Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10478 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 03/06/2020), n.10478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSP Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13779-2018 proposto da:

L.V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARO 35,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO MAZZONI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587, in

persona del Direttore pro tempore, in proprio e nella qualità di

procuratore speciale della Società di Cartolarizzazione dei Crediti

INPS (S.C.C.I.) s.p.a., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto

medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati LELIO MARITATO,

ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO,

ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

contro

ADER – AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE 13756881002, in persona

del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 793/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte di appello di Venezia – con sentenza n. 793 del 2017-ha respinto il gravame avverso la sentenza n. 471 del 2013 del Tribunale di Padova, resa tra L.V.S., l’INPS e l’AGENZIA delle ENTRATE-RISCOSSIONE, che, a sua volta, aveva respinto l’opposizione alla cartella di pagamento ed alla successiva intimazione di pagamento, per l’accertamento di intervenuta prescrizione della pretesa creditoria dell’INPS;

in discussione tra le parti la validità della notifica della cartella esattoriale (assumendo il ricorrente la non ritualità della stessa e, di conseguenza, l’intervenuta prescrizione della pretesa creditoria oggetto dell’intimazione di pagamento), la Corte territoriale, pur condividendo i rilievi mossi alla decisione di primo grado che aveva (erroneamente) ritenuto sussistente una condizione di convivenza dell’appellante (id est: odierno ricorrente) con il padre, al cui domicilio era stata notificata la cartella di pagamento, nondimeno ha giudicato rituale la notifica dell’atto esattoriale; a tale riguardo, ha osservato come la cartella fosse stata notificata “come enunciato nella memoria di costituzione in riassunzione del 13.7.2017 e mai contestato dalla parte appellante” nel luogo ove quest’ultima aveva eletto il proprio domicilio fiscale (abitazione del padre); inoltre, ha giudicato rilevante che nessun rilievo fosse stato fatto dalla persona cui il plico veniva consegnato ed altresì che nessun elemento di prova contraria (id est: nessun elemento dimostrativo della insussistenza di una relazione con il familiare consegnatario) fosse stato offerto dal ricorrente;

avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione L.V.S., fondato su due motivi;

hanno resistito, con controricorso, l’INPS, anche nella qualità di procuratore della SCCI s.p.a., e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2;

parte ricorrente assume che la Corte di merito avrebbe basato la decisione su una eccezione nuova, formulata solo in sede di riassunzione della causa in grado di appello, fondando il convincimento della validità della notifica della cartella esattoriale in base al domicilio fiscale che il contribuente aveva indicato nella dichiarazione dei redditi;

circostanza quest’ultima dedotta solo in secondo grado;

il motivo è infondato;

le eccezioni nuove, vietate dall’art. 437 c.p.c., sono le eccezioni in senso stretto, che introducono in giudizio un nuovo thema decidendum, idoneo ad alterare i termini sostanziali della controversia; nella fattispecie, la validità della notifica della cartella esattoriale è stata opposta, ab origine, quale fatto estintivo della pretesa del ricorrente, tanto da costituire il punto controverso tra le parti, idoneo a determinare l’esito della lite;

al più, può discutersi di attivazione dei poteri-doveri officiosi che l’ordinamento attribuisce al giudice del lavoro ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c. (v., ex plurimis, Cass. n.32265 del 2019), onde decidere in aderenza alla verità materiale dei fatti di causa;

è ciò che la Corte territoriale ha dimostrato di fare, acquisendo elementi di giudizio (ritenuti) indispensabili ad integrare e definire il complesso quadro probatorio, fondante il decisum; i giudici di merito, unitamente alla circostanza del domicilio fiscale, hanno infatti attribuito significativa importanza al fatto che alcun rilievo, al momento della notifica dell’atto, venisse mosso dal consegnatario del plico e (al fatto) che il ricorrente non avesse specificamente dimostrato (con elementi diversi da meri certificati anagrafici) la mancanza di un collegamento tra il luogo della notifica ed il destinatario dell’atto;

con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, e art. 167, comma 1, in relazione all’art. 437 c.p.c.; parte ricorrente deduce l’erroneità della affermazione secondo cui vi sarebbe stata la non contestazione della circostanza di fatto scrutinata con il precedente motivo; trattandosi di elemento non ritualmente acquisito al giudizio (quello relativo al domicilio fiscale), nessun rilievo avrebbe dovuto dare la Corte territoriale alla condotta della controparte (id est: odierna parte ricorrente) che, peraltro, neppure aveva avuto modo di controdedurre;

il secondo motivo è inammissibile;

giudica il Collegio inconferente il richiamo all’art. 115 c.p.c., giacchè la causa non è stata decisa in applicazione del principio di non contestazione ma all’esito della complessiva valutazione delle risultanze probatorie -e dunque, in definitiva, di un accertamento di fatto- che ha condotto al convincimento della sussistenza, in concreto, di una relazione tra il consegnatario dell’atto ed il suo destinatario e, in via di derivazione, al giudizio di validità dell’eseguita notificazione;

in base alle argomentazioni svolte, il ricorso va, dunque, rigettato con le spese liquidate secondo soccombenza;

in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto (v. dichiarazione reddituale in atti).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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