente il giudizio di legittimità in un non consentito terzo grado di merito.
3. In conclusione, il ricorso è inammissibile.
3.1. Le spese seguono la soccombenza.
3.2. L’oggetto della controversia la rende esente da contributo unificato.
PQM
La Corte;
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 2 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021